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Intervista al Professore di Igiene all’Università Cattolica e consigliere del Ministro della Salute, a margine della seconda tappa del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia” promosso da Assobiotec Federchimica in partnership con StartupItalia
“La nostra posizione è imbarazzante rispetto ai pregi che abbiamo a livello individuale o di specifiche organizzazioni. Fa molta rabbia rimanere indietro rispetto a Paesi che sono poco più grandi di una nostra regione, quando abbiamo istituti di ricerca, scienziati, strutture assistenziali e non solo, che potrebbero renderci protagonisti a livello internazionale, facendo massa critica”. Walter Ricciardi, Professore di Igiene all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza, non le manda a dire durante il tavolo di lavoro, a porte chiuse, “Il viaggio del biofarmaco: dal laboratorio al paziente”, che ha avuto luogo lo scorso 13 luglio e ha costituito la seconda tappa del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”, promosso da Assobiotec Federchimica in partnership con StartupItalia.
Il progetto, tra giugno e ottobre, prevede quattro appuntamenti preparatori a un grande evento finale, il 9 novembre 2020, per sensibilizzare il pubblico sul ruolo e l’importanza delle biotecnologie: non solo per la capacità di migliorare le nostre vite, ma anche come asset strategico su cui puntare per il rilancio e in generale il futuro del Paese. L’evento conclusivo diventerà anche l’occasione per presentare un Manifesto e, soprattutto, un Documento di posizione con proposte operative per la crescita e lo sviluppo del settore, da mettere a disposizione del Governo italiano.
Walter Ricciardi, Professore di Igiene all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e consigliere del ministro della Salute
Ricciardi è stato uno dei relatori del secondo tavolo di lavoro, a cui hanno partecipato oltre 30 esperti – tra associati di Assobiotec, stakeholder e istituzioni – che hanno avviato una riflessione condivisa su ciò che serve al settore delle Scienze della Vita sia per la crescita del comparto che per favorire ulteriormente il miglioramento della salute delle persone e la competitività del Paese. Ne è emerso un quadro che è stato rappresentato nell’infografica che vedete qui sotto, realizzata dall’illustratrice Irene Coletto.
Intervista al professor Walter Ricciardi
Abbiamo intervistato il professor Ricciardi, per approfondire alcune delle tematiche emerse nel corso del suo intervento.
Le qualità del Belpaese
StartupItalia: “Non ci saranno alternative se l’Italia perde il treno della passione razionale, dell’ottimismo concreto, che l’Europa sta mettendo a disposizione in termini di fondi”. Professore, al netto delle polemiche sull’accettare o meno il Mes e viste le sue dichiarazioni nel corso della riunione a porte chiuse, immaginiamo che abbia accolto con favore il raggiungimento dell’accordo sul Recovery Fund.
Prof. Walter Ricciardi: Sì, innanzitutto va valutato in maniera estremamente positiva il fatto che i Paesi membri abbiano compiuto un passaggio storico, che è quello di aver trovato un approccio comune al debito e, in realtà, a investimenti per il futuro dell’Unione, e quindi che siano riusciti a superare delle polemiche anche molto forti, legate alle differenti posizioni, culture, attitudini al governo e alla spesa pubblica. Gli Stati, che saranno destinatari di questi fondi, dovranno dimostrare di essere capaci di utilizzarli per investimenti che riescano a cambiare in meglio le sorti dei Paesi e, quindi, dei cittadini. Questa è una grossa responsabilità, a cui l’Italia si avvicina con grande difficoltà.
SI: Perché?
WR: Il principale problema del nostro Paese è quello di avere una scarsa quantità di persone che hanno le competenze per lavorare alle progettualità: questi fondi saranno erogati solo a fronte di progetti specifici, ma noi abbiamo una grande carenza di professionalità al riguardo. Quindi dobbiamo fare uno sforzo aggiuntivo sia per far lavorare al meglio quelli in grado di fare questi progetti sia per creare nuove professionalità, che sappiano traghettarci fuori da questa situazione. I dati al momento sono scoraggianti: secondo l’ultimo Rapporto Istat, siamo penultimi in Europa per numero di laureati, con solo il 27,6% di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario. Siamo uno dei Paesi con meno competenze sofisticate, in assoluto, e in certi settori siamo veramente carenti. Se aggiungiamo il fatto che quelli competenti in questi settori, non trovando soddisfazione, sia a livello professionale che economico, molto spesso se ne vanno all’estero, è chiaro che davanti a noi si profila uno sforzo enorme per fare questi progetti. Quindi il primo scoglio sarà prendere questi soldi che, in assenza di progettualità, non riusciremmo ad ottenere. Per darle un’idea, l’unico momento in cui abbiamo avuto davvero la capacità di prendere tutti i fondi europei fu quando Carlo Azeglio Ciampi era Presidente del Consiglio (1993-1994, ndr).
SI:Cosa accadde di diverso?
WR: Ciampi formò una squadra con alcune delle personalità migliori del Paese. Aggregandole e facendole lavorare in maniera coordinata, riuscì a fare un salto di qualità. Speriamo che questo Governo abbia la capacità di ripetere quella esperienza, mettendo insieme le persone più in gamba, che siano in grado di acquisire i fondi e poi sapere utilizzarli.
La svolta digitale
SI: A proposito dell’uso di questi fondi, lei quali priorità auspica rispetto alla sanità?
WR: Non c’è dubbio che il sistema sanitario sia un settore strategico in tutte le sue articolazioni: quella ospedaliera va rafforzata per quanto riguarda la logistica, le tecnologie, la struttura e il funzionamento, nel senso che bisogna creare delle condizioni di lavoro adeguate, perché i medici e gli infermieri italiani, oltreché essere sottodimensionati, sono anche sottopagati. Poi c’è la medicina generale che pone un problema organizzativo.
SI: Che intende, professor Ricciardi?
WR: La medicina generale, così come si presenta oggi, non può funzionare in un contesto coordinato, per cui bisogna trovare una modalità adeguata sia per la formazione che per la gestione, in armonia con gli altri pilastri: l’ospedale, appunto, e la sanità territoriale, in cui bisogna rilevare che le strutture pubbliche molto spesso non sono gestite in modo adeguato e quindi lavorano in maniera frammentaria e irregolare. Poi si aggiunge la grande scommessa della sanità digitale.
SI: Approfondiamo questo aspetto.
WR: Oggi noi diamo per scontato che la sanità marcerà sul digitale. Sarà pertanto necessario gestire non solo grandi masse di dati ma anche grandi e piccole tecnologie: lo smartphone, infatti, sarà l’asse portante di questa rivoluzione, diventando il tassello finale di un ecosistema digitale che dovrà essere costruito. Insomma, dobbiamo fare veramente uno sforzo di modernizzazione del Paese, pari soltanto a quello fatto dopo la seconda guerra mondiale.
Più risorse economiche?
SI: Professore, lei è anche Presidente del Mission Board for Cancer, che metterà a disposizione 20 miliardi di euro per la ricerca in questo settore. Come ha dichiarato nel corso del suo intervento, questa Missione ha destato grande attenzione; a Bruxelles molti le hanno chiesto un confronto sull’argomento, mentre in Italia nessuno le ha chiesto un appuntamento al riguardo. Lei come se lo spiega?
WR: Chi mi ha chiesto un appuntamento è responsabile di strutture di coordinamento nazionale: si tratta di persone che hanno la responsabilità di coordinare la ricerca, con il mandato di capire bene gli orientamenti del Mission Board, per iniziare a organizzare il proprio Paese in modo tale da essere competitivo per acquisire questi fondi. Noi non abbiamo questa organizzazione o, meglio, avremmo dovuto averla, perché nella legge di bilancio era prevista l’istituzione dell’Agenzia nazionale per la ricerca, ma se ne sono perse le tracce. In Italia, ci sono i ministeri competenti e devo dire che quello della Salute e quello dell’Università e della Ricerca adesso collaborano, pur non disponendo di una struttura di coordinamento nazionale. La differenza, dunque, sta tutta qui: gli altri Paesi si sono organizzati anche con mandati formali mentre il nostro è rimasto enormemente frammentato.
SI: Questo comporta delle criticità anche rispetto ai bandi. Il 22 settembre verrà consegnato il rapporto del Mission Board e tra gennaio e febbraio partiranno i bandi. Lei, nella sua relazione, ha detto che l’Italia sembra in ritardo al riguardo.
WR: Sì, vedendo gli altri Paesi che si stanno già organizzando in merito, ipotizzo che l’Italia possa arrivare in ritardo all’appuntamento, ma questo è assolutamente da evitare. Dobbiamo partire subito, organizzandoci in maniera coordinata per diffondere innanzitutto le informazioni alle diverse strutture, perché è normale arrivare in ritardo se si conoscono gli obiettivi solo poche settimane prima della pubblicazione dei bandi. Basta andare a vedere il documento ad interim che abbiamo prodotto: dalle 13 raccomandazioni si possono capire gli orientamenti e quindi iniziare a organizzarsi. C’è ancora del tempo, ma bisogna accelerare questa attività preparatoria. Speriamo di farlo al più presto.
SI: L’Italia avrebbe la possibilità di attrarre sperimentazioni cliniche in virtù del valore dei suoi clinici e dell’universalità del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Tuttavia, si tratta di un’opportunità colta solo in parte. Perché?
WR: Anche questo dipende dalla frammentazione. Se c’è coordinamento, i punti di forza vengono valorizzati, altrimenti risaltano i punti di debolezza. Alla fine, la nostra forza risiede nella qualità dei nostri clinici, dei nostri ricercatori e nelle nostre dimensioni, che sono importanti. Quando queste tre variabili sono presenti, si ha la capacità di dire e fare qualcosa di importante. Serve una gestione coordinata per valorizzare questi aspetti, altrimenti corriamo il rischio di entrare in svantaggio nella competizione anche nei confronti di chi è meno competente, talentuoso e ha dimensioni minori, ma è meglio organizzato di noi. Anche se spesso i singoli suppliscono alle carenze organizzative, l’Italia purtroppo è veramente indietro rispetto alle sue potenzialità.
Le opportunità di una riforma e della ricerca
SI: Dall’ultimo Rapporto Osservasalute, curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, sono emerse poche luci e molte ombre sul nostro SSN. La sanità è stata maltrattata troppo a lungo in termini di costi e con la pandemia questo approccio ha evidenziato delle criticità anche in quelle realtà ritenute di punta al paragone, per esempio, con la Germania. Lei avverte l’urgenza di una riforma sanitaria per superare queste criticità?
WR: Sì, senza dubbio. Oggi più che mai c’è la necessità di una riforma strutturale e organica. La riforma Bindi del 1999 era parziale, per cui l’ultima vera riforma risale al 1992. Ora il mondo è cambiato, le sfide sono veramente importanti: è necessaria una riforma sanitaria che dia delle risposte adeguate ai tempi.
SI: Dal Rapporto Osservasalute sono emerse anche le fragilità del decentramento in ambito sanitario, specie alla prova del Covid-19. Professor Ricciardi, cosa dobbiamo aspettarci in autunno nell’eventualità di una recrudescenza della pandemia?
WR: Al virus non interessa la differenza regionale, geografica o politica. Se non miglioriamo i meccanismi di coordinamento decisionale e persiste una frammentarietà per cui ogni Regione decide per conto proprio, per il virus sarà più facile insinuarsi, e avremo un’ulteriore conferma di tutto quello che ormai succede da tanti anni, ovvero un’enorme eterogeneità nei dati epidemiologici e in quelli assistenziali.
SI: Professor Ricciardi, che lezione possiamo trarre da questa pandemia? Lei ha detto che l’Italia ha bisogno di una terapia genica, ha bisogno di cambiare il suo DNA.
WR: Non so se riusciremo a fare una terapia genica perché i tempi sono davvero stretti, però possiamo farcela con una terapia d’urto. È necessario un rapido cambiamento: ora abbiamo l’opportunità di questi fondi, ma li dobbiamo prendere, e poi dobbiamo avere leadership nei diversi settori del SSN, tra i politici, i professionisti e gli imprenditori. Insomma, bisogna superare le divisioni e mettersi tutti insieme intorno a un tavolo per cercare di disegnare un futuro per questo Paese, proprio come accadde dopo il secondo conflitto mondiale. È molto difficile, se non impossibile, cambiare il DNA dell’Italia, perché abbiamo una storia travagliata. Ribadisco la necessità di una terapia d’urto, incidendo e insistendo nei settori veramente importanti e innovativi, altrimenti rischiamo di diventare marginali, quando invece potremmo essere protagonisti, viste le nostre capacità.
SI: Nel Documento di Posizione che verrà presentato a novembre, nell’ambito del progetto “Biotech, il futuro migliore”, professor Ricciardi, lei cosa inserirebbe come proposta operativa?
WR: Dobbiamo considerare questo come un momento storico per il nostro Paese. Siamo davanti a un bivio, a una vera e propria biforcazione, per cui è necessario esprimere tutti insieme le nostre potenzialità più importanti. Una proposta operativa non può che passare dal rafforzamento delle nostre competenze: è necessario investire nella scuola, nell’università, nella ricerca e nella cultura. È chiaro che non avremo risultati immediati ma solo dopo una decina d’anni. Tuttavia, saranno risultati che metteranno in sicurezza il Paese. Non solo: è importante accelerare e recuperare sul digitale, sulle tecnologie innovative e, in generale, sul gap culturale e tecnologico. Questa è l’ultima occasione che abbiamo.