Ne abbiamo parlato con Niccolò Invidia, deputato del MoVimento 5 Stelle e firmatario di una mozione sul tema in Parlamento
Nelle ultime ore alla Camera è stata votata all’unanimità una mozione del deputato del MoVimento 5 Stelle Niccolò Invidia, che prevede l’integrazione del Documento di economia e finanza e degli altri atti di programmazione economica con l’indice di digitalizzazione e innovazione del Paese. Stiamo parlando del Desi (Digital Economy and Society Index) che, a dire la verità, nella sua ultima edizione ha consegnato all’Italia dei dati impietosi.
Il Desi 2020 infatti mostra una fotografia del Paese poco incoraggiante: l’Italia occupa il quartultimo posto fra i 28 Stati membri dell’Unione Europea (davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria), con un gap tecnologico nei confronti degli altri paesi che continua a crescere inesorabilmente, soprattutto nel campo delle competenze digitali della popolazione.
Se guardiamo bene la classifica, possiamo notare come nei paesi che occupano le prime posizioni, come Finlandia o Svezia, a un’alta diffusione delle tecnologie digitali corrispondano elevati livelli di sviluppo socio-economico e una qualità di vita più elevata. Va da sé dunque che l’Italia deve cambiare subito passo per recuperare il suo ritardo digitale. “Purtroppo, tra i parametri vitali per la nostra economia e che ancora ignoriamo, c’è proprio quello della digitalizzazione”, ci spiega lo stesso Invidia.
L’intervista
Il gap con gli altri Paesi sembra ormai incolmabile.
Non è totalmente vero. Di certo il dato generale è negativo, ma gli sforzi fatti dal nostro Paese in questi ultimi mesi hanno dato risultati incoraggianti su alcuni fronti. Penso, ad esempio, a quello della connettività. La copertura nazionale infatti, a differenza dello scorso anno, ora si assesta sulla media europea e per quanto riguarda la preparazione al 5G siamo al terzo posto, ben oltre la media europea. C’è molto da fare, invece, sul versante del digital divide, che condiziona ancora diverse aree del nostro Paese e sul capitale umano, visto che l’Italia registra i numeri più bassi in merito alle competenze digitali della popolazione e del numero di specialisti e laureati nel settore dell’innovazione. Analogamente, le imprese italiane presentano ritardi nell’utilizzo delle nuove tecnologie, come ad esempio i big data, e solo il 10% delle nostre pmi vende online (la media Ue è 18%, n.d.r.). Dobbiamo assolutamente accompagnarle in questo processo di trasformazione tecnologica.
Perché allora presentare una mozione per integrare l’indice Desi nel Documento di economia e finanza?
L’emergenza covid-19 ha reso ancor più manifesta la necessità di avviare un processo accelerato di digitalizzazione dei servizi pubblici e delle attività economiche. Nonostante sia così importante però, in questi anni non ho mai visto proteste nelle piazze d’Italia per chiedere al governo più innovazione. Questo significa che, ancora oggi, il gap digitale è percepito come un’urgenza solo da una piccola parte di addetti ai lavori, ma l’opinione pubblica non ha ancora chiara l’entità del problema. E non lo prende abbastanza sul serio.
Questa proposta nasce per dare finalmente un riferimento quantitativo al fenomeno del digitale in Italia, allegando appunto al Def un indice di digitalizzazione del Paese. In questo modo sarà possibile monitorare l’andamento in base ai dati forniti dall’Istat, per analizzare lo sviluppo tecnologico e digitale del Paese e valutare gli impatti delle politiche attuate dal Governo. E inoltre, si potrà garantire la centralità del tema nell’agenda politica e una seria programmazione economica, sulla quale media e cittadini potranno vigilare, richiamando se necessario lo Stato al rispetto delle misure previste per la modernizzazione del Paese.
Ci sono dei precedenti normativi.
Sì, negli anni l’economia ha introdotto una serie di indici integrativi al Pil come l’indice di Gini, lo human development index e il Bes (Indice sul benessere sostenibile dell’Istat). Soprattutto quest’ultimo rappresenta un precedente interessante. L’introduzione di questo indice nel Def, avvenuta nel 2016, ha portato infatti negli anni a una maggiore attenzione sul tema, al punto che a palazzo Chigi è stata creata una cabina di regia apposita, “Benessere Italia”. È quello che pensiamo possa accadere inserendo un indice di innovazione interno, equivalente al Desi.
Alla luce dei dati attuali, non ci sarebbero interventi più urgenti?
È chiaro che questa non è la soluzione a tutti i problemi. Monitorare costantemente l’andamento dello sviluppo tecnologico del Paese però consentirà di indirizzare la politica economica del futuro e fungerà da efficace strumento di soft power. Inserire il Desi nei prossimi Documenti di economia e finanza è un passo fondamentale, non solo perché introduciamo un nuovo indice economico riconosciuto, ma soprattutto perché cambieremo le nostre priorità come Paese, impegneremo il Governo a mettere in campo annualmente nuove misure economiche per migliorare nell’indice ed essere in linea con la rivoluzione industriale in corso e con lo spirito del tempo. Ogni anno il Governo sarà obbligato poi, a informare il Parlamento degli interventi e dei risultati raggiunti. Chiaramente, accanto a questo, dovranno muoversi in parallelo gli interventi normativi già messi in campo per accelerare il processo di digitalizzazione del Paese.
Cosa sta facendo l’Italia per diventare un Paese più moderno e competitivo?
Siamo consapevoli che, di questo passo, corriamo il rischio che l’Italia diventi un’economia mediocre tra qualche decennio. Molto tempo è stato perso negli anni passati, ma ora dobbiamo cominciare a correre. E questa maggioranza ha dimostrato di scommettere in maniera forte su innovazione e sviluppo sostenibile.
Nel 2019 è nato un nuovo Ministero per l’Innovazione e, nell’ultimo anno, ci sono stati grandi passi in avanti nell’attuazione dei progetti di digitalizzazione della pubblica amministrazione. Il governo ha poi lanciato il piano ‘Transizione 4.0’, con una dotazione di sette miliardi per finanziare gli investimenti delle pmi in innovazione sostenibile, ricerca e formazione. Ci sono i voucher per dotare le aziende di manager e consulenti per l’innovazione e i fondi per l’acquisto di macchinari innovativi. A questo possiamo aggiungere la ripresa del piano banda ultralarga, con la copertura con fibra ottica delle scuole e delle cosiddette “aree grigie”.
Cosa manca ancora?
Non è ancora abbastanza, si può e si deve fare di più. Un esempio su tutti: nonostante le buone prestazioni raggiunte in materia di e-Gov e OpenData, soltanto il 32% degli utenti italiani online usufruisce concretamente dei servizi pubblici digitali, rispetto a una media Ue del 67%. Trovo che sia fondamentale dunque, agire con decisione sulle persone: il 76% della popolazione finlandese possiede competenze digitali di base o superiore, contro il 32% del nostro Paese. Questo significa che, per sfruttare a pieno le nuove opportunità tecnologiche, sarà fondamentale puntare su un sistema di formazione moderno e stimolare la riqualificazione della forza lavoro che, in un mercato che evolve a velocità supersonica, dovrà necessariamente dotarsi di competenze specialistiche in campo digitale.