StartupItalia ha fatto il punto della situazione sulla pandemia in Italia con lo studente di Economia che fin dall’inizio dell’emergenza sta elaborando l’analisi dei dati sul Coronavirus
Continuano a registrarsi dati preoccupanti riguardo alla pandemia da Covid-19 in Italia. Nella giornata di ieri, 27 ottobre, il Ministero della Salute ha riportato 221 decessi e 127 nuovi ricoveri in terapia intensiva. Numeri in forte crescita, diretta conseguenza del deciso aumento dei contagi, in atto da circa venti giorni a questa parte. “È l’incremento che ci si aspettava di avere, sia riguardo ai decessi sia alle terapie intensive, data l’attuale letalità della malattia”, osserva Lorenzo Ruffino, studente di Economia all’Università degli Studi di Torino che fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria sta elaborando e raccogliendo, anche per Pagella Politica e YouTrend, tutti i dati disponibili sull’avanzata del Coronavirus. “Stando così le cose, da qui a una settimana, questi numeri probabilmente si confermeranno“.
L’andamento settimanale e la saturazione dei test
Il trend settimanale dei contagi segna ancora un aumento esponenziale. “C’è stato un leggero rallentamento rispetto alla settimana precedente. Tuttavia”, afferma Lorenzo Ruffino, “questo non equivale per forza a una buona notizia. La diminuzione nell’andamento deriva in parte dal fatto che si sta saturando la capacità nazionale di eseguire i tamponi“.
Leggi anche:
Decreto Ristori, cosa contiene. Tutte le misure
“In alcune regioni i tassi di positività sono molto alti, quindi se i test sono limitati, i casi a un certo punto non possono più crescere”. Da alcuni giorni, sembra infatti essersi stabilizzata la quota massima di circa 180mila tamponi al giorno. Ieri, il tasso di positività si attestava al 13%, una percentuale molto alta, che testimonia la difficoltà nel testare e tracciare i casi.
Le prospettive per le prossime settimane
A oggi, con 1.411 ricoverati in terapia intensiva, la situazione in questi reparti è simile a quella del 13 marzo scorso, due giorni dopo l’inizio del lockdown nazionale. All’epoca, con l’Italia in quarantena, il picco dei ricoveri in terapia intensiva si raggiunse venti giorni dopo. Tornando alla situazione attuale, ci si chiede se sia ormai tardi o meno, per evitare che si ripetano scene di massima criticità negli ospedali, le prossime settimane. “Dipende quando verranno attuate ulteriori restrizioni“, commenta Ruffino. “Le ultime disposizioni messe in campo, difficilmente avranno un vero impatto che potrà abbattere il numero di nuovi contagi. A oggi, si parla di rivalutare le misure il 10 novembre. Potrebbe essere troppo tardi: con il trend attuale i primi di dicembre il numero di ricoveri di terapie intensive sarebbe peggiore a quello avuto a fine marzo”.
© Ministero della Salute
Le regioni più critiche
“Valle D’Aosta e Liguria presentano situazioni critiche“, spiega Lorenzo Ruffino. “La Valle D’Aosta ha quasi l’8% di ospedalizzati sul totale dei casi Covid attivi e 84 ospedalizzati ogni 100mila abitanti. In Liguria, il 12% dei casi attivi sono in ospedale, con circa 50 ospedalizzati ogni 100mila abitanti. Numeri molto alti, se si pensa che la media nazionale è di circa il 6% di ospedalizzati sui casi attivi e di 25 ospedalizzati ogni 100mila abitanti“.
Leggi anche:
Ricciardi (consigliere Salute): “Serve lockdown a Milano e Napoli”
Tuttavia, queste non sono le uniche regioni a viaggiare su numeri preoccupanti. “I posti in ospedale sono limitati e si stanno saturando rapidamente”, avverte Ruffino. “Il Ministero della Salute ad aprile ha stabilito due soglie di allerta: il 30% dei posti in terapia occupati e il 40% delle aree mediche rilevanti, entrambi esclusivamente da casi Covid. Oltre la soglia delle terapie intensive ci sono già Campania, Umbria e Valle D’Aosta. Riguardo alle aree mediche rilevanti, hanno superato il 40% la provincia di Bolzano, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia e Valle D’Aosta“.
La situazione in Lombardia
Regione più colpita a primavera, la Lombardia presenta il maggior numero di contagiati giornalieri anche in questa seconda fase e i dati sui ricoveri iniziano a farsi pesanti. “La Lombardia ha già il 27% dei posti in terapia intensiva occupati. Occorre considerare che, in media, il 60/70% dei posti in terapia intensiva sono normalmente impegnati da pazienti con altre patologie. Perciò”, dice Ruffino, “quando gli ospedali raggiungono questa soglia, significa che si stanno riempiendo e iniziano a non accettare più altri pazienti di altre malattie, sospendendo interventi per lasciare postazioni libere”.
Leggi anche:
La pandemia ha cambiato il modo di fare la spesa. Ecco come
Rispetto alla prima ondata, sembra essere mutata la geografia dei contagi. “Le zone più colpite ora sono Monza e Milano“, osserva Ruffino. “Soltanto ieri, in un giorno, si è contagiato lo 0,15 di tutta la popolazione della provincia”. Una tendenza che, in quest’area, va avanti già da alcune settimane, spiega lo studente dell’Università di Torino.
Il sistema di testing e tracing è saltato, come rimediare?
“Probabilmente, l’unico modo per riprendere il controllo del tracciamento è un lockdown in grado di abbattere il numero dei casi. Una modalità applicata recentemente in Israele. Non esistono altre soluzioni, attualmente. La crescita dei casi è molto alta”. Si tratta, in sostanza, di ridurre in modo drastico il numero dei contagi, per poi tornare a gestire il tracciamento. “Il problema”, sottolinea Ruffino, “è che se la situazione peggiorasse di nuovo, saremmo punto a capo. Il numero di tamponi effettuati è limitato e le persone che fanno contact tracing in Italia sono poche. Non sono aspetti che si possono migliorare da un giorno all’altro”.
Leggi anche:
Vaccino, come ne distribuiremo miliardi di dosi in tutto il mondo?
Considerando, inoltre, che dei 180mila tamponi giornalieri a cui si è arrivati, molti test sono ripetuti e questo sottostima il tasso di positività rilevato. “È impossibile sapere con precisione quale percentuale i tamponi ripetuti abbiano sul totale giornaliero. Se in una regione si verifica un’alta differenza fra tamponi e casi testati, cioè i sottoposti almeno una volta al test, si può però assumere che in quella regione ci siano molti tamponi ripetuti”. Dato che è difficile che i test vengano effettuati di nuovo su persone già positive, “è ragionevole assumere che siano tamponi su personale medico sanitario e forze dell’ordine, che li ripetono frequentemente”, commenta Ruffino.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte
A corroborare questa ipotesi sembra essere il fatto che, dopo l’abolizione del secondo tampone negativo, da parte del Cts, non sia cambiato molto il numero dei tamponi totali. “Questo sembra confermare la frequenza con cui vengono testati il personale medico sanitario e le forze dell’ordine. Specialmente in regioni come Piemonte e Veneto, dove la differenza fra tamponi e testati è più alta.”
Covid e dati istituzionali, troppa carenza
In ogni caso, per rendere più chiaro il quadro sulla pandemia da Covid-19 in Italia, sarebbero necessarie informazioni più specifiche e approfondite. “Innanzitutto, mancano i dati relativi alle fasce di età, contenuti soltanto nel bollettino settimanale dell’ISS, che però è sempre vecchio di diversi giorni. Occorrerebbe poi sapere il numero di tamponi in base alla fascia di età. Numeri necessari per capire se i ragazzi sono testati tanto o poco”. Inoltre, osserva Ruffino, scarseggiano informazioni a livello provinciale, che oggi si limitano ai casi totali.
Leggi anche:
Covid, cosa sono i super anticorpi toscani anti-Covid di Rino Rappuoli
Infine, c’è poca uniformità e trasparenza sui numeri comunicati ogni giorno dalle regioni. “Ho chiesto personalmente a tutte le regioni che tipo di tamponi inseriscono nei bollettini quotidiani: se quelli prelevati o solo quelli analizzati. Veneto, Piemonte e Sicilia, ad esempio, comunicano i prelevati”. Tutti elementi che sporcano in maniera pesante la qualità delle informazioni a disposizione, rendendo più complicato prendere decisioni di conseguenza.