Siamo di nuovo in emergenza, costretti forse a chiudere perché gli ospedali non reggono. Eppure sono stati spesi miliardi per potenziarli. Cosa è andato storto?
Quando si iniziò ad allentare il lockdown, Roberto Speranza disse che si sarebbe monitorata la situazione per decidere nuove, eventuali, chiusure sulla base di diversi parametri. Tra questi, non c’era solo l’indice Rt, che permette di capire con che velocità progredisce l’epidemia in rapporto alla popolazione, ma anche il numero dei letti nelle terapie intensive. Perché se si arriva al lockdown non è solo per proteggere la popolazione, ma anche per evitare che salti il Sistema Sanitario Nazionale, ormai interamente concentrato sui malati da Covid tanto da faticare a fornire le cure per tutti gli altri degenti. L’emergenza sanitaria della prima ondata è finita a giugno, già a maggio il governo aveva stilato un piano per potenziare le terapie intensive in tutta la nazione. La marea del Coronavirus sta nuovamente montando, probabilmente siamo solo all’inizio eppure già si parla di ospedali in affanno. Quante Regioni hanno trascorso i mesi estivi facendo i compiti?
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Solo 3 su 20
Secondo i calcoli dell’Osservatorio Conti Pubblici dell’Università Cattolica, appena 3 su 20. L’istituto di Carlo Cottarelli ormai non fa più le pulci al Governo solo sui conti dello Stato – del resto che siano fuori controllo è sotto gli occhi di tutti – ma anche sul lavoro fatto per essere preparati alla seconda ondata dalle singole Regioni, responsabili in prima battuta di quanto avviene in campo sanitario. “Il Decreto Rilancio – scrivono l’ex mister Spending Review e Federica Paudice – aveva previsto 3.500 nuovi posti letto in terapia intensiva che avrebbero garantito la presenza di 14 posti letto ogni 100.000 abitanti in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale. A oggi le unità aggiuntive sono però solo 1.279, meno della metà rispetto all’obiettivo prefissato”.
Tante cicale (oggi in terapia intensiva), ben poche formiche
Quindi chi ha passato l’estate facendo la cicala e chi sono le rare formiche? Utile saperlo, dato che sulla base di queste decisioni e della responsabilità dimostrata dagli amministratori del territorio si può valutare la loro condotta quando si è chiamati a esprimere il rinnovo delle giunte regionali. “Sono andate particolarmente bene Veneto, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Basilicata con un grado molto elevato di completamento dei posti letto. Le prime tre regioni hanno ottenuto un aumento dei posti letto addirittura superiore a quello che era l’obiettivo (il grado di completamento è superiore al 100 per cento)”.
Oscar Cassa, direttore tecnico del cantiere (ph: Antonio Piemontese)
Tra le regioni che hanno implementato meno le proprie terapie intensive figurano invece Umbria, Calabria, Marche, Piemonte e Abruzzo. Ma la presenza inattesa tra le più pigre è quella della Lombardia, non solo perché viene ancora una volta intaccata la sua reputazione di eccellenza sanitaria, ma anche e soprattutto perché è stata l’epicentro della prima ondata (ed è tornata a essere l’epicentro pure di questa seconda mareggiata). Invece anche la Lombardia, secondo quanto riporta l’OCPI, “ha avuto un grado di completamento basso, intorno al 20 per cento”.
Ma per uscire dall’emergenza bastano i letti?
Apriamo una doverosa parentesi: il problema è ben più complesso e va oltre all’acquisto di qualche migliaio di letti e altrettanti respiratori, o potremmo allestire terapie intensive ovunque, persino domestiche. Serve infatti il personale specializzato, che non si forma nel giro di una estate e non si acquista su Amazon. Il 16 ottobre la testata specializzata QuotidianoSanità.it per esempio sottolineava l’assenza di anestesisti: “prima dell’emergenza per ogni posto letto c’erano 2,5 unità di personale. Con l’incremento dei posti il rapporto è sceso a 1,6”. Anche in questo caso, la situazione varia molto da una Regione all’altra: quelle messe peggio sono Calabria e Marche: 1,4 anestesisti per posto letto di terapia intensiva. “Al contrario la Regione che mantiene il rapporto più alto è il Friuli Venezia Giulia con 2 unità per posto letto. Se consideriamo la riduzione del rapporto, la Regione che registra la riduzione più alta è la Valle d’Aosta (- 1.7), passando da 3,5 anestesisti e rianimatori per posto letto prima dell’emergenza a 1,8. Al contrario, Veneto e Molise registrano il decremento minore passando rispettivamente da 1.9 a 1.6 e da 2.0 a 1.7”.
Cosa è andato storto?
Ma torniamo alle terapie intensive e al fatto che molte Regioni non siano riuscite a potenziarle, nonostante il fiume di denaro sgorgato da Roma. L’Osservatorio di Cottarelli non si limita a riportare i numeri del fallimento, ma prova anche a ricostruirne le ragioni. Secondo il Commissario Straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, i piani presentati e approvati dalle Regioni “erano spesso privi di dettagli tecnici, operativi e logistici necessari per poter avviare le gare”. Quindi, si legge nel report, “sarebbero servite altre settimane per completarli.
Conseguentemente il bando relativo è stato pubblicato solo a inizio ottobre, con scadenza per la partecipazione alla gara fissata al 12 ottobre. Questa sarebbe stata la causa dei ritardi”. Non bisogna del resto essere tecnici o virologi per aggrottare le sopracciglia di fronte a questa notizia: “Coronavirus/ Arcuri: al via il bando da 713 milioni per rafforzare il Ssn – Rafforzamento e incremento delle terapie intensive, aumento dei posti letto, ristrutturazione dei pronto soccorso“. È apparsa sul Sole 24 Ore lo scorso 2 ottobre, cioè appena 28 giorni fa, quando ormai eravamo nel pieno dell’autunno e all’inizio della seconda ondata. Come mai è stata pubblicata tanto tardi? Ovviamente non per una svista del giornale, ma per l’eccessiva lentezza con cui si è mosso il Commissario, che pure gode di poteri pressoché infiniti e senza pari in tema di acquisti e appalti pubblici. Straordinari, appunto.
Il commissario straordinario all’emergenza coronavirus Domenico Arcuri
Non lo diciamo noi. Lo ha detto qualche settimana fa al Foglio Vittorio Alvino, presidente di Openpolis, che si occupa di trasparenza nella pubblica amministrazione. In realtà Alvino dice ben di peggio: “Arcuri opera con il favore delle tenebre” [una immagine non casuale, che rimanda alla famosa frase pronunciata da Giuseppe Conte per difendere l’operato del Governo nell’emergenza Covid – ndR], le dirada solo quando vuole, perché ha la facoltà di amministrare in maniera autonoma i processi”.
Chi ha ricevuto più soldi per le terapie intensive?
Openpolis non ha smesso di indagare sul pasticciaccio brutto della mancanza di nuove terapie intensive rimpallato da Stato e Regioni. Tre giorni fa ha pubblicato una analisi in cui, per esempio, evidenzia che, degli 1,4 miliardi stanziati per l’attuazione dei piani di riorganizzazione sui posti letto con il dl Rilancio, “la Lombardia è quella con l’assegnazione maggiore (225 milioni) seguita da Campania (163,8 milioni) e Sicilia (123 milioni)”. Ricevuti i soldi, 9 Regioni (Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Puglia, Sicilia, Valle d’Aosta, e delle province autonome di Bolzano e Trento) hanno chiesto la delega del commissario per le opere di adeguamento o ristrutturazione degli ospedali.
Sparsi per la nazione abbiamo quindi 9 mini-Arcuri: “in base alla delega del commissario, i presidenti di regione possono utilizzare i suoi poteri per le opere edilizie e impiantistiche necessarie per attuare il piano regionale”. Nonostante questo, in molte Regioni i posti nelle terapie intensive si stanno nuovamente esaurendo. L’Abruzzo è tra quelle messe peggio e non potrà nemmeno dare tutta la colpa ad Arcuri perché, come abbiamo visto, aveva chiesto a Roma totale autonomia d’azione. Fulgido esempio, insomma ,che il ritardo è colpa di mal funzionamenti a ogni livello. Ma chi pagherà? Probabilmente nessuno. Nel frattempo bisogna augurarsi non solo di non prendere il Covid, ma anche, nel caso, di beccarselo mentre si è nella Regione giusta…