Quanto viene trattato in azienda il tema della diversità e dell’inclusione? Per aiutare le aziende a farlo una startup ha lanciato il gioco Diversity@Work.
Che percentuale di donne ci sono nella vostra azienda? Quanti sono gli stranieri? Qual è il rapporto percentuale tra eterosessuali e omosessuali? Anche se le informazioni su sesso, religione, etnia non dovrebbero riguardare il modo in cui lavoriamo di fatto è ciò che succede. Tenere conto di questi dati è importante soprattutto quando i lavoratori, dipendenti o manager che siano, non sono in grado di gestire un ambiente fatto sempre più di culture diverse. A volte infatti i pregiudizi possono arrecare danno non solo alle persone direttamente coinvolte ma al benessere in azienda con conseguenze sulla stessa produttività.
Per questo in alcuni test d’ingresso come quelli delle istituzioni europee ci sono dei quesiti che indagano come il candidato reagisce in situazioni tipo con altri colleghi.
Poiché il mondo delle interazioni umane è complesso è altrettanto difficile capire se nel proprio ambiente di lavoro ci sono dinamiche tossiche dovute alla cattiva gestione dei singoli e del team del tema della diversità. Sì perché siamo tutti diversi e questo può portare ricchezza (nuovi punti di vista, nuove riflessioni, nuovi prodotti) così come problemi. Per fortuna le aziende che stanno al passo coi tempi hanno già capito che etnia, genere, orientamento sessuale o religioso, disabilità, età sono temi da tenere in conto che possono essere fonte di ricchezza se ben gestiti. E infatti le grandi aziende che hanno già riconosciuto il problema in Italia, solo nel 2018, sono state il 73%. Per farlo hanno offerto ai propri dipendenti una formazione manageriale volta alla sensibilizzazione sulle tematiche D&I, Diversity&Inclusion (diversità e inclusione).
Ad offrire una soluzione su come imparare a riconoscere e gestire la diversità a lavoro è un videogioco tutto italiano di nome Diversity@Work, realizzato da Work Wide Women.
Fondata nel 2014 con lo scopo di diminuire la disoccupazione femminile e far sì che le donne si avvicinino all’Information Communication Technology, Work Wide Women è da sempre in prima linea nella creazione di progetti volti all’inclusione sociale in azienda.
Cos’è Diversity@Work
Prima di tutto non è un test. È un videogioco molto semplice in cui si presentano al giocatore diverse situazioni tratte da casi reali. Ad esempio una dipendente, probabilmente in quanto donna, è l’unica che non è stata citata tra i realizzatori di un progetto. Si chiede dunque come procedere, lasciar perdere o indagare sulle ragioni di un comportamento scorretto reiterato senza apparente giustificazione. Ogni scelta proposta porta a dei punteggi che vanno ad accrescere o meno i diversi valori in gioco: ‘Management’, ‘Leadership’, ‘Clima’, ‘Team Skills’. Alcune scelte possono aumentare certi valori e diminuirne altri.
A garantire la bontà dei risultati il fatto che i macro indicatori utilizzati per le metriche facciano riferimento ad un documento dell’Unione Europea che propone una checklist per l’analisi del diversity management, pubblicato nel 2012 e successivamente aggiornato.
L’importanza dell’anonimato
L’altra caratteristica importante di Diversity@Work è l’anonimato di chi gioca. Non si vuole infatti giudicare nessuno ma solamente aiutare le persone a riflettere su certe dinamiche.
“La dimensione dell’Applied Game (videogame educativo) – ha detto Linda Serra, CEO e Co-Founder di Work Wide Women – è adatta per astrarre determinate situazioni e riproporle in un ambiente neutro e non giudicante. In questo modo, è più semplice far emergere tutte quelle circostanze che, se gestite in modo costruttivo e positivo, rappresentano sempre un arricchimento della persona, come singolo individuo e come membro di un team di lavoro. Diversity @ Work è un gioco non è un test né un assessment; ciò non toglie che se un’azienda lo volesse usare per misurare la sensibilità degli intervistati a determinati temi, sarebbe libera di far giocare i candidati in fase di colloquio.” L’azienda grazie al gioco potrà decidere, in base ai dati aggregati ricevuti, se sarà necessario organizzare corsi di approfondimento per la gestione del problema o parlarne con un coach.
Come confermato da Serra, quello del D&I, Diversità e Inclusione, non è un problema solo italiano però.
“L’Europa è composta da Paesi più avanzati rispetto al nostro per questi temi e da alcuni invece più arretrati; i temi di D&I sono temi attuali e sempre più attuali in tutto il mondo, non solo nei paesi più o meno emancipati. La società sta attraversando profondi cambiamenti grazie anche all’evoluzione tecnologica, per cui ci troviamo per fortuna ad avere un’uniformità di posizioni lavorative in ambiti fino a poco tempo fa impensabili. Pensiamo solo all’industria 4.0: per mandare avanti un reparto produttivo oggi è necessario saper usare un software e avere una preparazione tecnica, quindi che sia un uomo o una donna a farlo non fa differenza. Abbiamo persone altamente specializzate di 30 anni che sono messi a capo di team composti da professionisti che hanno l’età dei propri genitori o nonni; abbiamo team diffusi in mezzo mondo con persone che vivono in continenti diversi, che hanno culti e modalità di vivere opposte: sono tutte persone chiamate a lavorare insieme per la stessa azienda. Tutto questo comporta l’accettazione delle reciproche differenze per poter conseguire un obiettivo comune in modo vincente.”
Les jeux sont faits.