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Intervista a Chiara Giovenzana, Investment Director Healthcare Tech di ENEA Tech, a margine della prima tappa della nuova edizione del progetto “Biotech, il futuro migliore”
“Il mio sogno è che nel 2035 chiunque abbia voglia di fare qualcosa di grande, in qualsiasi ambito, possa avere il dubbio se farlo in Italia o in quella che diventerà la Silicon Valley. E, a quel punto, possa scegliere di realizzarlo nel nostro Paese, perché troverebbe sia le condizioni che le opportunità, ma anche la qualità di vita”. Era il 2015, quando Chiara Giovenzana – Investment Director Healthcare Tech di ENEA Tech – decide di fare i bagagli per rientrare in Italia, lasciando proprio la Silicon Valley “perché non potevo realizzare il mio sogno, rimanendo dall’altra parte dell’oceano”. E l’attuale lavoro nella Fondazione ENEA Tech – nata con la missione di promuovere investimenti in ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico – rientra esattamente in questa visione, rappresentando “uno degli step fondamentali per la realizzazione del mio sogno”.
Giovenzana è stata una delle relatrici del tavolo di lavoro “L’importanza dell’ecosistema per il rilancio del Paese”, che ha costituito la prima tappa della nuova edizione del progetto “Biotech, il futuro migliore – Per la nostra salute, per il nostro ambiente, per l’Italia”, promosso da Federchimica Assobiotec in partnership con StartupItalia. Nel 2021 il progetto si muove in una logica di continuità e mira ad aggiornare e approfondire il Piano di proposte elaborato nel 2020, allineandolo con il nuovo PNRR, così da renderlo uno strumento concreto per contribuire allo sviluppo del settore delle biotecnologie in Italia, leva importante per la rinascita e la crescita economica del Paese e il suo traghettamento nel futuro.
Tra quattro tavoli di lavoro e tre puntate speciali di StartupItalia Live, il progetto ci condurrà a un nuovo grande evento finale, martedì 9 novembre 2021, dove racconteremo i risultati raggiunti, coinvolgendo la comunità economica, scientifica e dell’innovazione, ma soprattutto il grande pubblico, con una forte attenzione agli studenti di scuole e università. Al primo gruppo di lavoro, che si è tenuto lo scorso 29 marzo, hanno partecipato oltre 50 esperti – tra associati di Assobiotec, stakeholder e istituzioni – che hanno avviato una riflessione condivisa proprio sulla necessità di creare un ecosistema virtuoso per lo sviluppo del comparto biotech e, più in generale, per il rilancio di economia e competitività. A questo proposito, abbiamo intervistato Chiara Giovenzana, per approfondire alcune delle tematiche emerse nel corso del suo intervento.
Intervista a Chiara Giovenzana
StartupItalia: Dott.ssa Giovenzana, partiamo dalle basi: qual è il suo compito e il suo obiettivo in ENEA Tech?
Chiara Giovenzana: Il mio compito è quello di decidere gli investimenti nel settore Healthcare Tech. Vista la dotazione iniziale della Fondazione, pari a 500 milioni di euro, da investire in quattro settori – Deep Tech; Green, Energy, Circular Economy; Information Technology; Healthcare Tech – io ho la responsabilità di scegliere come investire sostanzialmente 125 milioni di euro in aziende che operano nell’ambito di mia competenza, per supportarle nel trasferimento tecnologico, ovvero nel portare sul mercato tecnologie strategiche di interesse nazionale, tenendo sempre in considerazione un driver di crescita.
SI: Quale?
CG: La sostenibilità. Il mio obiettivo è fare investimenti in linea con i 17 Sustainable Development Goals previsti dall’Agenda 2030 dell’ONU collegandoli al mio ambito di riferimento, perché voglio avere un impatto reale e positivo sul territorio e sul nostro Paese. Un fil rouge che guida ogni verticale in ENEA Tech. Per portare un paio di esempi concreti, con il mio team stiamo vagliando progetti interessanti nella telemedicina, volta a ridurre l’ospedalizzazione e l’assistenza alle persone più fragili, così come a dispositivi e nuove tecnologie volte alla diagnosi precoce.
SI: Per attrarre la sua attenzione e quella del suo team, e poi per ricevere l’investimento, quale identikit deve avere un’impresa che opera nel suo ambito?
CG: Da una parte, guardiamo al contenuto tecnologico dell’azienda, che deve essere game changer, in grado di cambiare lo status quo in un determinato settore; dall’altra, verifichiamo se sono presenti o meno quelle capacità di business e management necessarie a trasformare una vision in un’azienda che avrà un impatto sul Paese.
SI: Quindi, oltre all’aspetto tecnologico, un’importanza altrettanto rilevante ce l’ha il team.
CG: Io credo che il team, in generale, sia il fattore più importante.
SI: Se una startup avesse delle enormi potenzialità tecnologiche, ma il team non fosse all’altezza…
CG: Non prenderebbe l’investimento. Il team è cruciale. Tuttavia, se il relativo contenuto tecnologico fosse davvero elevato e il team fosse d’accordo, potrebbe essere affiancato da una o più persone con le skills mancanti.
SI: Come è stato sottolineato dal tavolo di lavoro, nelle Life Science si avverte la mancanza del tassello che va a colmare il salto tra la ricerca fondamentale e il livello di sviluppo per cui venture capitalist e business angel iniziano a operare, ossia riuscire ad arrivare a un proof-of-concept nell’animale. Ci vorrebbero dei fondi che aiutino ad arrivare a questo punto, che poi è quello su cui si finisce a parlare dal punto di vista industriale. Voi investite anche in quella fase?
CG: Sì, a noi non interessa il TRL (il Technology Readiness Level indica una metrica di valutazione del grado di maturità tecnologica di un prodotto o processo, ndr). In particolare, gli investimenti di tipo grant, con una piccola percentuale di convertibile, tra i 200 e i 500 mila euro, possono essere utilizzati proprio per fare ulteriore de-risking nella fase di esplorazione e sviluppo della tecnologia, e di verifica della fattibilità tecnica, economica e industriale della stessa. ENEA Tech, in generale, investe in tecnologie in ambito pre-mercato, ma questo non significa che debba esserlo pure la società, visto che noi possiamo investire anche in PMI, per essere chiari. Il capitale che noi immettiamo, però, deve essere utilizzato per portare sul mercato un prodotto o un servizio disruptive.
SI: Tra le criticità segnalate nel Piano di proposte elaborato nel 2020 da Assobiotec, è stato evidenziato che nonostante gli investimenti di VC siano aumentati negli ultimi anni, si tratta di fondi che riescono a sostenere una startup biotech solo nelle prime fasi di sviluppo. Oggi chi lancia una startup biotech arriva fino a un certo punto e poi è costretto a spostarsi all’estero per poter crescere. Gli investimenti in startup innovative in Italia hanno un taglio medio di 6 milioni di euro, quando in Europa i tagli medi sono di 20 milioni di euro: queste cifre non consentono alle startup italiane di crescere passando a fasi avanzate di ricerca e sviluppo. Detto questo, mi rivolgo alla biotecnologa e alla ex ceo di Cellec Biotek, startup per la produzione di bioreattori che permettono la coltura in laboratorio di cellule in 3D: cosa si può fare al riguardo?
CG: Ne sono pienamente consapevole ed è uno dei motivi per cui è nata la Fondazione ENEA Tech. Secondo le leggi europee, noi possiamo arrivare ad investire fino a un massimo di 15 milioni di euro per società, ma è chiaro che neanche questi siano sufficienti nel settore biotech, dove la necessità di capitali è molto maggiore che in altri settori. È un problema di magnitudo. Ed è per questo che noi siamo disponibili a lavorare in partnership con altri co-investitori, proprio per raggiungere quella massa critica necessaria a finanziare e sostenere nel corso del tempo anche le startup italiane che operano in questo ambito, evitando che siano costrette ad andare all’estero per poter crescere.
SI: Perché per ENEA Tech è così importante creare e rafforzare l’ecosistema?
CG: Perché per arrivare ad avere un grosso impatto sul Paese, l’ecosistema è imprescindibile: non basta un singolo player e neanche una singola categoria di player, come investitori, acceleratori o incubatori. Sono necessari tutti quanti, serve veramente un ecosistema allineato, che remi tutto nella stessa direzione. Anche perché abbiamo visto che il modello della Silicon Valley – dove c’è una unicorn, magari due o tre startup che sopravvivono, e tutte le altre che vanno in perdita e muoiono – non è più sostenibile in Italia: rafforzare l’ecosistema serve soprattutto a sostenere le startup più giovani, che hanno acquisito un ruolo sempre più importante a livello sociale.
SI: Che intende?
CG: Un rapporto della Kauffman Foundation ha dimostrato che negli Stati Uniti il massimo contributo alla creazione di lavoro qualificato deriva da imprese con meno di 5 anni di vita, fortemente innovative o focalizzate sulle tecnologie, perché creano un lavoro molto più resiliente e anticiclico, un trend riscontrato anche in Italia.
SI: Qual è il ruolo degli investitori e dei fondi di investimento al riguardo?
CG: Hanno un ruolo chiave perché le società di capitali sono proprio quelle che investono nelle nuove aziende, arrivando a generare fino al 65% di nuovi posti di lavoro. Una responsabilità sociale che va al di là del ritorno sull’investimento. Il paradigma è cambiato: quando si parla di generazione di lavoro qualificato, il focus non è più sulla taglia delle aziende, ma sull’età delle nuove imprese.
SI: Che ne pensa della proposta di Assobiotec di esonerare dalla tassazione ordinaria sulle rendite finanziarie (oggi al 26%) il capital gain ottenuto dagli investimenti in startup innovative?
CG: Investire in startup è molto più rischioso che fare tanti altri investimenti. Chi lo fa ci crede e spera in un ritorno economico, ma lo fa – più o meno consciamente – anche per avere un impatto sul nostro Paese. È per questo che bisogna incentivare e facilitare in qualsiasi modo queste operazioni di investimento in startup innovative.
SI: Lei spesso dichiara che il suo lavoro, in realtà, sia quello di unire i puntini. Che significa?
CG: Unire i puntini significa creare connessioni tra idee, luoghi e persone. Creare relazioni, un network. In Italia ci sono tantissime eccellenze, ma c’è troppa frammentazione: si lavora come tante isole separate, ma oggi più che mai bisogna imparare a collaborare, anche tra settore pubblico e privato, perché davanti a noi abbiamo delle sfide enormi, come quelle portate dalla pandemia e dai cambiamenti climatici, che possiamo vincere solo se lavoriamo tutti insieme. Unendo i puntini.