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A rivelarlo è il 7° Rapporto sulla Bioeconomia, realizzato da Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster SPRING e Assobiotec – Federchimica
Nel 2020, in Europa, la bioeconomia – intesa come sistema che utilizza le risorse biologiche, inclusi gli scarti, come input per la produzione di beni ed energia – ha subito una contrazione minore rispetto all’economia nel suo totale, reggendo meglio alla sfida della pandemia. È quanto emerge dal rapporto “La Bioeconomia in Europa”, giunto alla sua settima edizione e redatto dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster Nazionale della Bioeconomia circolare SPRING e Assobiotec – Federchimica. Alle analisi contenute in questa edizione hanno collaborato anche gli economisti di SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo.
La bioeconomia si distingue per essere un aggregato complesso, che travalica i confini tipicamente settoriali: attività e settori diversi, infatti, si interconnettono, così come i processi produttivi; e si realizzano scambi di materiali e tecnologie lungo le filiere. La matrice comune è rappresentata dall’utilizzo di materie prime biologiche e rinnovabili. La sua natura fortemente connessa al territorio, la capacità di creare filiere multidisciplinari integrate nelle aree locali e di restituire, grazie a un approccio circolare, importanti nutrienti al terreno pongono la bioeconomia come uno dei pilastri del Green New Deal lanciato dall’Unione europea, al centro anche di molti progetti del PNRR italiano.
Nell’ultimo rapporto dedicato a questo metasettore, le stime sono state aggiornate al 2020 con l’obiettivo di misurare gli effetti della crisi innescata dalla pandemia, evidenziando le componenti più resilienti sia in Italia che nei principali Paesi europei analizzati: Germania, Francia, Spagna, Polonia e Regno Unito.
La bioeconomia è più resiliente alla pandemia
In Italia, dopo aver chiuso il 2019 con un incremento dell’1,4%, nel 2020 la bioeconomia ha generato un output pari a 317 miliardi di euro, occupando poco meno di due milioni di persone, perdendo nel complesso il 6,5% del valore della produzione, un calo inferiore rispetto a quanto segnato dall’intera economia (-8,8%). La differenza, invece, risulta molto marcata in Spagna, dove la bioeconomia registra una contrazione del valore della produzione solo del 3% a fronte di un crollo del 10% dell’economia nel suo complesso. Molto buone le performance anche in Francia, dove il -2,3% della bioeconomia si confronta con il -8,7% dell’economia totale. La Polonia, invece, va in controtendenza, registrando un incremento del 3,3% della bioeconomia rispetto a quello dell’economia complessiva, che si attesta all’1,5%.
Evoluzione della produzione nel 2020: confronto tra bioeconomia e totale economia per Paese (stime, var. %)
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Eurostat, JRC e stime Oxford Economics
Se poi andiamo a guardare il valore della produzione 2020 in termini assoluti, espressi in milioni di euro, e l’incidenza percentuale del settore della bioeconomia sul totale dell’economia, osserviamo che se in valori assoluti spicca la Germania, seguita dalla Francia e l’Italia – che conferma il suo terzo posto in Europa – la graduatoria cambia considerando l’incidenza della bioeconomia: in questo caso, a spiccare è la Polonia, seguita da Spagna e Italia. Da rilevare, inoltre, che nel nostro Paese, il peso della bioeconomia sull’economia complessiva continua a crescere: se nel 2018, infatti, questo metasettore rappresentava il 9,9% del valore della produzione complessiva a livello nazionale, nel 2019 saliamo al 10% per arrivare nel 2020 al 10,2%.
Bioeconomia: valore della produzione in Italia (milioni di euro)
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Eurostat, JRC e stime Oxford Economics
In generale, a parte il caso in controtendenza della Polonia, nei paesi europei analizzati il valore della bioeconomia ha manifestato un calo meno rilevante rispetto al totale dell’economia, evidenziando una maggiore resilienza allo shock pandemico, con risultati che dipendono sia dalla severità della pandemia e delle relative misure di contenimento sia dalla differente composizione della bioeconomia nei diversi paesi. “I dati del nuovo Rapporto ci mostrano come nonostante lo shock dettato dalla crisi pandemica, la bioeconomia si sia dimostrata uno dei settori più resilienti”, commenta Giulia Gregori, Responsabile Pianificazione Strategica e Comunicazione Istituzionale all’interno di Novamont, nonché membro del Consiglio Direttivo e di Presidenza di Federchimica Assobiotec. “Nello scenario della transizione ecologica, la bioeconomia, se declinata in una logica sempre più circolare, sarà uno strumento essenziale per rafforzare la competitività del Paese, creare nuove opportunità di costruzione, e invertire la rotta del degrado degli ecosistemi, rigenerando le risorse e il tessuto sociale, in una logica che tragga nuova linfa e risorse dagli scarti e dai rifiuti prodotti localmente”.
Le performance settoriali risultano molto diversificate: in Italia, ad esempio, la filiera agro-alimentare, che rappresenta oltre il 60% del valore della bioeconomia, è risultata meno colpita dalla crisi generata dalla pandemia (nonostante la chiusura della ristorazione a valle), così come le utilities (energia, acqua, rifiuti) e la filiera della carta (grazie al sostegno dei prodotti per utilizzi sanitari e del packaging, visto il boom del commercio online). Il sistema moda, che riveste un ruolo particolarmente importante per il nostro Paese, è invece il settore che registra la flessione più accentuata, a causa della chiusura della fase distributiva, del blocco negli arrivi di turisti stranieri e delle modifiche nelle preferenze d’acquisto dei consumatori.
La bioeconomia nelle regioni italiane
In questa settima edizione del rapporto viene proposta, per la prima volta, la stima del valore della bioeconomia, in termini di valore aggiunto e occupazione, nelle regioni italiane, nella consapevolezza dell’importanza del territorio per lo sviluppo di esperienze innovative e sostenibili. I dati presentati sono aggiornati al 2018 poiché le statistiche disponibili si fermano a tre anni fa.
Le stime originali evidenziano un ruolo particolare della bioeconomia nelle regioni del Nord-Est e del Mezzogiorno, con un peso sul valore aggiunto regionale rispettivamente dell’8,2% e 6,7%, dati superiori alla media nazionale che si attesta al 6,4%. Sotto la media italiana, invece, il peso della bioeconomia nel Centro (5,7%) e nel Nord-Ovest (5,3%). Ma qual è lo spaccato per regione? Guardando i valori assoluti, a occupare la prima posizione è la Lombardia con circa 19 miliardi di euro di valore aggiunto della bioeconomia generato nel 2018. A seguire, Veneto (12,2 miliardi), Emilia-Romagna (11,5 miliardi) e Toscana (9.1 miliardi), che insieme alla Lombardia generano oltre il 50% della bioeconomia italiana.
Tuttavia, se andiamo a vedere il peso di questo metasettore sull’economia delle singole regioni, emerge un’altra fotografia: Basilicata e Trentino-Alto Adige, infatti, con un’incidenza del 9,3%, si posizionano ai primi posti, seguite da Marche e Toscana con un’incidenza dell’8,7%, dal Veneto (8,3%) ed Emilia-Romagna (8,0%). Si colloca sotto la media nazionale (6,4%), invece, la Lombardia (5,3%), che sconta una maggiore diversificazione produttiva.
Peso del Valore Aggiunto della Bioeconomia sull’economia delle singole regioni (%, 2018)
Fonte: elaborazioni SRM e Intesa Sanpaolo su dati Istat ed Eurostat
Le regioni del Mezzogiorno spiccano nella graduatoria nazionale in termini di occupazione, con un’incidenza del 10,7%, circa 3 punti percentuali in più rispetto alla media italiana (7,9%). Si posizionano ai primi posti, infatti, 4 regioni meridionali: Calabria (15,8%), Basilicata (15,1%), Puglia (13,2%) e Molise (11,6%). Nel Nord-Est, che registra un peso dell’occupazione della bioeconomia dell’8,8% sul totale dell’area, emerge il Trentino-Alto Adige (10,6%), mentre nelle regioni del Centro (6,8%) spicca il peso delle Marche (10,8%), seguito da Toscana (9,5%) e Umbria (9,5%). Sotto la media italiana, invece, tutte le regioni de Nord-Ovest (5,6%).
Peso dell’occupazione nella Bioeconomia sull’occupazione totale delle singole regioni (%, 2018)
Fonte: elaborazioni SRM e Intesa Sanpaolo su dati Istat ed Eurostat
Se andiamo a guardare le caratteristiche della bioeconomia nelle varie regioni, sicuramente la filiera agro-alimentare – determinante per l’Italia, ma anche per gli altri Paesi europei – riveste un ruolo di primo piano anche a livello territoriale, evidenziando una rilevanza in tutte le aree geografiche, con un peso che varia da circa il 50% nelle regioni del Centro a quasi l’80% nel Mezzogiorno. Anche il sistema moda bio-based incide sensibilmente sulla bioeconomia delle diverse aree geografiche, grazie a una crescente attenzione ai temi della sostenibilità, che sta coinvolgendo tutta la filiera produttiva, lungo tutta la penisola.
Ma emergono anche altre rilevanti specificità territoriali: nel Nord-Ovest spiccano, ad esempio, i settori a più elevato contenuto tecnologico, come la farmaceutica e la chimica bio-based; nelle regioni del Nord-Est emerge anche la rilevanza della filiera del legno e dei mobili, mentre nel Centro si evidenzia soprattutto il peso della filiera della carta e della farmaceutica; nel Mezzogiorno la filiera agro-alimentare rappresenta quasi la totalità della bioeconomia, ma non mancano anche esperienze nei settori a più alto contenuto tecnologico, come conferma la specializzazione di alcune province nel settore farmaceutico.
Una mappatura della chimica bio-based in Italia
Il rapporto presenta anche un approfondimento sul mondo della chimica bio-based, quella parte della chimica che utilizza materie prime biologiche rinnovabili invece che fossili. Molti prodotti chimici bio-based, oltre ai vantaggi in termini di emissioni legati alla materia prima (particolarmente importanti nel caso di utilizzo di sottoprodotti di altre lavorazioni di reflui o rifiuti), sono anche biodegradabili e compostabili alla fine del loro ciclo di vita, in conformità agli standard internazionali. La chimica bio-based partecipa così in modo significativo e trainante allo sforzo che tutta l’industria chimica sta facendo per diminuire in maniera significativa l’impatto complessivo sull’ambiente, aumentando la circolarità dei propri prodotti e continuando a fornire beni essenziali e soluzioni per una migliore qualità della vita a beneficio di tutta la società.
Nel rapporto viene proposta una descrizione dello stato dell’arte della produzione di chimica bio-based nel nostro Paese e una mappatura estesa, realizzata attraverso una pluralità di fonti, delle principali esperienze di ricerca e sviluppo. L’analisi, realizzata in collaborazione con il Cluster Nazionale della Bioeconomia circolare SPRING, mette in luce un sistema dinamico e complesso, con più di 830 soggetti: dalle 84 Università e centri di ricerca (pubblici e privati) alle circa 730 imprese (con più di 500 start-up), a cui si affiancano altre istituzioni e associazioni con un ruolo di supporto e promozione.
Il mondo della chimica bio-based in Italia: i soggetti censiti per tipologia e fonte informativa
Fonte: elab. Intesa Sanpaolo da fonti varie
Dal report emerge un mondo diversificato per dimensione e settori. La maggior parte delle imprese, in particolare le startup, è attiva nella R&S. A seguire si registra quasi un 30% di soggetti attivi nella manifattura e un 6,3% di soggetti attivi in altri settori. La natura fortemente innovativa, insieme all’opportunità di recupero in ottica circolare di biomassa di differenti origini, fa sì che l’interesse nei confronti della produzione di composti chimici bio-based sia estesa a tutti i settori che compongono la bioeconomia, in particolare nella definizione estesa (che include anche il ciclo dell’acqua e quello dei rifiuti) proposta nel rapporto.
Oltre al ruolo importante delle imprese chimiche, che costituiscono più del 40% delle imprese censite al netto delle start-up, è da segnalare il contributo importante delle imprese della filiera agro-alimentare, delle utilities, della moda e delle imprese del legno e carta. Da rilevare, inoltre, anche il crescente coinvolgimento nei progetti della chimica bio-based da parte di altri settori: dalla meccanica, con progetti di ricerca volti alla messa a punto di macchinari in grado di utilizzare i nuovi composti, all’automotive, settore sempre più impegnato nei confronti delle tematiche ambientali anche attraverso la sostituzione di materiale a base fossile con prodotti a matrice bio-based.
Le imprese del mondo della chimica bio-based per macrosettore (quote %) | Le imprese del mondo della chimica bio-based per settore manifatturiero (quote %) |
Fonte: elab. Intesa Sanpaolo da fonti varie
A livello dimensionale, la maggioranza delle imprese registra meno di 2 milioni di euro di fatturato, grazie al forte contributo delle startup innovative nel campione esaminato, ma vi è anche un nucleo importante di imprese medio grandi, al di sopra dei 10 milioni di euro di fatturato: da una parte, perché il settore della chimica richiede grandi investimenti; dall’altra, per la presenza di realtà già molto consolidate, in cui l’Italia eccelle anche a livello europeo.
Da un punto di vista geografico, spicca la Lombardia, ma in valore assoluto, come numero di soggetti. In termini relativi, rispetto al totale delle imprese, emergono altre 5 regioni: il Piemonte, soprattutto per il coinvolgimento delle imprese dei settori ingegneristici nell’economia circolare; Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia-Giulia, dove ha un ruolo molto importante tutta l’attività relativa alla R&S e al mondo delle startup; Marche e Umbria, soprattutto con progetti e attività legate al tessile e alla filiera agro-alimentare.
Le imprese del mondo della chimica bio-based per regione (numero ogni 1000 imprese attive)
Fonte: elab. Intesa Sanpaolo da fonti varie
Se, invece, andiamo a guardare alla quota di startup del mondo della chimica bio-based sul totale delle startup innovative, Trentino-Alto Adige, Umbria e Marche conquistano ancora il podio, mentre se ne registrano meno in Piemonte, dove la maggioranza delle imprese della chimica bio-based è di medio-grandi dimensioni. Spiccano, infine, anche Veneto e Calabria grazie alle startup attive nella R&S.