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Bioenutra trasforma lo scarto derivato dalla produzione di olio extravergine di oliva in una risorsa. Il processo di economia circolare ha un forte impatto positivo sull’ambiente, ma anche sulla salute.
I due fondatori di Bioenutra, Pasquale Moretti e Claudio Massari, hanno osservato il paesaggio che li circondava per trarre ispirazione e fondare la loro azienda. Il territorio della Puglia, con i suoi oliveti da cui si produce un eccellente Olio Extra Vergine, ma anche una grande quantità di sottoprodotti e scarti di lavorazione, il cui smaltimento spesso costituisce un serio problema economico e ambientale per gli operatori del comparto oleario.
“Abbiamo visto in tutto quel materiale che veniva smaltito come scarto, una ricchezza letteralmente buttata via”, racconta Moretti. “Questa visione nasce da una sensibilità mia e del mio socio. Ci ha sempre attratto l’obiettivo di recuperare materiale che in genere viene scartato. Inoltre, siamo sempre alla ricerca di soluzioni utili a risolvere problemi ambientali, sfruttando le nostre competenze di ingegneri, allo scopo di migliorare la qualità della salute umana utilizzando le risorse che la natura ci mette a disposizione”.
L’idea di Bioenutra
Il progetto Bioenutra nasce sei anni fa, dall’applicazione di un concetto caro all’economia circolare. Si parte dagli scarti di un’attività economica per produrre nuova ricchezza.
Il frantoio produce olio extravergine di oliva, sansa e acque di vegetazione. Il primo finisce sulle nostre tavole, il secondo è un combustibile già usato per gli impianti a biomassa. Le acque derivano dal processo di spremitura e costituiscono la frazione acquosa contenuta nel frutto dell’oliva. Questo è un sottoprodotto, che se però non trova un corretto impiego diventa un rifiuto di cui bisogna disfarsi.
“Abbiamo pensato di creare un processo capace di separare i componenti fondamentali presenti nelle acque di vegetazione olearie. Così otteniamo una frazione fangosa solida, che può essere usata per produrre biogas o fertilizzante tramite compostaggio”, spiega Moretti. “Si ha poi la separazione dell’acqua, che potrebbe essere riutilizza in pratiche irrigue, ed infine si ottiene la frazione ricca dei preziosi polifenoli, con cui possiamo produrre farmaci, prodotti cosmetici e integratori.”
Ecco applicata l’economia circolare che, secondo Moretti, è tale quando produce un prodotto a rifiuto zero, con la valorizzazione totale delle sue componenti.
Gli scarti dell’olio di oliva
In Italia, sebbene la produzione dell’olio extravergine di oliva sia calata del 25% rispetto all’anno precedente, per il 2020/2021 si attesta a 273 mila tonnellate. I dati Ismea rivelano che la Puglia copre gran parte della produzione con 117 mila tonnellate di olio. La Puglia è anche la regione con il maggior numero di frantoi (774), seguita da Calabria (714) e Sicilia (575).
Lo scarto associato a questa produzione si può stimare facilmente se si pensa che le sole acque di processo oscillano tra i 40 e i 120 litri per quintale di olive trattate in un impianto tradizionale.
Lo smaltimento delle acque di vegetazione costituisce un problema. Il metodo più diffuso di smaltimento consiste nello spandimento sul terreno. “La difficoltà consiste nel trovare i terreni in cui riversare il liquido. Infatti, questa operazione provoca impoverimento iniziale dei terreni ed emissioni di odori poco gradevoli”.
La scoperta del Momast
Una volta messo a punto il processo produttivo che ha permesso di separare le varie frazioni dell’acqua di vegetazione, è stato possibile ottenere un estratto ricco di pregiati polifenoli in grado di svolgere varie funzioni benefiche per la salute dell’uomo.
Poi è arrivata la collaborazione con l’Università di Bari e altri Enti di ricerca pubblici e privati. “I laboratori dell’Università sono stati fondamentali per studiare le caratteristiche del prodotto che avevamo estratto dalle acque di vegetazione, il Momast. Grazie alla loro esperienza, abbiamo dimostrato che le sostanze contenute nel Momast hanno un effetto benefico sull’uomo. E oggi avere delle certificazioni è una condizione imprescindibile per poter entrare sul mercato”.
Se il processo industriale di estrazione del Momast è messo a punto perfettamente, l’azienda sta lavorando in collaborazione con varie università per dimostrare tutte le proprietà del Momast.
La speranza è poter sfruttare al più presto la ricchezza ottenuta dagli scarti della spremitura delle olive per portare sul mercato nutraceutici, cosmetici e prodotti per la salute.
Le collaborazioni sono anche importanti per mettere in evidenza nuove proprietà dell’estratto ottenuto dagli scarti della filiera dell’olio. Laboratori dell’Università di Milano hanno osservato proprietà interessanti del Momast nell’abbassare i livelli di colesterolo. “Oggi i nutraceutici usati per il controllo del colesterolo sono prevalentemente a base di Monacolina K ottenuta dal riso rosso fermentato. Solo che l’Unione Europea sta limitando l’utilizzo di tale cereale. Quindi il Momast potrebbe rivelarsi un’alternativa interessante”.
Le difficoltà dell’impresa
Se le collaborazioni sono foriere di innovazione, idee e nuovi prodotti, trovare nuovi partner è una delle difficoltà maggiori. “Per coinvolgere nuovi partner sono fondamentali nuovi investimenti finanziari. E poi speriamo in un aumento della sensibilità degli operatori industriali nei confronti di applicazioni dell’economia circolare”.
Ecco perché sono così importanti le riflessioni sulla bioeconomia circolare. Come il progetto “Biotech, il futuro migliore” promosso da Assobiotec con la valorizzazione di questo comparto, che si svilupperà sempre di più nei prossimi anni.
Le altre difficoltà che un imprenditore impegnato in un’attività di economia circolare si trova ad affrontare riguardano gli impedimenti di tipo burocratico. “Un’attività produttiva che parte da un sottoprodotto è ancora confusa con un impianto di smaltimento rifiuti. Per noi è stata una perdita di tempo e fondi dimostrare il contrario”.
A questo si aggiungono le complicate procedure che occorre seguire per far sbarcare sul mercato un nuovo prodotto. Sono dimostrazioni e certificazioni che garantiscono la sicurezza e l’efficacia del prodotto, ma che prevedono delle procedure estremamente complesse e costose.
Guardando al futuro
Bioenutra per adesso è un impianto pilota. Il sogno è quello di ottenere un grande successo di mercato mediante un’ampia diffusione di prodotti finiti contenenti il Momast, sviluppati da importanti brand dei settori nutraceutico, farmaceutico, cosmetico ed alimentare, conseguendo la piena attuazione del progetto intrapreso.
“Desideriamo stabilire partnership importanti e capaci di darci la spinta che ora ci manca per chiudere tutta la filiera, facendo affidamento su un impianto di grandi dimensioni”.
Una volta realizzata la filiera dedicata alla produzione dell’olio, il desiderio è quello di ampliare lo sviluppo per la valorizzazione di altri prodotti di scarto dell’agroalimentare da introdurre nel processo di economia circolare. “Nei nostri territori non c’è solo la filiera dell’olio, ma anche del vino e dell’ortofrutta. In un prossimo futuro vorremmo estrarre principi attivi benefici per la salute dell’uomo a partire da altre matrici”.
Infine, resta la possibilità di diffondere l’uso del processo di Bioenutra. “L’installazione di un processo come quello di Bioenutra in una fattoria agricola permetterebbe di creare davvero rifiuti zero. Perfino l’acqua tornerebbe agli ulivi”.
Il processo di Bioenutra è protetto da un brevetto. “Il nostro progetto è nato anche come un servizio per aziende agricole produttrici di olio, che possono sfruttare il nostro impianto. In alternativa, siamo disponibili a fare accordi con frantoi e aziende agricole”.
E la diffusione del processo potrebbe essere molto utile anche per coronare l’ultimo sogno dei fondatori di Bioenutra. “Stiamo cercando di diffondere l’uso del Momast anche come conservante alimentare. Tuttavia, per farlo abbiamo bisogno di aumentare la capacità produttiva. Non riusciamo a farlo senza creare una rete di aziende capaci di valorizzare gli scarti della produzione dell’olio”.