Nato a Latina da genitori nigeriani, studente modello, Kola Tytler lavora in pronto soccorso a Londra. E si è inventato un business con le scarpe più alla moda del momento
In una società sempre più fluida, in cui le regole consolidate stanno saltando, c’è ancora spazio per i cambiamenti. La sfera è quella lavorativa, in buona parte ancora legata a logiche novecentesche., e, comunque, tradizionali. Quella che segue è la storia di un giovane italiano di ventotto anni, figlio di genitori nigeriani. Medico e imprenditore di successo in un settore particolare, quello delle sneaker da collezione. Figlio del suo tempo.
Dopo il liceo a Latina terminato con il massimo dei voti si trasferisce a Londra per studiare medicina. Si laurea ed entra nell’NHS, il sistema sanitario pubblico britannico. Reparto, pronto soccorso. E’ l’amore di sempre per il basket e la cultura hip hop che permette a Kola Tytler, questo il nome, di scoprire un’altra passione: quella per le scarpe da ginnastica. Oggi, in realtà, indossate soprattutto nel tempo libero. Un accessorio in grado di generare entusiasmi forti: facile trovare modelli da trecento euro, ma per le edizioni limitate si arriva facilmente a diverse migliaia. Per non parlare dei pezzi unici: ad esempio quelli con qualche errore di fabbricazione, il cui valore aumenta col tempo proprio come quello di francobolli e monete.
Duecento per cento
Nel corso di una lunga chiacchierata telefonica tra Londra e l’Italia, si percepisce chiaramente che il mondo, almeno quello che conosciamo, è un posto stretto per tipi così, ultradotati di energia, pragmatismo e velocità di pensiero. O forse siamo noi a essere più lenti. Sentiamo lui.
“Il business non mi porta via molto tempo – dice – Se non facessi il medico avrei dieci ore della giornata vuote. Intraprendere questo percorso di studi è stata conseguenza del fatto che andavo molto bene a scuola. Ma non avevo una vocazione da bambino”.
“Ho visto la morte in faccia a 16 anni nel corso di una festa in piscina – prosegue – L’ho toccata con mano finendo in coma. Mi hanno salvato i genitori della padrona di casa, anche loro dottori. Una settimana in terapia intensiva, per mesi ho fatto fatica a capire di essere ancora vivo. E’ per questo che oggi mi spendo al duecento per cento. So che la vita è breve. La linea di confine con la morte può essere questione di secondi: quelli che mi hanno salvato”.
Waterloo
Tytler vive in centro a Londra, vicino Waterloo, non propriamente un posto affordable, come si dice in UK, a buon mercato. Possiede un’auto: il che, nella capitale britannica è un vero lusso. Ma non è nato con la camicia, racconta. Ha cominciato lavorando part-time durante gli studi.
Le prime sneaker arrivano risparmiando. E’ un viaggio in America a fargli capire che quello delle scarpe da ginnastica è un mercato con potenzialità e dinamiche poco comuni. “Quella sera c’era l’All Star Game, di cui conoscevo bene l’importanza, giocando a pallacanestro. Insomma, il momento giusto per vendere. Ma ho notato che in quel negozio in pieno centro a New York era esposto un solo paio di scarpe. Uno. Lo avevano completamente svuotato. Mi domandavo il perché. Poi ho capito: era una serie limitata”. Primo indizio.
Nello stesso anno escono altri modelli in grado di scatenare ressa di fronte ai negozi. “Anche a Londra il mercato era estremamente vivace. Ogni volta che c’era una nuova uscita, gli store decidevano chi avrebbe potuto acquistare con una lotteria: ai tempi (2015, ndr) chi andava nel negozio a comprare le ultime novità lasciava i dati a un commesso che, con carta e penna, appuntava nome e cognome. Un pomeriggio chiamano me, lasciando un messaggio sulla segreteria telefonica. Vado a ritirare le scarpe, ma c’è una ressa incredibile: non te ne andare, mi dice il responsabile del negozio dopo aver pagato. Aveva ragione. Non molto dopo arriva Kanye West (rapper e produttore molto controverso, ndr), che firma la scatola di tutti”. Due indizi fanno una prova. “Morale: qualche tempo dopo ho venduto la scatola firmata su eBay a ottocento sterline. L’avevo pagata centocinquanta. In quel momento ho capito che esiste un ‘mondo’ delle sneaker, e se lo capisci e si espande a questi ritmi…beh fai il non plus ultra”.
L’incontro con i soci
La storia prosegue. “Nel 2015 conosco online Yannis, il mio socio. Aveva già lanciato Yeezymafia, una community di persone che si scambiavano informazioni per comprare le scarpe di West in maniera più facile. Qualche mese dopo mi prendo io stesso la responsabilità di gestire il sito. Ci rendiamo conto che il business esiste; in più abbiamo delle dritte che nessuno ha, informazioni accuratissime su date di uscita, modelli, prezzi”.
Una vecchia regola dei giornali afferma che, se uno ha le notizie, i lettori arrivano. “Così Yeezymafia diventa globale. Ci intervistano, ci ritwitta il manager globale di una grossa multinazionale, Kanye West in persona inizia a seguire il nostro blog. Che all’inizio, poi, era solo una pagina Twitter”.
Spiegazione per i non addetti ai lavori: quando escono nuovi modelli si scatena una corsa agli store, per cui vengono impiegati anche bot, programmi in grado di effettuare gli acquisti in autonomia. Avere le dritte giuste è essenziale. Chi compra sa che il prezzo può salire di molto col tempo, e i bot sono in grado di fare ordini massivi nel giro di pochi centesimi di secondo, per battere la concorrenza. Si chiama scalping, e accade anche con i biglietti dei concerti. Molte aziende hanno cominciato a difendersi con sistemi di protezione, ma le tecniche degli scalper sono sofisticatissime e in continuo aggiornamento. Il rovescio della medaglia è che, lasciando gli ordini a una macchina, le conseguenze in caso di errore possono essere pesanti.
“Online – prosegue Tytler – conosco un’altra persona, Stefano. Sedici anni, di Latina, scrive codice. Intelligente, autodidatta, uno che non si arrende mai”. Il tipo giusto per farci una startup. “Dopo un paio di mesi capiamo che i trend di mercato non sono prevedibili, ma inseguono delle formule che possiamo ricavare tramite un’analisi. E il lavoro sporco lo può fare anche un computer”.
“Decido di provarci. Compro un po’ di scarpe seguendo il nostro metodo. Il software ci prende, eccome. Passo sempre più tempo al pc. Intanto sono impegnato con l’università, e i voti ne risentono. Vado vicino a essere fuori dal corso. Capisco che devo metterci un freno. Così coinvolgo degli amici. Discorso semplice: vi fornisco un software e un budget a disposizione, voi state dietro al computer e comprate le scarpe per me. In questo modo, loro guadagnano, e io mi faccio un bello stock, che dopo otto mesi inizio a liquidare tramite un negozio negli Stati Uniti. Realizzo centinaia di migliaia di dollari”. È il terzo indizio, quello che mancava. “Lì capisco che questo business si può fare davvero. Mi rendo conto che il mercato delle sneaker funziona in America, a Londra, a Parigi. Ma in Italia non è ancora arrivato. Prendo da parte Stefano e un amico di Milano e dico loro: dobbiamo fare provare a fare quello che nessuno ha ancoora fatto”.
Il momento del business plan
“Assieme al mio amico Andrea Canziani, gran collezionista (tra gli altri modelli, possiede una scarpa Nike con lo swoosh al contrario, errore di fabbrica, quotata a 120mila euro, ndr), stendiamo un primo business plan. A dire la verità, oggi che frequento un Mba, mi rendo conto che si trattava più che altro dell’idea di uno che non sa come fare, ma ci crede. Però era un inizio. A noi si aggiunge Federico, poco più che ventenne, il più giovane store manager Adidas al mondo. Nonostante il posto assicurato, crede nel progetto e accetta di dare le dimissioni per seguirlo. A quel punto, siamo tutti d’accordo, e decidiamo di usare il nostro software per determinare acquisti, prezzi e margini”.
Un negozio a Milano
È il momento di uscire dalla rete per entrare nel mondo reale, con un negozio fisico. Il 16 settembre 2018 apre Dropout. A Milano, in centro. “Proponiamo sneaker in edizione limitata che ci vengono fornite in conto vendita. Il negozio non è enorme, ma siamo i primi in Italia a farlo”. Sostanzialmente, Dropout è una vetrina: chi riesce ad acquistare le scarpe le porta in negozio per rivenderle, e viene pagato quando vengono comprate dai clienti. Il che, essendo Tytler e soci molto conosciuti e al centro di una community da milioni di fan, avviene di solito abbastanza rapidamente. “Il prodotto ci arriva da un privato, che può averlo comprato anche tramite l’utilizzo di un bot. Generalmente – spiega l’imprenditore – chi acquista online lo fa per rivendere”. Il modello di business? “A noi resta la commissione, che è dinamica e determinata dal nostro software Hype Analizer. Questa è la parte nuova che nessuno aveva mai realizzato”.
Potere dei social
“Prima di cominciare ci siamo detti: da oggi riscriviamo le regole del fashion retail in Italia. Abbiamo pubblicizzato l’apertura di Dropout, ma senza fornire l’indirizzo, per creare attesa nel pubblico. Sul sito c’era solo un video fatto con un drone. Poi abbiamo aperto una gara mettendo in palio dei prodotti per chi riusciva a indovinare la posizione”. Infine, due giorni prima dell’inaugurazione, sul sito appare la via. Risultato: mille persone, coda fino in fondo alla strada, “quasi come all’apertura di Starbucks. Da lì in poi si è innescato un meccanismo che ci ha portato molta pubblicità. Ci ha dato una mano anche un blog americano”.
“L’azienda è sempre stata un successo, dall’inizio. Per dire, ci sono persone che vengono da Dropout anche solo per vederlo”. Tra i clienti, “politici” – di cui non fa i nomi – “calciatori come Lukaku, Hakim, Naingollan, Romagnoli, ma anche persone che passano a Milano per lavoro: è abbastanza comune che ci scrivano quando arrivano in città. Ad alcuni portiamo noi il prodotto in albergo. Parecchie celebrità ci contattano tramite direct message. Il nostro cliente tipo? Una persona abbiente, che non sta a chiedere quanto costa, ma se gli piace qualcosa la acquista subito”. Nonostante la chiusura di cinque mesi dovuta al Covid, il business continua a crescere.
Capitolo investimenti
Dropout si apre ai capitali esterni con un crowdfunding (“obiettivo minimo centrato in nove ore, il massimo raggiunto in cinque giorni”, per un totale di 750mila euro). “Ma la nostra fortuna è stata che il padre di un mio follower su Instagram, spinto dal figlio, abbia deciso di investire 250mila euro. Quando abbiamo fatto il giro dei potenziali investitori, molti non capivano il settore. Oggi invece i privati che hanno partecipato al round sono oltre centocinquanta: più di due terzi hanno meno di trentacinque anni”. Anche perché “le persone nell’ambiente sanno che se c’è qualcuno capace di fare il botto in questo settore, quelli siamo noi”. Prossimo passo, l’apertura di un negozio nel quadrilatero della moda, distretto del lusso milanese, accanto ai grandi nomi del fashion. Arriveranno altri negozi temporanei. Ma niente sovraesposizione.
Ora, piuttosto, il progetto è ampliare l’attività cominciando a gestire le collezioni dei clienti. Veri e propri asset. Come i quadri, come il vino, ma composti di scarpe. “Stiamo lavorando a un sistema che studia l’ottimizzazione di portfolio di sneaker: tramite un’analisi retrospettiva proviamo a capire gusti e tendenze. Facciamo la gestione degli asset fisici del cliente, delle scarpe insomma, per chi ne possiede molte: le conserviamo con cura in magazzino, forniamo un’assicurazione. Possiamo anche venderle per suo conto tramite i nostri canali”.
E’ evidente che quasi nulla sarebbe stato possibile senza essere immerso nella cultura digitale sin dall’adolescenza: dalle scelte di acquisto basate sull’analisi dei dati all’ordine vero e proprio, dalla gestione dei portafogli alla vendita tramite community integrate. Il risultato è che “i concorrenti generalisti devono svuotare il proprio magazzino con i saldi. Il mio, invece, aumenta di valore nel tempo” afferma Tytler.
“Per me le scarpe sono un asset che batte l’inflazione – prosegue – La mia collezione personale di ottanta o novanta pezzi vale già tra cento e i duecentomila euro. Ci sono le sneaker di Eminem firmate da lui, quelle di Ritorno al futuro. Lo stipendio da medico? Mi serve per cash flow, la macchina e l’assicurazione”. Intanto, nel 2019 il fatturato aziendale è stato di 720mila euro, nel 2020 (con cinque mesi di chiusura) 540mila, quest’anno 600mila. L’anno prossimo si punta al milione.
Mai pensato di scegliere?
E poi c’è il mestiere di dottore. Tytler vive dieci ore al giorno in pronto soccorso, tra traumi, urgenze, dolore. Come si fa a fare tutto? “Mi sveglio presto la mattina, anche perché dormo veramente poco, circa cinque o sei ore. Faccio la mia parte in ospedale, poi torno a casa e in macchina ascolto podcast relativi al business, al marketing o alla SEO. Leggo parecchio, guardo film motivazionali e storie di imprenditori. Alcune sere faccio un debrief coi miei collaboratori in Italia”. Stanco? “Devo dire che molti dei nostri processi non richiedono intervento umano: automatizziamo tutto il possibile. Aziende come Dropout tendono ad avere staff composti da più persone: noi, invece, siamo solo in quattro”.
Torniamo all’inizio, al lavoro, ambito così tradizionalista. Mai pensato di scegliere? “No. Coordino in remoto, e continuerò finché non mi stufo. In futuro, magari, deciderò di fare l’investitore”. Con la stessa fame, grinta, pragmatismo, c’è da presumere.
Quello che colpisce in questi giovani è la facilità con cui si raccontano senza filtri, oltre al fatto di non provare alcuna vergogna nel mischiare senza preconcetti professioni di antico lignaggio e vil denaro. Un tempo il confine non era permeabile. Un’era geologica fa. Sono i nuovi ventenni ad avere il compito di dimostrare che quell’epoca è al tramonto. Nel caso di Tytler, che è possibile esercitare l’arte della medicina parallelamente all’attività di imprenditore. Anche perché, come in questo caso, spesso non esiste l’ombra di un conflitto di interessi. Enzo Jannacci era un gran cantautore. Ciò che non si sa è che era anche un ottimo chirurgo.