Ogni 4 lavoratori disoccupati, 3 sono donne e la vita delle imprese femminili per la prima volta negli ultimi 6 anni ha un saldo negativo. Ma non è solo un problema di genere, è un problema sociale: come sta cambiando il lavoro? Cerchiamo di capirlo a partire dai dati raccolti e con un sondaggio (anonimo) di StartupItalia e Unstoppable Women. Se vuoi, partecipa!
Il lavoro delle donne è una notizia ricorrente che difficilmente porta con sé reali novità. Sebbene aggiornata e arricchita da nuovi parametri, la verità è che ci stiamo socialmente abituando a ciò che resta troppo spesso immutato. Questo ha due conseguenze: evidenziare troppo poco i piccoli passi in avanti (che si perdono fra i grandi numeri) e il pensiero collettivo che prima o poi la condizione femminile sul lavoro trovi un suo naturale assestamento sostenibile. Ma non è così, perchè la voce “Covid-19” resta salda tra i parametri da considerare e il suo veloce impatto è direttamente proporzionale alla fatica del recupero. Solo a dicembre 2021 hanno perso il lavoro 99mila donne e 2mila uomini: una sproporzione che aumenta e consolida la fragilità di quello che nel 2019 era il tasso d’occupazione migliore mai raggiunto, attorno al 50,1% (la media europea è del 62,3%). Nel 2020 ogni 4 lavoratori disoccupati 3 sono donne, e il tasso di occupazione è di nuovo crollato al 48,6%, e l’inattività femminile è attorno al 45,9%, contro il 26,3% di quella maschile (dati Istat).
La non-novità non riguarda solo i dati del lavoro femminile, ma del lavoro nel suo complesso. Di quanto incide anche sulle scelte degli uomini e delle nuove generazioni che si affacciano a passioni e competenze osservando le dinamiche mutevoli dello smartworking oltre la pandemia, di urgenze climatiche e più gettonati green jobs, di forme contrattuali instabili, e spesso al bivio tra lavoro dipendente e lavoro autonomo. Per le tante variabili in gioco, questo è un problema di tutti.
Il sondaggio di Unstoppable Women e StartupItalia
Questi e altri dati saranno protagonisti di Unstoppable Women 2022, il prossimo 11 aprile a Le Village by CA Milano. Non ci limiteremo ad elencarli, ma li osserveremo da nuove prospettive insieme a ospiti e startup. Tuttavia non ci fermiamo qui: vogliamo coinvolgere la nostra community, che si estende naturalmente a voi che leggete, con un sondaggio che abbiamo costruito per fotografare la situazione attuale. È anonimo, naturalmente rivolto a tutti – uomini e donne – e veloce da compilare ma lungo quanto basta per permetterci di capire meglio anche il ruolo dello smartworking e se siete davanti ad un bivio professionale, incrociando i dati con la geografia dell’Italia e gli ambiti d’occupazione. Il sondaggio resta aperto fino a inizio maggio.
L’occupazione femminile è questione di settori e di PIL
Il problema è di genere anche perché è settoriale. La pandemia ha colpito il turismo, i servizi in genere, cura e assistenza scoprendo un nervo già sofferente, esponendo le donne spesso assunte con contratti a termine o part-time, che nel 60% dei casi non è una scelta. Insieme ad istruzione e sanità, questi settori danno lavoro a 8 donne su 10. Ma l’emergenza va al di là dei numeri, è nazionale, non strettamente femminile, e interessa le famiglie – comprendendone bisogni e benessere – , società, sistema paese. Lo dice un dato che spiega in positivo cosa significherebbe pari opportunità di occupazione, crescita e maggiore partecipazione delle donne alla vita socio economica del paese: non sarebbe solo giusta, doverosa, meritocratica, ma favorirebbe un aumento del Pil di circa 88 miliardi di euro. La crescita assente – o decrescita – non colpisce solo le assunzioni ma anche la vita delle imprese femminili, che secondo l’osservatorio dell’imprenditorialità femminile di Unioncamere-Infocamere per la prima volta negli ultimi 6 anni ha un saldo negativo. Tra il 2019 e il 2020 siamo a quota -3.907.
L’unico dato positivo in Europa: il guadagno medio
Al momento, l’unico dato positivo riguarda il guadagno medio delle lavoratrici: l’ultimo rapporto dati diffuso da Eurostat (l’ufficio statistico dell’ Unione Europea), evidenzia come in Italia una donna guadagni in media il 4,2 % in meno rispetto ad un uomo – al quarto posto tra le più virtuose, dopo Lussemburgo, Romania e Slovenia – là dove Germania e l’Austria superano il 18%. Le donne al vertice sono cresciute dello +0,88% con 8.602 nuove posizioni, ma è successo mentre diminuiva il numero di donne che ricoprono cariche nel mondo imprenditoriale perdendo quasi 12mila posizioni nei due anni della pandemia, con un calo consistente soprattutto tra le socie (circa 19mila in meno) e le titolari di imprese individuali (-7mila).
È bene ricordare che questi sono e restano dati fluttuanti e non significano purtroppo una riduzione della disparità di genere. In Ue molte donne lavorano part-time e non hanno accesso ad interi settori lavorativi: se i contratti spesso dipendono dalle aziende, dalla carenza di supporti socio-economici per la gestione famigliare, l’accesso a professioni ritenute unicamente maschili è un fattore culturale. L’ultimo dossier della Commissione Europea parla ancora di trattamenti discriminanti, retribuzioni inferiori a parità di mansioni, involuzioni professionali dopo il congedo di maternità. L’arretratezza delle infrastrutture sociali è emersa in tutta la sua fragilità proprio con la pandemia, aggiungendosi ai già granitici preconcetti legati alla paternità obbligatoria, alla distribuzione degli impegni famigliari.