Tornano gli eventi in presenza dopo la pandemia con Burning Innovation, organizzato a Milano
L’innovazione in Italia? “A volte penso che ci sia più capitale che idee”. L’affermazione, forte e non abituale in questo contesto, è di Paolo Galvani, presidente di Moneyfarm, una delle principali scaleup italiane, nata nel Belpaese ma con mezzo cuore a Londra. Il manager è stato tra gli ospiti principali di Burning Innovation, tra i primi eventi organizzati in presenza dopo due anni di pandemia. La regia è di Endeavor e BHeroes, la cornice quella di Talent Garden, realtà milanese nata nel mondo dei coworking ma che si sta proiettando sempre più sul piano internazionale nel settore education grazie ad acquisizioni importanti.
Galvani, n.1 di Moneyfarm, a SI: “Criptovalute da studiare”
Una chiacchierata senza mascherina coi giornalisti a margine dell’intervento diventa l’occasione per fare il punto sull’ecosistema dell’innovazione italiana. E affrontare qualche scomoda verità.
“La liquidità nel Belpaese non manca – dice a StartupItalia il numero 1 di Moneyfarm, Galvani – i redditi fissi hanno accumulato cifre importanti durante il periodo pandemico. Il problema è che, con l’inflazione di questi mesi, ci vuol poco a capire che tenere il denaro fermo sul conto corrente non è un grande affare. Quanto durerà? Non si sa, forse gli Stati Uniti sono messi meglio di noi, ma è presto per fare valutazioni”.
I soldi, quindi, ci sono: il problema è dove investirli. Sulle criptovalute, il manager pare scettico. “Sono interessanti, ma siamo in una posizione di studio, cercando di capire che ruolo interpretare, se di semplice abilitatore o più da advisor”. Anche perché da una parte il regolatore sta accendendo un faro; dall’altra, con la volatilità che caratterizza le cripto, si rischia di perdere tutto, e non è un bell’affare, anche a livello di reputazione, per chi si occupa di wealth management.
Le startup, per quanto rischiose, diventano così più interessanti. C’è una bella notizia: in Italia non mancano le infrastrutture. A latitare sono le idee. Quelle forti, innovative, con vocazione internazionale. Esistono storie di successo: Yoox, Satispay, la stessa Moneyfarm di Galvani, più recentemente Bending Spoons, e poi aziende come D-Orbit, capofila della space economy. Citiamo senza metterle in ordine di grandezza, ovviamente. Resta poco altro.
L’ecosistema esiste, in dieci anni un ottimo lavoro
Eppure, Galvani è convinto che siano trascorse ere geologiche dal 2012, quando l’ordinamento nazionale si aprì alle aziende innovative.
“In dieci anni, è stato fatto un bel lavoro sull’innovazione – afferma – Quando abbiamo cominciato noi (2011, ndr) c’era ancora poco. Adesso, al contrario, è presente tutta la catena del valore, dagli incubatori ai business angel ai venture capital. Il punto è che non basta saper cogliere i bisogni del momento, è necessario possedere anche la sensibilità per individuare la risposta. Se c’è una buona idea, lo spazio alla fine si crea sempre. E poi un consiglio a chi vuole provarci: la squadra. Fare una startup tra amici semplifica la comunicazione, ma rende difficile valutare le qualità delle persone”.
Rampazzo (Endeavor): “Manca l’ambizione”
Sulla stessa lunghezza d’onda Marco Rampazzo, managing director di Endeavor, network “di imprenditori, non di imprese” sottolinea lui, presente in quaranta paesi.
Un passato nel venture capital in giro per il mondo, Rampazzo concorda sostanzialmente con Galvani. “La qualità media dei founder in Italia è medio-bassa” si lascia sfuggire. Poi si corregge subito.
“Non lo scriva così, la frase merita una precisazione. Tanti dei nuovi fondatori sono svegli. Il problema, in generale, è l’ambizione. Trovo che manchi la capacità strategica di andare nella direzione che ci si propone: se l’obiettivo è scalare, bisogna partire da subito col piede giusto, con un prodotto internazionale adatto a mercato più ampi del nostro e puntando sul team adatto. Un esempio è Bending Spoons: è italiana, ma potrebbe essere nata ovunque e si è subito lanciata in un percorso di questo tipo”.
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Non basta: gli strumenti di raccolta di capitali devono essere quelli giusti. “Non c’è niente di male a mettere in piedi un’azienda nel lifestyle business, ma a quel punto è inutile presentarsi da un venture capital: si tratta di idee che hanno una dimensione essenzialmente locale. Quel tipo di investitori cerca e investe in aziende dal potenziale globale”. Anche sulla propensione al rischio, Rampazzo spiazza. Non è sempre così bassa, afferman, anche in Italia. “Dipende con chi si parla. Ci sono family office che non si fanno grossi problemi. Forse la sfida più grande è abituare il pubblico all’innovazione, non solo i giovani”.
L’altro problema, aggiungiamo noi, sono le narrazioni, costruite per convincere, e a cui si finisce per credere. Per diventare adulti è necessario abbandonare i sogni, e le scuse.
(Foto: Israel Andrade, da Unsplash)