Nel nostro longform domenicale intervista all’ex senior advisor all’Innovazione di Hillary Clinton e professore alla Business School di Bologna: “Il 44% degli unicorni negli Stati Uniti è stato fondato da immigrati. L’immigrazione è risorsa”
E’ facile incontrarlo passeggiando per Bologna. Adora il gelato, i tortellini e soprattutto la nostra cultura, del resto scorre sangue italiano nelle sue vene. Stiamo parlando di Alec Ross, 50 anni, americano ma anche un po’ abruzzese. Ha ricoperto il ruolo di Senior Advisor all’Innovazione per Hillary Clinton durante il suo mandato di Segreteria di Stato. Prima di allora ha svolto l’incarico di coordinatore per il comitato Technology & Media Policy durante la campagna presidenziale di Barack Obama. Dopo aver lasciato il Dipartimento di Stato nel 2013 è stato visiting professor al King’s College di Londra ed ora è professore alla Business School di Bologna, una città che gli è entrata nel cuore. Alec è una persona estremamente solare, curiosa, disponibile che sa ascoltare. Non è un caso che sia stato menzionato tra i 100 “Global thinkers” dalla rivista Foreign Policy ed i suoi libri tradotti in ventiquattro lingue. Proprio grazie alla sua esperienza maturata nel settore tecnologico, attualmente è membro del Cda di un venture capital globale. E’ in partenza per la Svizzera dove presenterà il suo ultimo libro “i furiosi anni venti” ma trova comunque un po’ di tempo per Startup Italia per fare il punto sulla situazione globale.
Professor Ross, vive una parte dell’anno in Italia insegnando all’Università di Bologna, ha i nonni abruzzesi, a quando la cittadinanza italiana?
Non ho ancora avviato il processo ma ci sto pensando (sorride, ndr)
Le parlo di cittadinanza perché siamo in campagna elettorale. Pensa che introdurre lo ius soli, come negli Stati Uniti, potrebbe aiutare lo sviluppo economico dell’Italia?
Io guardo sempre i dati. Prendiamo la lista Fortune 500, con le più grandi aziende americane. Il 40% sono state fondate da immigrati, figli di immigrati. Il 44% degli unicorni negli Stati Uniti sono stati fondati da immigrati. Il “sogno americano” è sempre stato alimentato da ondate di immigrati che lavorano duramente per costruire una vita migliore per sé stessi e le loro famiglie.
“Il 44% degli unicorni negli Stati Uniti è stato fondato da immigrati. L’immigrazione può rappresentare una risorsa per un paese”
Cosa dovrebbe fare l’Italia?
L’Italia dovrebbe lavorare sodo per attirare i nomadi digitali e manodopera altamente qualificata. Gli immigrati qualificati non rappresentano una minaccia, non rubano il lavoro agli italiani, anzi, creano opportunità professionali anche per gli italiani come accade negli Stati Uniti.
Come avrà notato, la campagna elettorale è incentrata sui temi energetici. Lei in una recente intervista ha dichiarato di essere favorevole al nucleare ma ritiene importanti le rinnovabili. L’Italia ha perso entrambi i treni in questi anni….
Non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta. E’ vero, l’Italia non è stata in pole position sulle rinnovabili e ora stiamo pagando un prezzo alto ma ripeto, non è troppo tardi. L’Italia deve fare tutto il possibile per diventare più autosufficiente in termini di approvvigionamento energetico.
“Vorrei vedere parchi eolici sulle montagne abruzzesi e pannelli solari nell’entroterra della Sicilia. L’Italia deve diventare più autosufficiente per l’energia”
Come s’immagina l’Italia del futuro?
Dovrebbero esserci enormi parchi eolici sulle montagne abruzzesi. L’interno della Sicilia, che ogni estate ha temperature sempre più alte, dovrebbe essere rivestito di pannelli solari. E l’idroelettrico? L’Italia è circondata dall’acqua. Le tecnologie esistono, dobbiamo sfruttare eolico, solare e idroelettrico per produrre energia più sostenibile.
Già, però l’inverno si avvicina e ci viene consigliato di cuocere la pasta a fuoco spento…
Da amante della pasta italiana dico subito che non sono d’accordo (sorride, ndr)
Scherzi a parte, è già partita in Italia la campagna che spiega come il singolo può fare la differenza. Thomas Kolster parlava della “trappola dell’eroe” ovvero far ricadere sul singolo la responsabilità di risolvere problemi complessi e sistemici. Cosa ne pensa?
Concordo in parte. Penso che abbassare un po’ la temperatura nelle nostre abitazioni per risparmiare energia sia una buona cosa per il pianeta e per la nostra salute. Detto questo, ci sono temi che vanno affrontanti in modo sistemico, come quello dell’energia. Il governo prima di chiedere ai cittadini di cambiare i comportamenti, forse dovrebbe iniziare a cambiare i propri.
L’Italia è famosa per la moda, agricoltura, automotive ma oggi si pone il problema della crisi ambientale e della sostenibilità. Come inciderà tutto questo sul futuro dell’Italia?
Sono opportunità da cogliere. Prendiamo proprio la moda che è responsabile del 10% delle emissioni di carbonio e del 20% delle acque reflue del mondo, ovvero più di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme. La maggior parte delle persone non si rende conto dello spreco dei propri armadi. Con questo tasso di crescita, l’industria della moda produrrà un quarto delle emissioni di carbonio del mondo entro il 2050.
E l’Italia, che è famosa per la moda, come può affrontare questa sfida?
Gucci, ad esempio. Ha dimostrato di poter godere di una solida crescita e redditività, attuando al contempo un piano che utilizza al 100% energia rinnovabile e la catena di approvvigionamento più sostenibile di tutta la moda. Si può essere ottimisti.
Prima citava l’agricoltura. Questa estate abbiamo sofferto molta la siccità, come facciamo ad essere sicuri di poter rimanere leader ad esempio nel settore vinicolo?
E’ possibile essere resilienti. Una delle cantine storiche d’Italia è Gaja. Molti di noi conoscono la storia del pioniere del vino Angelo Gaja. Quello che meno sanno è che mentre le Langhe diventano più calde e i cambiamenti climatici impattano la produzione, una giovane donna che lavora a fianco di Angelo Gaja, sua figlia Rossana, è pioniera di forme sostenibili di interventi nei vigneti, che potrebbero essere un modello di come le cantine combattono il cambiamento climatico.
“Il trasporto mondiale marittimo delle merci ha un’impronta di carbonio pari alle emissioni delle Germania. Questo limite può essere trasformato in opportunità per l’Italia”
Se ne parla meno, però l’Italia vantava anche un’industria navale importante. Ora i più grandi costruttori navali sono asiatici. Dovremmo forse reinventarci in altri settori?
No, e le spiego perché. Poche persone conoscono gli effetti ambientali e climatici dell’industria navale. Il mezzo marittimo trasporta il 90% delle merci scambiate in tutto il mondo. Spostare le merci via mare richiede circa 300 milioni di tonnellate di carburante ogni anno. Per avere un parametro, l’industria marittima internazionale ha la stessa impronta di carbonio della Germania. Quel che è peggio è che con l’aumento del commercio, si prevede che le emissioni di anidride carbonica del trasporto marittimo internazionale aumenteranno fino al 250% nei prossimi 30 anni.
Quindi ritiene che potremmo trasformare il climate change in un’opportunità?
Il modo per l’industria marittima italiana di competere con questi costruttori e spedizionieri asiatici non è cercare di costruire navi più grandi, più veloci o meno costose, ma essere i veri pionieri nel portare l’industria navale in un futuro sostenibile. L’industria navale sarà costretta a convertirsi dagli accordi internazionali sul clima in un’industria più sostenibile. Se le aziende italiane riusciranno a ottenere un vantaggio competitivo nello sviluppo di navi “sostenibili”, allora ogni volta che una di queste navi attraverserà un oceano, starà anche rimandando euro verso le nostre coste sul mare Adriatico e sul Mar Ligure.
“Di cosa vado fiero? Aver contribuito a salvare la vita di tanti siriani grazie alla tecnologia”
Lei è stato consigliere all’innovazione nell’amministrazione Obama. Di cosa va più fiero dei risultati raggiunti?
Vado fiero di aver lavorato ad un programma tecnologico che ha aiutato a mascherare il GPS dei cittadini in Siria per evitare arresti o omicidi mirati. In secondo luogo, abbiamo creato un programma chiamato “Civil Society 2.0” che ha formato più di 100 organizzazioni della società civile di 50 paesi su come utilizzare la tecnologia per promuovere lo sviluppo. In questo caso, abbiamo costruito un ponte tecnologico tra la Silicon Valley e le organizzazioni di molte comunità in tutto il mondo, di solito nelle economie in via di sviluppo.
Siete stati accusati di “colonizzare” tecnologicamente i paesi in via di sviluppo…
E’ vero, molte persone pensavano che questo progetto fosse una sorta di lavoro segreto per guidare il rovesciamento dei regimi, è ciò che pensano i russi, ma questo non è vero.
Ho letto che si è occupato anche di charity.
Sì. Il mio gruppo ha creato un programma chiamato “Text Haiti” che ha aperto la strada all’uso di messaggi di testo per raccogliere fondi per i soccorsi in caso di calamità. Dopo il terremoto di Haiti, chiunque abbia inviato un sms con la parola HAITI a un numero breve, ha aggiunto $ 10 alla bolletta del cellulare e tutti i $ 10 sono andati alla Croce Rossa per programmi di assistenza. Pensavamo di poter raccogliere qualche centinaio di migliaia di dollari invece abbiamo raccolto più di $ 40 milioni di dollari in tre settimane!
Nel suo ultimo libro, “I furiosi anni venti” lei parla di futuro e di come un nuovo contratto sociale potrebbe aiutarci a costruire una società migliore. Forse è arrivato il momento di metterlo in pratica?
Per centocinquant’anni abbiamo avuto un contratto sociale. Le aziende detengono il potere di plasmare la nostra vita quotidiana. I governi detengono il potere di governance ed il popolo ha il potere di scegliere i propri leader. Ma ora, questo equilibrio si è allentato. Le aziende globali di oggi sono potenti come Stati. Le questioni che vanno dalla privacy, alla sostenibilità, alla diversità e ai diritti dei lavoratori sono più gestiti dalle aziende che dai governi. Se il futuro assomiglierà più a Star Trek o a Mad Max dipenderà dalla risposta che daremo una semplice domanda (senza delegare la risposta agli algoritmi): ci uniremo per riscrivere il nostro contratto sociale? Mentre il mondo infuria tra pandemie, crescenti disuguaglianze e disastri climatici sempre più frequenti, penso che siamo arrivati al momento per riesaminare il rapporto tra governo, cittadino e imprese e riscrivere il nostro contratto sociale.
Lei è ottimista?
Sono ottimista sul fatto che possiamo farlo, se non altro perché solo gli ottimisti possono cambiare il mondo.