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“Mamma, mi crei il mostro buono che mangia i cattivi della notte?”. Sebastiano è un bambino un po’ disorientato dalla separazione dei genitori e dalla prematura perdita della nonna materna: per affrontare le sue paure si è creato un amico immaginario e ha chiesto a sua madre di renderlo reale. Pronti, via: con ago, filo, vecchi bottoni e qualche scampolo di stoffa il desiderio si è concretizzato. E così, sette anni fa, è nata anche l’avventura di Roberta Cibeu, toy designer triestina, che ha dato vita a una linea di estrosi pupazzi mangiapaura.

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Un’idea diventata ormai un’attività imprenditoriale: i “Mostri113”, come li ha chiamati suo figlio, sono tutti realizzati a mano da lei stessa, che un tempo li vendeva consegnandoli a domicilio per le strade della città e oggi invece li spedisce in tutta Italia, grazie all’ecommerce e al tam tam dei social. “Aiutano i bambini a gestire le emozioni e a superare i momenti difficili, ma possono essere un supporto anche per gli adulti, grazie alla loro dimensione magica e infantile. Ognuno è accompagnato da un certificato di unicità e adozione, da un manuale di istruzioni per l’uso e dall’indispensabile ‘rituale per l’attivazione’ per farlo funzionare”, racconta la loro creatrice, che a 40 anni ha lasciato il lavoro precedente per dedicarsi a tempo pieno al nuovo progetto, allargandolo anche alla creazione di altri prodotti, in un mix di design, arte, fotografia e illustrazione. Nel suo laboratorio artigianale ci sono pupazzi per ogni paura, di vari colori e dimensioni, anche personalizzabili. I più gettonati? Mangiabuio, Mangiarabbia e Mammamostro & Bebé, pensato per favorire il distacco al momento dell’inserimento al nido. Tra gli adulti, va forte Mangiansia. “In comune hanno tutti un certo rigore estetico, lontano dagli stereotipi: non hanno sesso, non rispondono ai canoni classici di bellezza delle bambole, non hanno espressione, perché gli occhi sono due bottoni e la bocca una cerniera. Al contrario, sono pronti ad accogliere le emozioni che gli altri proiettano su di loro”.

I pupazzi mangiapaura per raccontare le emozioni

I Mostri113 sono diventati uno strumento prezioso anche per insegnanti, educatori e psicologi, prima fra tutti Maria Chiara Gritti, psicoterapeuta bergamasca, che li ha inseriti nel suo innovativo protocollo per la cura delle nuove dipendenze: affettiva, sessuale, da lavoro, da internet e da shopping. E’ cresciuta così un’alleanza tutta al femminile, una storia di imprenditorialità sbocciata grazie al web, un esempio di innovazione e creatività nel campo della psicologia. Dalla loro collaborazione è anche nato un gioco in scatola, “Istruzioni per Emozioni”: i protagonisti sono i pupazzetti che rappresentano gioia, rabbia, paura, sorpresa, tristezza, disgusto e le ‘new entry’ noia, senso di colpa e vergogna. Lo scopo? Spingere a raccontare il proprio mondo interiore, in una società in cui si tende sempre più a fare e sempre meno a parlare di sé, favorendo il dialogo, la conoscenza dell’altro, l’empatia.

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Così i mostri di stoffa accompagnano e agevolano i percorsi di cura individuali, di coppia e di gruppo che la dottoressa Gritti, autrice del libro “La principessa che aveva fame d’amore”, offre nel centro Dipendiamo di Bergamo. Una struttura quasi unica in Italia, che si affianca al Centro Sipac a Bolzano, dove lei stessa si è formata. “Ho creato un ambiente fiabesco, ricco di giochi, libri e disegni, per favorire la rieducazione al piacere, all’amore sano, alla creatività, alla cura di sé”, spiega. Al fianco degli psicoterapeuti, lavorano altre figure professionali: l’arteterapeuta, la drammaturga, la musicoterapeuta, la favolaterapeuta, la danzaterapeuta e la consulente d’immagine.

Amori tossici

“Le new addiction non dipendono da una sostanza, come droga, alcol o cibo, ma da persone e oggetti della vita quotidiana, con cui si arriva ad avere un rapporto compulsivo”, prosegue Gritti-

Queste patologie “emergenti”, sempre più diffuse nella nostra società, colpiscono entrambi i sessi con alcune differenze: “Le richieste di aiuto per dipendenza affettiva provengono prevalentemente da donne tra i 30 e i 45 anni, sofferenti e insoddisfatte  delle relazioni di coppia costruite fino a quel momento. Anche per lo shopping compulsivo la richiesta avviene maggiormente in ambito femminile, mentre le richieste per dipendenza sessuale, come quella da Internet e quella da lavoro, arrivano in particolare da uomini, in genere tra i 40 e i 50 anni d’età”. Limitando la possibilità di agiti compulsivi, la pandemia ha paradossalmente incentivato la presa di consapevolezza della propria dipendenza: le richieste di aiuto, al fine di gestire il malessere derivante dalla “forzata” astinenza, sono aumentate, mettendo in luce la diffusione di questo disagio ancora poco conosciuto.

Prevenire le dipendenze partendo dai bambini

Proprio l’incalzare delle new addiction ha portato Maria Chiara Gritti a realizzare il nuovo progetto  “Dipendiamo Education”, un ramo del centro Dipendiamo dedicato alla prevenzione. Un team di psicoterapeuti si occuperà di genitorialità e di infanzia, proponendo laboratori, percorsi di gruppo e psicoterapie mirate: “Offriremo innanzitutto percorsi per i genitori, che devono implementare la loro capacità educativa, perché oggi molti si sentono insicuri: solo fortificando il proprio mondo emotivo aiuteranno i figli a costruire il loro. Per i più piccoli organizzeremo attività che insegnino a riconoscere e gestire le emozioni primarie e quelle complesse fino allo sviluppo dell’empatia e della resilienza, ovvero la capacità di resistere agli stress che si devono affrontare nella vita, in modo da anticipare ed evitare la nascita di disagi emotivi”.

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