Fa notizia l’ondata di licenziamenti che sta riguardando i colossi di Internet, da Amazon a Microsoft, passando per Netflix e i vari social. Dobbiamo preoccuparci?
Non poteva durare per sempre. La pandemia ha sovvertito gli equilibri tradizionali, spingendo verso vette incredibili i profitti delle big del tech. Lockdown e quarantene hanno costretto la gente a fare acquisti via e-commerce e a guardare una moltitudine di serie e film on demand. Ma adesso che si sta tornando alla normalità, agli hobby fuori casa e agli acquisti al negozietto dietro l’angolo, i colossi del Web vedono il terreno franare sotto i loro piedi.
Chi ha iniziato la dieta…
L’ultima in ordine di tempo ad ammettere la défaillance è Amazon, la vetrina virtuale per antonomasia. Il colosso fondato da Jeff Bezos ha annunciato che licenzierà 18mila dipendenti in tutto il mondo. Anche questo ganglio della Rete, insomma, si mette in fila a Twitter e Meta, nel pieno dei licenziamenti.
L’uccellino blu, è noto, sta subendo la cura dimagrante imposta dal nuovo proprietario, Elon Musk, che ne ha dimezzato la forza lavoro (che abbia esagerato coi tagli da 3.700 unità lo rivela il fatto che in alcuni casi l’ex startupper abbia poi richiamato alcune figure chiave) ma ha anche promesso assunzioni per costituire team di ingegneri in Giappone, India, Indonesia e Brasile.
Per quanto riguarda Facebook, Mark Zuckerberg starebbe affilando la mannaia: secondo una ricostruzione del Wsj il Gruppo starebbe per subire la più importante riduzione di personale mai sperimentata nei suoi 18 anni di storia.
Questi numeri si sommano al migliaio di esuberi di Microsoft, a quelli annunciati a inizio settembre da Snap, la società cui fa capo la piattaforma Snapchat ( 20% del suo staff di oltre 6.000 dipendenti) e a quelli di Netflix (300 in piena estate), motivandoli laconicamente come “esigenze aziendali”. Pure il Gruppo di Disney Plus starebbe per prendere decisioni analoghe.
Che succede nella Silicon Valley
Molti commentatori hanno interpretato questa ondata di licenziamenti (che in totale si aggirerebbero tra le 150mila e le 200mila unità nell’arco dell’anno appena passato) come una possibile bolla delle Big del Tech. In realtà, è presto per dirlo. Ci troviamo infatti di fronte a un dimagrimento fisiologico dopo l’eccezionalità dovuta alla pandemia. Anzi, occorre riconoscere che la presenza di queste società ha permesso a molte economie di “tirare avanti”, nonostante lo stallo causato dai lockdown a quasi tutti i comparti: sebbene non vi sia un rapporto 1:1 tra i licenziamenti nei settori del turismo, della ristorazione e dei trasporti (tra i più colpiti da quella che negli USA hanno ribattezzato “coronacrisis”) e le assunzioni della Silicon Valley, il baby boom del 2020 delle aziende che prosperano sul Web ha comunque aiutato tanti lavoratori evitando che gli affari si fermassero, ristagnando.
Insomma, contrariamente agli allarmismi, anche se le immagini di migliaia di persone che abbandonano il proprio ufficio con lo scatolone in mano richiamano alla mente le meste scene del fallimento di Lehman Brothers, non abbiamo di fronte nulla di realmente paragonabile, perché questa volta tutto era ampiamente prevedibile. Dobbiamo preoccuparci? Questo dipenderà dalla lungimiranza dei singoli Ceo, che avrebbero dovuto approntare piani per non farsi preparare al ritorno della normalità. Piani che vadano ben oltre i licenziamenti, così da tranquillizzare gli azionisti.