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C’è una tendenza globale all’individualismo. I giapponesi, popolo individualista per antonomasia, hanno coniato un termine ormai universale: kudoku. L’individualismo, però, può sfociare in malattia. Quando allora Kudoku diventa un problema?

In Giappone da molti anni ormai si parla di hikikomori, letteralmente significa “stare in disparte”, persone che scelgono di ritirarsi socialmente chiudendosi nelle proprie abitazioni. Il fenomeno riguarda per lo più giovani adolescenti maschi che si rifugiano nella loro stanza e tagliano i ponti con il resto del mondo. Durante la pandemia l’aumento di ritirati sociali e dei tassi di suicidi ha portato il Gippone a istituire il Ministero della Solitudine, a conferma della dirompenza dell’altra faccia di Kudoku: la sofferenza legata al senso di solitudine.

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Hikikomori: quando la solitudine diventa l’unica possibilità

Il ritiro sociale tocca molto da vicino anche noi: da diversi anni il fenomeno ha preso piede anche in Italia e, sebbene non ci siano dati ufficiali in merito, si stima che il numero di adolescenti ritirati si aggiri attorno alle 100/120 mila persone, un numero che pare contenuto, ma in realtà è come se Bergamo si spegnesse e tutti suoi abitanti decidessero di non uscire più di casa.

Per capire meglio questo fenomeno, che cresce anche nel nostro Paese, ne abbiamo parlato con il dottor Matteo Lancini, presidente della fondazione Minotauro (Centro clinico di consultazione e psicoterapia), psicologo, psicoterapeuta e tra i maggiori studiosi del fenomeno del ritiro sociale.

“È una modalità attraverso la quale si esprime il disagio che entra nelle grandi forme di patologie della vergogna”, spiega a Startupitalia l’esperto. “I ritirati sociali sono tendenzialmente ragazzi che, con le trasformazioni del corpo, dell’adolescenza, la necessità di realizzare i compiti evolutivi vanno incontro a un senso di fallimento rispetto all’ideale elevato, il che li porta a sperimentare una vergogna pervasiva; e così prima si ritirano tendenzialmente dalla scuola e poi da ogni attività”.

Questo è il quadro di massima, poi il professore puntualizza che “ognuno ha la sua storia”, sembrerebbe che i giovani di oggi non siano più trasgressivi, quanto più invece tendano a sviluppare un senso di colpa rispetto ad aspettative ideali sul corpo e sul successo che “crollano spesso con l’arrivo dei compiti evolutivi dell’adolescenza”.

Da un lato abbiamo dunque una forma di suicidio sociale, anziché un debutto e dall’altra si prefigurano altre forme di disagio che riguardano l’attacco al Sé: ansie, fobie self-cutting, sexting, cyberbullismo sono sovraesposizioni, nel tentativo disperato di farsi un posto nel mondo e che, in fondo, altro non sono che l’altra faccia della vergogna, nel tentativo di cercare un posto nella società rispetto ai propri ideali. “Quando dovrebbero nascere socialmente, nel momento in cui dovrebbero sostenere lo sguardo del mondo, affrontarlo, decidono invece di abbassarlo, si vergognano terribilmente del fatto che doveva nascere uno splendido soggetto, invece nasce qualcuno di fallimentare e a questo punto per difesa si chiudono in casa, alcuni di loro immergendosi in esperienze virtuali”.

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Internet e videogame come finestra sul mondo

Si discute molto sul fatto che l’uso di Internet e dei videogame online siano la causa del ritiro di questi adolescenti, ma a tal proposito il professor Lancini chiarisce che “Internet non è la causa della disconnessione dei ritirati sociali, forse senza Internet non avremmo avuto il ritiro sociale, ma Internet se mai è la difesa, il mediatore, il riparo, davanti a un dolore talmente pervasivo che rischia di farti impazzire e andare incontro a pensieri suicidari, o addirittura a un breakdown psicotico e la difesa è Internet, la rete, l’immersione nel mondo virtuale”.

Internet e i videogame online sono dunque una finestra sul mondo per questi ragazzi, un modo filtrato per poter guardare all’esterno senza essere visti, perché incapaci di sopportare il peso dello sguardo degli altri su di sé. Lancini aggiunge che “Purtroppo, i ritirati sociali più gravi che ho seguito non riescono ad accedere neanche ai processi di simbolizzazione e alle relazioni mediate da Internet, e quindi sono tendenzialmente più gravi e preoccupanti quei ragazzi, rispetto a quelli che sono immersi nella rete”.

Il monitor come oblò

Senza voler dare meriti eccessivi a Internet, bisogna riconoscerne l’importanza nel mantenere un contatto con il mondo esterno. “Sebbene non sia possibile rintracciare una causa univoca che determini il ritiro, uno degli aspetti su cui è bene riflettere è che un tema molto insidioso nella storia di questi ragazzi sembra essere le modalità con cui tenere testa ai coetanei”, spiega Lancini.

Queste troppo spesso vengono giudicate come reazioni eccessivamente violente e aggressive, anziché essere lette alla luce di conflitti, anche fisiologici, che ci si trova ad affrontare in ogni relazione.

Il professor Lancini aggiunge che “in alcuni casi è vero che i ritirati sociali sono bambini, pre-adolescenti che non hanno potuto, non sono riusciti, a tenere testa agli altri, a esprimere la loro rabbia e a loro modo; a volte perché se lo hanno fatto sono stati guardati come troppo violenti e minacciosi”; ecco allora che lo sguardo di ritorno dell’altro risulta insostenibile proprio nel momento in cui si tenta di far fronte alla necessità di inserirsi in un gruppo classe.

L’influenza degli influencer (e della popolarità)

La società di oggi è talmente pervasa dai modelli di proposte di successo e popolarità che è davvero molto complicato individuare come contrastare questa società dell’individualismo e della competizione.

“Non dimentichiamo che il ritiro sociale avviene quasi sempre per fattore precipitante, scatenante, che alcuni poi chiameranno bullismo, ma non è neanche quello; è dovuto allo sguardo di ritorno dei coetanei. Oggi non si può frequentare la scuola se non si è neanche un po’ popolare”, ci dice.

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Cosa porta al ritiro sociale?

L’esperto ci spiega che, sebbene sia difficile stimare dei fattori di rischio, tra i fattori precipitanti “ci possono essere frasi dette da dei compagni di classe che a volte non sono neanche episodi di bullismo, ma che certificano uno stato d’animo”, quindi bisognerà lavorare sulla possibilità di esprimere il dolore e la rabbia, sentimenti che rimandano a una questione ancora più ampia, perché spesso sono proprio gli adulti che li mal tollerano.

Quando l’avatar nei Videogiochi è spia del malessere

Ecco allora che questi ragazzi virtualizzano l’esperienza, Internet e i Videogiochi, soprattutto se in relazioni con gli altri, diventano un luogo sicuro e rappresentano una modalità di poter esprimere dei vissuti anche onnipotenti, a volte grandiosi, o di rabbia, che non si riescono a esprimere nella vita reale, tant’è che ci si è ritirati.

Finalmente “alleggeriti” dal non dover presenziare fisicamente in alcun luogo, potendo esprimere parti di sé che risultano intollerabili per il mondo là fuori.

Il professor Lancini sottolinea che bisogna stare molto attenti, infatti, a togliere il sintomo a questi ragazzi “Internet è il loro sintomo, gli avatar che utilizzano per giocare ci dicono tantissimo di questi ragazzi e della loro sofferenza e quindi bisogna stare molto attenti a toglier loro la loro difesa, l’automedicazione, staccandogli la rete. “Perché non solo non si dà una mano, ma si rischia di aggravare la situazione”, ci dice.

È importante rispettare la difesa che è Internet e non staccarlo, però allo stesso tempo spiegare a questi ragazzi che quella difesa può non bastare e che sarebbe importante trovare un altro canale per provare a ragionare su come si sta, sul perché si faccia fatica ad andare a scuola; è importante che siano coinvolti i genitori, “che tutto il sistema capisca che c’è un momento di difficoltà ed è del tutto normale provarlo ad affrontare con altre competenze, perché i genitori sono in difficoltà” ci dice l’esperto.

Quindi senza rinunciare a una dose di disperazione nel vedere che il proprio figlio che spesso è intelligente, “tra l’altro i ritirati sociali spesso vanno molto bene a scuola”, si seppellisca vivo, “è necessario provare ad aprire canali comunicativi”.

Poiché alcuni sono resistenti allora conviene lavorare con i genitori perché dicano le parole giuste, “è tutto un lavoro di mediazione, a volte interventi troppo a gamba tesa, come possono essere degli interventi violenti, rischiano di acuire le difese e il ritiro del ragazzo”. Bisogna trovare un canale di apertura che “faccia comprendere che c’è il rispetto della difesa, ma che allo stesso tempo non si può star fermi a non fare niente” conclude il professor Lancini.

Rispettiamo dunque il fattore protettivo, Internet, che è un anti-breakdown, ma l’obiettivo rimane comunque un intervento volto ad aiutare questi ragazzi a sentirsi autorizzati a partecipare a quel mondo che si sentono di poter guardare solo affacciati ad una finestra virtuale.