Trasversale, pervasiva, multidisciplinare, integrata nei processi di business e non più accessoria. È l’innovazione trasformativa, studiata dall’Institute for Transformative Innovation Research (ITIR), lanciato oggi dall’Università di Pavia
Fare sistema significa innovare in un’ottica di multidisciplinarietà, verso una trasformazione che è evoluzione: questa è la mission di “ITIR” – acronimo di “Institute for Transformative Innovation Research“, il nuovo polo per l’innovazione appena nato all’interno dell’Università di Pavia. Di ITIR fanno parte 7 dipartimenti della stessa Università, 8 T-Labs, 62 ricercatori (per un quarto esterni all’Ateneo) e un board diretto dal presidente di ITIR, il prof. Stefano Denicolai, e la vicepresidente e prorettore alla Terza Missione dell’Università di Pavia, Hellas Cena. Qua troveranno spazio diverse realtà che portano l’innovazione in vari settori: dall’energia all’healthcare, dall’intelligenza artificiale al DeepTech, dal Manufacturing alla sostenibilità e alle Life Science. «È una grande sfida su cui l’Università vuole giocare un ruolo centrale con la nascita di questi laboratori – ha affermato durante l’inaugurazione il prof. Fernando Auricchio – L’Ateneo si apre sempre di più al mondo esterno, con una crescita di competenze che hanno effetti sull’esterno per trasformare il mondo circostante».
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Cambiare per innovare
La vera innovazione passa, imprescindibilmente, dal cambiamento. E ci vuole coraggio per trasformarsi. Ci hanno provato diverse aziende in Italia, alcune ci sono riuscite, altre un po’ meno. I risultati sulle imprese più innovative d’Italia emergono dalla ricerca presentata dal prof. Stefano Denicolai e condotta dall’ITIR che evidenzia i settori a più alto tasso trasformativo. Tra questi primeggiano l’Energia e le Utilities mentre il fanalino di coda è rappresentato, purtroppo, dal settore sanitario. La regione più predisposta alla trasformazione è il Piemonte, seguita dal Lazio. «L’innovazione trasformativa è un’evoluzione irreversibile», ha commentato il presidente Denicolai. Dalla ricerca emergono le dieci imprese più trasformative d’Italia. Tra queste: AvioAero, Barilla, ENEL, Ferrero, Generali, Gucci, Intesa Sanpaolo, Lavazza, Poste Italiane, TIM. Tra le top 5 per Innovazione nel modello di business ci sono Enel, Ferrero, Gruppo Hera, Intesa Sanpaolo e WeBuild Group, nella top 5 per la trasformazione digitale emergono Banca Sella, Fastweb, Telepass, TIM, Wind 3 mentre per la transizione Ecologica e Sociale: Edison, Enel, Gruppo Hera, Iren, Plenitude. Tra le migliori nel settore delle “non utilities” ci sono Chiesi, FERCAM, Iveco, Rekeep, Zucchetti. «C’è una forte trasformazione del settore, le grandi imprese italiane sono in un momento di ripensamento, si stanno interrogando», conclude il presidente Denicolai.
Le persone al centro
Al centro di questa trasformazione ci sono, come sempre, le persone. «Il capitale umano serve affinché la ricerca si trasformi in innovazione e la vera differenza la fanno coloro che questa trasformazione la capiscono ancor prima che avvenga – ha affermato Federico Forneris, prorettore alla Ricerca dell’Università di Pavia – Questo è quello che serve per portare avanti le idee e imparare, anche dal fallimento. Se non innoviamo, difficilmente saremo in grado di fare un passo avanti. Da un altro punto di vista servono gli investimenti: senza questi non c’è ricerca e questo Paese è chiamato a sburocratizzare il sistema che troppo spesso impone tempi molto lunghi per accedere alle risorse finanziarie. Ultimo, ma non meno importante, uscire dalla logica che si debba innovare soltanto quando accade qualcosa che ce lo impone». I veri innovatori, infatti, sono pionieri e l’esigenza che si percepisce forte oggi è quella che bisogna darsi da fare prima che le cose accadano. «Il fattore tempo gioca un ruolo fondamentale nel contesto innovativo, assieme alla consapevolezza che per per poter davvero innovare si deve fare sistema e aggregare, non disgiungere». Spesso, infatti, accade che chi lavora all’interno di un determinato settore percepisca i colleghi come minacce anziché risorse. «La co-creazione è parte fondamentale di questo processo», ha affermato Luca Travaglini, CEO e co-founder di Planet Farms. Nell’ottica della predizione l’innovazione gioca, di fatto un ruolo cruciale. «L’innovazione non è ricerca ma è far accadere le cose e la ricerca è un mezzo per arrivare a questo obiettivo», ha commentato Salvatore Majorana, direttore di Kilometro Rosso. E in un tempo di grandi cambiamenti, avere la capacità di aprirsi all’esterno è, di fatto, un punto centrale.
«Lavorare non più per silos è facile a dirsi ma difficile a farsi – ha dichiarato Silvia Eleonora Campioni, Chief Innovation Officer del Gruppo Lactalis Italia – In questa logica, come azienda, abbiamo creato una funzione di open innovation trasversale con lo scopo di collaborare tutti assieme per portare innovazione, che non è solo di prodotto ma di servizio, in un processo e un modello di business che richiede ricerca, integrazione e multidisciplinarietà». «Questa trasformazione richiede un approccio culturale diverso – commenta Maria Cristina Papetti, Head of Global Innovability di ENEL – Si deve essere proattivi nei piani, seri. Questi lab ci aiuteranno a rendere tutto questo concreto».
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Fallire, imparare, convergere
In questa logica di apertura, la convergenza è un altro tema centrale. «Convergenze nel creare qualcosa di nuovo, in un linguaggio codificato come abilità tecnologica verso la cooperation, la collaboration e la competition e nuovi modi di lavorare – ha affermato Benasso Fabio, Presidente Accenture Italia – Ci vuole un mix di competenze tecniche ed esperienziali e si deve fare sistema e giocare la propria identità sul tema competitivo. Questo vale anche per le piccole aziende». Le tematiche ESG sono portatrici di innovazione secondo Barbara Cominelli, CEO di JLL Italia: «Abbiamo bisogno di una rivoluzione green, l’ecosistema è molto impattante. Per fare questa trasformazione, integrare il tema delle competenze in azienda è difficile. In questo senso, si deve fare uno sforzo gigantesco per lavorare sull’upskilling e il reskilling: questa è la nuova sfida del Paese oltre all’attrazione di nuovi talenti».
Imparare dal fallimento è un’altra capacità sempre più richiesta, soprattutto alle startup, come dichiara Fiorenzo Omenetto, Dean of Research alla Tufts University: «Oltreoceano c’è una vera e propria cultura del fallimento come momento di apprendimento che si sviluppa sino dai tempi delle scuole secondarie superiori, in un ecosistema popolato da startup e idee. Credo che la vera spinta alla trasformazione debba essere tollerante verso il rischio». In un mondo in cui le aspettative di vita, secondo le previsioni, si alzeranno del 20%, l’approccio alla trasversalità diventa molto importante: «La chiave sta nell’unire quei puntini per creare non un tassello, ma un quadro – commenta Hellas Cena, alla Terza Missione dell’Università di Pavia – Allo stesso tempo, si aprono una serie di nuove opportunità da seguire che la trasformazione e l’Intelligenza Artificiale si porterà dietro in un’ottica non solo multidisciplinare ma di dialogo».
Vaccini, verso l’open innovation
La pandemia è stata determinante per un grande cambiamento nel settore farmaceutico, che è andato nella direzione dell’open innovation con la condivisione di dati in tempo reale. «Ci siamo trovati di fronte a qualcosa di unico che mai era accaduto: appena ci sono arrivati i dati dai colleghi cinesi tutti ci siamo messi al lavoro per preparare il primo mRNA – spiega Fausto Baldanti, professore di Microbiologia all’Università di Pavia e Responsabile del Dipartimento di Virologia della stessa Università – Tutti eravamo impegnati sulla stessa cosa: non solo nella cura dei pazienti ma nella ricerca. Molte guerre si vincono in laboratorio, e senza la ricerca non ci sono vittorie». La ricerca è la chiave di volta per l’innovazione.
«In merito al capitale umano, dopo gli USA e la Cina, c’è l’Italia a livello di qualità nella Ricerca – prosegue il prof. Baldanti – D’altro canto, in questo Paese il comparto tecnologico deve essere rinnovato e si deve imparare a diventare sempre più aperti e rapidi nell’intervento. Oggi, troppo spesso, tra il processo tra ideazione e la messa a terra trascorre troppo tempo. Un tempo che rallenta l’innovazione». «Oggi le applicazioni del vaccino Moderna sono grandissime, il potenziale è enorme e si sta andando nella direzione della ricerca di una cura per il cancro, con la possibilità di riscontrare un’efficacia del 44% in certi stadi di melanoma – ha affermato Andrea Carfì, Chief Scientific Officer di Moderna- C’è un grande potenziale che è reso possibile anche grazie ai 18 miliardi di dollari che Moderna ha in cassa e che permetteranno l’accelerazione dello sviluppo di queste terapie. Si lavora con l’idea che non si può perdere un minuto, ne un giorno, perché nel frattempo c’è qualcuno che soffre».