Classe 1999, studente di legge abituato alla ricerca delle fonti e al dibattito, Emanuel Cosmin Stoica denuncia le barriere mentali e architettoniche della nostra società. E il web già lo ama
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Emanuel Cosmin Stoica è un ragazzo di 23 anni di Torino, ma tutti sui social lo conoscono con l’appellativo di “King della 104”. Sui social, soprattutto, tutti lo conoscono per le sue attività divulgative sui temi dell’inclusione e dell’accessibilità. Parallelamente ai suoi studi nella facoltà di giurisprudenza, produce video e post di impatto che sono diventati rapidamente virali nel panorama della comunicazione social in Italia. È un universitario, studia con dedizione, conseguendo ottimi voti, e convive con la SMA (atrofia muscolare spinale). E quello che studia – e il modo in cui lo studia – hanno un’influenza non da poco sui suoi contenuti. Studente di legge abituato alla ricerca delle fonti, al dibattito e alla riflessione diffonde, infatti, contenuti di calibro preciso che vanno dritti al punto, corredati di argomentazioni e dati.
Quel particolare tone of voice
Ma quello che colpisce di Emanuel è altro, è la sua voce fuori dal coro che, con sarcasmo e una certa dose di irriverenza, mal tollera i buonismi del pensiero contemporaneo sulla disabilità, dall’espressione “diversamente abile” che gli fa saltare i nervi assieme al quasi assoluto e implicito divieto di poter criticare una persona portatrice di disabilità. «Questo ci deumanizza, non ci fa apparire come delle persone normali, con pregi e difetti. E se per caso si scopre che siamo in grado di fare qualcosa, allora siamo dei supereroi». Nei suoi contenuti social un pensiero è molto chiaro: la narrazione abilista e pietistica della disabilità crea un danno concreto, ovvero quello di mantenere lo stato delle cose e di creare stagnazione nel percorso verso l’inclusione. Perché se le persone disabili non entrano nel dibattito pubblico, ma vengono trattate come un oggetto esterno di cui prendersi cura o a cui affibbiare distaccatamente diritti o discriminazioni, il risultato non cambia. Restano alla porta, là fuori e resterà sempre un fatto straordinario che interagiscano a qualsiasi livello nella società civile.
Inclusione a tre livelli
L’inclusione di cui parla Emanuel Cosmin Stoica passa attraverso diversi aspetti, da quello delle barriere architettoniche, che sicuramente ancora mancano e vanno migliorate in Italia, a quello dell’inclusione sociale dei diritti e del mondo del lavoro, a quello del pensiero, da cui tutto si origina. Il primo è un dato misurabile quantitativamente, esistono indici dell’Unione Europea come l’Access City Award che riportano l’accessibilità all’ambiente costruito e gli spazi pubblici, ai trasporti e alle relative infrastrutture, a strutture e servizi, in termini di barriere architettoniche. La classifica che ne deriva non racconta però quella che è la reale vivibilità della città, in quanto manchevole degli altri aspetti sociale e culturale. Il secondo, in Italia, è valutabile dalla quota disabili che le aziende, per legge, sono obbligate ad assumere: per le aziende comprese tra 15 e 35 dipendenti c’è l’obbligo di assumere un disabile, che sale a due per le aziende dai 36 ai 50 dipendenti, mentre le aziende con oltre 50 dipendenti hanno l’obbligo di riservare il 7% dei posti a disabili + 1% a favore dei i familiari degli invalidi. Anche questo metodo però non racconta delle reali condizioni di inclusione e vivibilità del mondo del lavoro per i disabili. E, inoltre, come ci sottolinea Stoica e come traspare dai suoi contenuti social: «Non è attraverso lo spauracchio legislativo e la minaccia agli imprenditori che si promuovono strumenti sani nell’evitare l’esclusione di persone con disabilità».
Cambiamento del paradigma
Poi c’è il terzo, il più duro e a lungo termine, che consiste nell’abbattimento delle barriere culturali e nell’introduzione di una prospettiva che veda i disabili come cittadini portatori di diritti e doveri, come lavoratori, laddove ne abbiano la possibilità e il desiderio, e come potenziali clienti, fornendo loro, e a tutti, l’accessibilità ai servizi pubblici, alle case e agli esercizi commerciali, valutandoli in base alle loro ambizioni o qualità e immettendoli nel mercato e nella società civile. «Questo parte in primo luogo dal pubblico, dalla creazione di infrastrutture adeguate, ma anche dalla formazione e dalla normalizzazione di un ambiente inclusivo dai primi anni dell’educazione obbligatoria». E passa anche dalla comunicazione e dall’abbattimento di quella narrazione pietistica che lascia immutato lo stato attuale delle cose. Oltre che dall’informazione e dalla trasmissione di dati chiari sull’accessibilità, tra cui quelli sulle dinamiche demografiche in toto, che vedono l’Italia e molti altri paesi europei con popolazioni anziane in aumento, anch’esse spesso escluse dalla società della performance. Esistono pratiche virtuose che operano nell’ambito della comunicazione, come la startup torinese AccessiWay la cui mission è quella di rendere i siti internet accessibili a tutti, o enti e soggetti del terzo settore che si battono per la tutela e il miglioramento dei diritti dei portatori di disabilità. Ma che ancora rappresentano fenomeni fuori dell’ordinario e fari nell’ambito di una comunicazione non efficace. Non ci sono dati sulla vivibilità delle nostre città perché è un dato troppo complesso e difficile da calcolare e forse anche perché la vivibilità e l’inclusione passano prima da dinamiche umane e di comunità che ogni giorno di più si allontanano dalla nostra quotidianità e dal pensiero profondo e ci inducono a dare una risposta alle difficoltà di alcuni con strumenti su misura che non guardano all’altro come a un uomo, ma come a un numero.
Si spera quindi che un giorno «non ci sia più bisogno di dedicare una giornata all’anno alle persone con disabilità – conclude Emanuel Cosmin Stoica – e che si possa fare un PASSO insieme verso la direzione di un’inclusione concreta». E, forse, anche verso una società con più ironia e umanità.