Per la rubrica Italiani dell’altro mondo intervista alla trentenne di origini iraniane arrivata anni addietro in Basilicata. «Dobbiamo imparare tanto dal coraggio di queste giovani donne. L’unica arma che hanno è lo smartphone»
«L’Occidente deve capire che quelle stesse persone e quella stessa generazione che altrove può permettersi di pensare il futuro, in Iran vive oggi in condizioni che non sono umanamente accettabili. Noi non possiamo accettare che delle bambine di 8-9 anni vengano picchiate, come si è visto anche in un video che ha fatto il giro del mondo: una bambina con il viso insanguinato solo perché portava male il velo». È un costante grido di dolore e un invito all’azione quello di Pegah Moshir Pour. Questa trentenne attivista per i diritti umani di origini iraniane arrivata anni addietro in Basilicata è diventata un riferimento mondiale per denunciare ciò che succede nella sua terra natale. Pegah sui social racconta ciò che sta accadendo nel suo Paese ai tanti giovani che hanno preso parte alle proteste.
La sua storia parte proprio da lì: aveva solo 9 anni quando è stata costretta a lasciare Teheran per arrivare in Basilicata assieme alla sua famiglia. In quel tempo le violenze e la repressione del regime islamico erano così evidenti da indurre diverse famiglie a scappare. Ora la sua voce è a sostegno delle proteste delle donne e degli uomini esplose dopo l’uccisione di Mahsa Amini per mano della polizia iraniana. La storia di Pegah declina l’impegno sociale in una fase storica molto più instabile nel mondo e segnata da una moltiplicazione costante delle piattaforme sociali e digitali. «Essere attivista sulla questione iraniana mi aiuta anche a spiegare soprattutto nelle scuole cosa vuol dire diritti umani, cosa vuol dire diritti digitali, riportando l’esempio iraniano di autoritarismo digitale, quindi con un controllo totale legato all’accesso a Internet. Siamo online sempre ed ecco perché la cittadinanza digitale deve essere accessibile per tutte le persone del mondo. D’altronde se parliamo di un mondo globalizzato, allora dovremmo parlare seriamente di etica e necessaria consapevolezza digitale. Nessuno dovrebbe restare indifferente davanti all’impatto che le nuove tecnologie hanno e avranno sulle nostre vite. È una responsabilità condivisa», dice Pegah Moshir Pour, che è stata anche ospite quest’anno al Festival di Sanremo con un indimenticabile intervento insieme a Drusilla Foer.
Che tipo di rivoluzione si sta combattendo oggi in Iran?
La rivoluzione in Iran, che in realtà trova sfogo nel settembre 2022, affonda le radici negli anni. Dal 1979 ad oggi le donne e gli uomini non hanno mai smesso di protestare e qualcosa è cambiato. Negli anni le donne sono passate da un hijab molto coprente a un velo che comunque si posa sulle teste, oppure i ragazzi sono riusciti ad avere anche la libertà di portare magliette con le maniche un po’ più corte. Per noi sembrano cose banali e basilari, forse persino futili, però in Iran queste rappresentano delle grandi conquiste»
Perché questa è una rivoluzione sì femminile ma anche comunitaria?
È iniziata proprio dalle donne kurde che sono per prime scese in piazza perché Masha Jina Amini era di etnia kurda. Quindi non solo colpevole di aver portato male il velo, ma di essere anche kurda, perché le minoranze etniche in Iran sono perseguitate.
Hai dichiarato che torneresti subito in Iran, se il regime dovesse cadere.
Sì, tornerei subito in Iran perché è una culla di civiltà, di cultura, ha dei patrimoni immensi che devono essere conosciuti. È un Paese meraviglioso e che ha tantissimo da raccontare, da far vedere. Io non vedo l’ora che tutto questo possa accadere perché tra l’altro il regime, portando avanti comunque una cultura islamica secondo il loro modo di interpretarla, va a coprire quella che è la vera storia degli iraniani.
In che modo si può fare attivismo sfruttando le leve del digitale?
L’unica arma che hanno le persone in Iran è lo smartphone. Solo così in tutti questi mesi sono riusciti a fare video e foto per testimoniare ciò che succedeva. Se non ci fossero stati i social media noi non avremmo saputo nulla. Nel 2009, quando c’è stato il Movimento Verde, gli iraniani si sono organizzati su Twitter e su Facebook per poter scendere in piazza e manifestare. Non a caso a settembre il regime ha limitato o chiuso Internet. Bisogna chiedere che gli algoritmi delle piattaforme favoriscano l’accessibilità delle battaglie degli attivisti.
“Per la libertà”, hai ripetuto più volte sul palco del Festival di Sanremo. Cosa possiamo fare per la libertà?
Dobbiamo parlare di libertà perché anche se noi riusciamo a fare tutto senza problemi, ci sono tantissimi Paesi nel mondo che purtroppo ancora oggi vivono sotto vari regimi.
Il futuro come te lo immagini?
Questa rivoluzione andrà avanti ancora per molto tempo e non si fermerà ora. Non lo sostengo io, anche perché sono solo una portavoce. Le persone che sono in Iran dicono che non torneranno indietro. Lo si è visto dal grandissimo coraggio che hanno le ragazze andando in strada a ballare, a volto scoperto e senza velo: ci vuole tanto coraggio, perché sapete che vengono identificate, prelevate anche da casa. D’altronde l’Iran è tecnologicamente molto avanzato e quindi queste ragazze vengono geolocalizzate e prelevate. Noi dobbiamo imparare da questo coraggio che porterà un cambiamento, ma ci vorrà tempo.