Per la nuova puntata di “Viaggio in Italia” tappa in quella che è stata la capitale informatica italiana per raccontare una storia di internazionalizzazione nel solco dell’Olivetti. Alla scoperta di Incomedia, realtà piemontese che realizza l’80% delle vendite all’estero
Costruire siti senza saper programmare? Non ci sono solo Wix, WordPress e gli altri giganti dei Cms (Content management system). Per chi ha bisogno di andare online ma non possiede competenze tecniche di livello le proposte sono tante. I colossi del settore sono ancora irraggiungibili, ma l’italiana Incomedia è riuscita a ritagliarsi una quota di mercato interessante, con una particolarità: tre quarti del fatturato provengono dall’estero. Ma il cuore batte ancora in Italia, nell’operosa provincia piemontese culla di tante altre realtà del settore tech. Ivrea, in provincia di Torino, è stata a lungo uno dei centri mondiali dell’innovazione informatica con la gloriosa Olivetti.
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Non è solo una bella storia da raccontare con i verbi al passato: la lunga esperienza della storica azienda ha plasmato il territorio, creando valore economico – certo – ma anche competenze che poi hanno preparato al terreno a un microcosmo fatto di piccole imprese. Che esiste tuttora. Secondo uno studio di Confindustria Canavese relativo a 158 Comuni di pertinenza dell’ente, sono 655 le imprese complessivamente registrate nel comparto Ict (197 società di capitali, 134 società di persone, 320 imprese individuali, 4 di altre forme societarie, dati al 30 giugno 2023, elaborazioni della Camera di commercio di Torino su dati InfoCamere – Banca dati Stockview). Incomedia è tra queste.
Gli albori nella terra dell’Olivetti
Era il 1998 quando i fratelli Federico e Stefano Ranfagni avviavano l’attività. Altra epoca. Windows aveva appena rilasciato quello che, a detta di molti, è stata una delle sue migliori versioni, Win98, che consentiva a tutti di lavorare e giocare senza più passare da MS-DOS e dalle righe di comando. L’informatica era però ancora un affare da nerd e il mondo di Apple, non ancora patinato come oggi, separato da una paratia stagna, era affare riservato ai professionisti della grafica e dell’editoria. Ivrea era la capitale dell’informatica italiana. L’Olivetti era giunta alla fine della parabola che l’aveva portata a diventare leader mondiale negli elaboratori (oggi fa parte del gruppo Tim e si occupa di big data e IoT). Ma in città si respirava ancora profumo di bit. «Io e mio fratello abbiamo sempre avuto il pallino del software – dice Federico Ranfangni a StartupItalia -, ma lo immaginavamo molto più semplice da utilizzare di quanto fosse allora». Il primo prodotto di Incomedia è un programma per creare presentazioni multimediali destinato al mercato educational. «A inizio del millennio le scuole disponevano di parecchi fondi ed ebbe un buon successo» ricorda il fondatore. Nel 2003, l’idea di fare un passo in più, quello verso il web, da poco diventato fenomeno di massa con connessioni che dai modem a 56k si stavano spostando in tutta Italia verso il più veloce Adsl, che godeva anche del vantaggio di lasciare libera la linea telefonica. Tanti volevano un sito, pochi erano in grado di programmarlo.
La prima versione di WordPress, che sarebbe diventato il Cms più diffuso al mondo, risale proprio a quell’anno. Il successo era dovuto alla semplicità: la configurazione iniziale poteva creare qualche grattacapo, ma tutto sommato non erano richieste conoscenze avanzate per aprire un blog. Ma non era abbastanza. «Un’analisi di mercato ci confermò che esistevano un centinaio di software per creare siti, ma nessuno era un wizard, come lo chiamiamo noi, in grado di portare l’utente in Rete in cinque passi» dice l’imprenditore piemontese. «Fare le cose facili, del resto, è sempre stato difficile». Dopo un paio d’anni di sviluppo, Incomedia esce con un prodotto destinato – ancora una volta – al mercato educational, e che consentiva di creare siti in pochi, elementari passaggi. Il mercato italiano, però, risulta troppo stretto. E’ il momento di provare a fare il salto di qualità.
La svolta nelle fiere internazionali
Ricorda Ranfagni: «Abbiamo cominciato a girare l’Europa con la valigia in mano. Al Bett di Londra, fiera dedicata al mondo dell’educazione, abbiamo conosciuto i responsabili del Ncte [National Centre Technology Education, ndR] un’organizzazione del ministero dell’Educazione irlandese che ci chiese una quindicina di licenze per testare il nostro WebsiteX5. Abituati all’Italia, pensavamo le volessero gratis: invece ce le hanno pagate tutte, anche se si trattava di versioni di prova. Per farla breve, il nostro programma è piaciuto e ci hanno invitato a Dublino per insegnarlo a tutti i formatori del Ncte, consigliandolo assieme a una selezione di altri applicativi agli istituti del Paese. A partire da quel momento, negli anni sono poi state centinaia le scuole irlandesi che hanno acquistato il software».
La svolta arriva al Cebit di Hannover, all’epoca appuntamento imperdibile dell’information and communication technology, ultima edizione nel 2018. Lì i due trovano i contatti giusti. «I programmi per computer si vendevano ancora sugli scaffali – quindi ci serviva un distributore, e lì ne trovammo da tutto il mondo-». Si rifanno le valigie, si torna sull’aereo. «Cercavamo di essere il più possibile presenti sul mercato internazionale» ricorda Ranfagni, e lo sforzo pagò: Website X5 fu distribuito in ventimila negozi in tutto il mondo, quattrocento solo in Germania, dove venne stretto un accordo con le catene Media Mrkt e Saturn. Importante, ricorda l’imprenditore, il ruolo di un dipendente madrelingua, determinante nell’ “aprire” il mercato teutonico.
Girando il mondo non mancavano certo gli episodi divertenti: se gli affari spesso si concludono a tavola, trattative curate per mesi possono saltare per motivazioni banali. Come una partita di pallone. «Nel luglio 2006 l’Italia vinse i mondiali di calcio in Germania eliminando in semifinale proprio i tedeschi. Proprio in quel periodo Incomedia aveva cominciato a vendere WebSite X5 che si trovava in tutti i principali negozi di elettronica del Paese, per un totale di circa quattrocento punti vendita, e noi a proporre alle riviste tedesche di settore di scrivere una recensione su questo nuovo software italiano». «Ma, visto il risultato della partita [2-0, con il gol simbolo di Fabio Grosso ndR] in alcuni casi i giornalisti si rifiutarono di scrivere la recensione per via della sconfitta subita sul terreno di gioco». Con qualche eccezione. «Ricordiamo ancora il caso di una rivista tedesca entusiasta. Scrissero che l’Italia era indiscutibilmente famosa per il cibo e la moda, ma mai si sarebbero aspettati una qualità così alta da un prodotto tecnologico. Come parafrasò il giornalista quando lo incontrai: Italians do it better».
L‘aiuto degli utenti
Oggi, riporta Ranfagni, WebsiteX5 è il quarto website builder più popolare in Italia e il nono al mondo (fonte: Builtwith). La lingua è un problema serio, quando si esporta un programma informatico. «Le prime traduzioni le abbiamo fatte internamente: inglese, spagnolo, tedesco e francese. Per le altre lingue, parlo di idiomi come il bulgaro, lo slovacco, l’ungherese, ci è arrivata una mano inaspettata: la community degli utenti, che si è organizzata, offrendosi di tradurre l’applicativo gratuitamente dopo averlo utilizzato». Legittimo chiedersi cosa possa spingere una persona a impiegare parte del proprio tempo per rendere un servizio simile a un’azienda privata. «Si trovavano bene, e hanno voluto dare il proprio contributo»: l’imprenditore piemontese se la spiega così. Cose che potevano accadere allora, nella ristretta cerchia di utenti fortemente alfabetizzati dal punto di vista tecnologico per cui l’informatica aveva rappresentato il primo mezzo di comunicazione in grado di superare le barriere. Una cultura collaborativa dal sapore wikipediano che caratterizzava il web degli esordi e che, forse, il tempo ha diluito, ma resiste nel caso dell’azienda di Ivrea. Alla fine, le lingue sono diciannove. «Noi forniamo customer care nelle principali: per le altre, c’è un forum di supporto gestito sempre da volontari».
L’importanza del distretto tech piemontese
«Il nostro prodotto di punta, oggi, è rimasto il website builder, quello che permette di costruire siti in cinque passi” riprende Ranfagni. «Una soluzione semplice e conveniente ma fondamentale per la transizione al digitale di realtà di piccole dimensioni, adatta allo sviluppo di siti web, blog ed e-commerce per pmi, negozi, liberi professionisti, artigiani, commercianti, associazioni benefiche, scuole». I dati, afferma, dicono che è stato utilizzato per realizzare oltre 650.000 siti internet nel mondo, per un mercato globale che abbraccia Europa (Germania in particolare), Stati Uniti, America Latina, Australia. WebSite X5 viene venduto online in 120 paesi, e l’80% delle vendite avvengono all’estero. Fatte le dovute proporzioni, una storia di internazionalizzazione riuscita che ripercorre il solco dell’Olivetti, per decenni grosso attore di livello mondiale nel mercato delle macchine da scrivere e, successivamente, dei personal computer. Una vicenda che ha segnato profondamente il territorio di Ivrea e del Canavese. Dopo il declino della produzione di elaboratori, il marchio creò il brand Infostrada, poi acquisito da Vodafone; oggi, come detto, si occupa di big data per Tim. Pochi giorni fa ha perfezionato la cessione del ramo d’azienda dedicato ai sistemi di cassa per il settore retail a Buffetti, parte del gruppo Dylog. Ma l’intersezione con il mondo delle telecomunicazioni ha reso il territorio di Ivrea un hub innovativo per l’offerta dei servizi di telefonia mobile, fissa e banda ultra-larga. Il passato industriale ha lasciato anche un’eredità culturale. Nel mese di luglio 2018 Ivrea è entrata nella “World Heritage List” dell’UNESCO per la moderna visione della relazione tra industria e architettura sviluppatasi tra gli anni ‘30 e ‘60 del secolo scorso. Un patrimonio da tutelare, e oggetto di progetti di valorizzazione e riconversione in cui sono coinvolte tante aziende del territorio. Nella zona, sono ancora insediati anche i principali operatori attivi in Italia nel ramo delle comunicazioni: Tim, Wind Tre, Vodafone, Comdata, per un totale di circa duemila addetti. Ma c’è anche RGI Insurtech, tra i leader europei nella trasformazione digitale del settore assicurativo. Chiediamo a Ranfagni: quanto ha contato trovarsi a Ivrea? «Molto, nel senso che abbiamo potuto disporre da subito di un tessuto di persone che conoscevano bene le lingue, e questo ci aiutato a internazionalizzare. Nella loro preparazione, poi, l’informatica era il fiore all’occhiello, grazie proprio alla grande tradizione legata all’Olivetti. Delocalizzare? Non fa per noi: abbiamo ancora un team di sviluppo italianno. Oggi siamo una quindicina, piccoli e snelli come allora». Rilevante, ricorda l’imprenditore, il supporto delle associazioni di categoria come Confindustria e la Camera di Commercio, «che ci hanno aiutato quando è stato necessario».
I competitor
Chi sono i competitor? «I Cms online, a partire da Wix. Si tratta di grandissime aziende molto più strutturate della nostra: ma noi abbiamo la nostra nicchia, e siamo rimasti per venticinque anni in questo mercato mantenendo lo stesso core business e prodotto. Non è da tutti». Un quarto di secolo, peraltro, in cui l’informatica è cambiata moltissimo. «Il nostro segreto è stato non fermarci mai, cercare di coprire più mercati possibile, e circondarci delle persone giuste: la squadra è fondamentale. E poi avere rispetto, nei confronti dei dipendenti e di sé stessi». In questi giorni è uscita la biografia di Elon Musk firmata da Walter Isaacson, che aveva già scritto quella di Steve Jobs. Come il fondatore di Apple, Musk è un imprenditore capace di innovazioni fenomenali, ma manca completamente di empatia nei confronti dei collaboratori. E’ così stretto il legame tra l’innovazione e il distacco emotivo, l’aggressività? «Penso di sì» risponde, con una nota di rammarico. «Crescere velocemente di scala, come spesso accade alle aziende informatiche, ti porta a credere di essere in cima al mondo, aumenta l’autostima, ti fa sentire un supereroe. Chi produce qualcosa di fisico ha dei limiti alla velocità che in questo settore, invece, non ci sono. Facile perdere la bussola». Insistiamo: ma anche lei produce software. «Forse siamo diversi perché nella nostra storia non abbiamo mai pensato di crescere del 200% anche a costo di perdere le persone con cui lavoriamo. Abbiamo sempre privilegiato e rispettato la famiglia, oltre al lavoro». Per il mito dell’imprenditore seriale, rivolgersi altrove. Qui si lavora, “si fattura”, ma non si dorme in ufficio. E la sera si torna a casa, a godersi il tepore del focolare.