Per il longform domenicale intervista ad uno degli artisti innovatori contemporanei più apprezzati al mondo, definito dal Guardian il nuovo Michelangelo. «Alle aziende dico: assumete creativi e filosofi». Jago sarà ospite a SIOS23 il 21 dicembre a Milano
Anche Jago sarà con noi al SIOS23 Winter Edition, che torna giovedì 21 dicembre a Milano nel prestigioso Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana. Vieni ad ascoltarlo dal vivo e iscriviti qui all’evento. Scopri qui tutti gli speaker e il programma.
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«Nel mio staff preferisco avere chi ha fallito. Perché noi domani cadremo. E solo così avrò l’aiuto di chi è già caduto». Dietro di sé Jago ha un blocco di marmo alto parecchi metri, pesante 26 tonnellate. Lì dentro c’è la sua prossima opera. «Amo lavorare da solo. Se pensi invece a Bernini o a Canova avevano a disposizione centinaia di operai». Per il longform domenicale StartupItalia ha intervistato uno degli artisti e scultori italiani più apprezzati e famosi. Abituati a scrivere di app e tecnologia sul nostro magazine, non è stato comunque difficile approcciarsi per pochi istanti alla quotidianità ritmata da martello e scalpello. Un mestiere antico che Jago ha scelto di non confinare all’offline. Parte del suo successo è nato grazie ai social, alle prime condivisioni su Facebook e prosegue oggi con i video su TikTok. «Conservo un desiderio del fare che mi serve».
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In più occasioni ti sei definito un imprenditore. Non è la prima cosa che si associa di solito a un artista
Il tema dell’imprenditorialità è fondamentale. Fare impresa significa essere motore per la costruzione, per dare lavoro ad altri, per riqualificare quartieri e luoghi. È l’unica cosa che avrei potuto fare per essere libero di avere il tempo di fare quel che veramente conta. L’arte è espressione di libertà: se mi fossi comportato diversamente non avrei la libertà di oggi. Ho una azienda che si occupa di progettazione, di rapporto con i clienti, di comunicazione e di marketing. L’artista che si immagina in una prospettiva internazionale deve ragionare come imprenditore. Non faccio qualcosa di diverso da altre aziende: produco, condivido valori e creo opportunità lavorative.
Nel 2022 Tim Cook, il Ceo di Apple, è venuto a trovarti nel tuo studio a Napoli. Che esperienza è stata?
È stato un incontro molto bello. Abbiamo passato due ore e mezza nello studio che oggi è diventato museo. È entrato in un vero e proprio cantiere, nel backstage. La parte affascinante è il dietro le quinte. L’imprenditore, a pensarci, è il lavoro più creativo che esiste. Con Cook abbiamo parlato della grande capacità di ascolto necessaria. La tecnica migliore è circondarsi di persone migliori di te. Ecco perché per un amministratore delegato è fondamentale l’arte del delegare. Significa affidarsi alle competenze altrui. È un esercizio di umiltà.
L’imprenditore è un lavoro anche di responsabilità, ad esempio per quanto riguarda la sostenibilità. Ne hai parlato nel docufilm Materia Viva. Nell’arte si può parlare di sprechi?
Tutta l’arte produce roba che non è direttamente riutilizzabile o reinseribile in un sistema produttivo. Occupa spazio senza destinazione. Tutto è spreco in qualche modo. Io per la David utilizzo marmo che è stato cavato dieci anni fa, ma non immagini quanto materiale venga estratto e poi non corrisponde agli standard di qualità. Possiamo fare un ragionamento di recupero di materiale che non è stato utilizzato ed è un buon metodo. Questo blocco che ho alle mie spalle pesa 26 tonnellate, ma l’opera ne peserà 6. Dunque produrrò 20 tonnellate di scarto. E quegli scarti che fine faranno? Sono inerti, potrei utilizzarli per costruire valore condivisibile. L’ho fatto con l’opera del Papa: li abbiamo inseriti in cofanetti trasparenti e sono diventati valore. È fondamentale trasformare.
Nel tuo mestiere usi qualcosa che potremmo definire tecnologico o innovativo?
Utilizzo martello e scalpello. Sono strumenti che mi permettono di andare alla velocità del mio pensiero. Ho i miei tempi, la mia accuratezza e poi mi piace lavorare da solo. Il mondo è andato avanti, ma avendo preso una direzione tecnologica molte delle capacità e dei mestieri che una volta davano lustro al nostro Paese sono spariti. Si sono trasformati in altre forme di artigianalità.
Un altro tema di cui parli spesso è il fallimento. Nel mondo startup è un argomento molto sentito.
Come imprenditore ricerco e mi occupo di cose nuove e non ho mai certezze. L’esercizio da fare è l’abitudine all’eventualità che le cose non possano andare come ci si immagina. Il fallimento è componente fondamentale. In Italia c’è il concetto di persona fallita, ma io credo in realtà sia la certificazione del fatto di averci provato. Nel mio staff preferisco avere chi ha fallito. Perché noi domani cadremo e così avrò l’aiuto di chi è già caduto. Se uno non cade mai è un problema. Nel mio staff ho Tommaso Zijno, project manager, Michela Ruggieri è general manager e mio padre è amministratore delegato della società.
Come artista imprenditore qual è la fonte principale delle tue entrate e di che cifre stiamo parlando?
La fonte principale deriva dalla vendita delle mie opere e dalla realizzazione dei progetti. Oggi mi concentro su poco, circondandomi di investitori giusti. Offro l’opportunità di diventare soci e non mi privo mai della proprietà dell’opera. Non voglio buyer, ma partner. Chi vende dovrà sempre cercare nell’altro la possibilità di acquistare. E per me questo rischia di ridursi a produzione dozzinale. Per i miei lavori si va da un minimo di 350mila euro fino a 13 milioni.
Anche il mondo dell’arte è stato investito dal dibattito sull’intelligenza artificiale. Credi che l’AI metta a rischio l’esperienza della creatività?
Lo considero uno strumento. Penso alla quantità di mail che ricevo, migliaia ancora da leggere e non sono facili da gestire. La maggior parte è composta da messaggi di giovani che mandano cv, richieste e vogliono capire come tornare a fare un lavoro che sappia di mestiere. Oggi siamo tutti abitati dalla paura che corrisponde a una domanda: ma se domani si spegne la luce io dove sbatto la testa? Oggi oltre a dover surfare sulla tecnologia, dobbiamo ritornare alla manualità. Che futuro vogliamo costruire? Io credo che dobbiamo fare cose in grado di resistere nel tempo.
Perché hai scelto Napoli per il tuo lavoro?
Dipende sempre da che impresa si vuole fare. Milano è una piattaforma ideale per fare startup o se produci beni che necessitano di un network di contatti. Il luogo dove scegli di stare è determinante rispetto alla riuscita del progetto. Napoli è il luogo della creatività. La piattaforma che rende tutto possibile. Dal tessile al cinema, in molti si sono spostati qua. Non mi sembra strano perché nella sua magnifica molteplicità di luci e ombre questa città è un facilitatore per la creatività. E non solo per lo scultore, ma anche per il medico e il cuoco. Chiunque sia creativo ha il dovere dell’arte. E sottolineo un’altra cosa: le aziende dovrebbero mettere creativi e filosofi nei propri staff. Perché sono una risorsa, sono pensiero.