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Il volontariato si candida a diventare bene immateriale dell’Unesco, con una proposta transnazionale che parte dall’Italia: «Avanziamo questa proposta su solide motivazioni. Il volontariato è un elemento di crescita morale e civile di ogni Paese: è un bene prezioso, un patrimonio che dobbiamo proteggere, sostenere, alimentare. Per questo è necessario che il volontariato ottenga il riconoscimento dell’Unesco quale bene immateriale», dice Emanuele Alecci, Presidente del Centro Servizi Volontariato di Padova e di Padova Capitale europea del Volontariato, che ha avuto l’intuizione di questa candidatura. «E del resto, non avremmo potuto affrontare quel passaggio dolorosissimo che è stato ed è la pandemia senza poter contare su questo incredibile giacimento di risorse che è il volontariato», aggiunge Alecci, nominando così quei sei milioni e più di italiani impegnati nella pratica del volontariato, quattro milioni dei quali in organizzazioni strutturate, nel campo dell’assistenza ospedaliera e nella Protezione civile, nella tutela ambientale e del patrimonio artistico, nell’assistenza ai più fragili, nella ricerca scientifica, nell’impegno con i migranti, nell’alfabetizzazione digitale…

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La proposta è stata presentata ufficialmente, pochi giorni fa, nella sala “Caduti di Nassirya” al Senato da un ricchissimo comitato di cui fa parte, oltre a Emanuele Alecci, anche Andrea Carandini, Presidente del Fai, Francesco Rocca, Presidente della Croce Rossa Italiana, Fabrizio Pregliasco, Presidente dell’Anpas, il portale Vita e diversi nomi del Terzo Settore, della politica, del giornalismo, nonché il Vice-Presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato. StartupItalia ha incontrato Emanuele Alecci, 40 anni vissuti a intrecciare azioni e progetti di volontariato.

Emanuele Alecci

Emanuele Alecci

Emanuele Alecci, dall’Italia parte il progetto visionario di candidare il volontariato a bene immateriale Unesco. Quale sarà il prossimo passo?

Visto che presenteremo all’Unesco una candidatura congiunta transnazionale, avvieremo da subito incontri con le più grandi reti internazionali di volontariato. Ciascun Paese lavorerà dunque su un proprio dossier, che risponda a tutti i criteri Unesco previsti per queste candidature, quindi, insieme, li intrecceremo in un documento unico che proporremo all’organismo delle Nazioni Unite, credo per l’autunno del prossimo anno, massimo: sarà un report statistico, antropologico, sociologico, economico, che misurerà e narrerà in maniera stringente questo grande movimento umano. Voglio però precisare che, prima che il risultato finale della candidatura, per noi conta il processo per arrivarci, attraverso il quale vogliamo generare consapevolezza collettiva, diffondere le pratiche, aggregare i volontariati – perché i volontariati sono tanti – , farli parlare tra loro. E generare un’organizzazione internazionale, perché il Covid ci ha dimostrato che ne abbiamo bisogno. Dobbiamo pensare in grande: adesso abbiamo la possibilità di fare un grande salto di qualità.

Durante la pandemia il volontariato ha mostrato l’immensa energia e, soprattutto, la grande capacità di progettualità sul territorio di cui è capace.

Un male comune come la pandemia ha diffuso la consapevolezza di un bene comune generato da migliaia e migliaia di persone che, dopo avere fatto il loro mestiere, si prodigano in modo gratuito, disinteressato e in modalità organizzata per la ritessitura di una comunità strappata o che rischia di lacerarsi. Perché è questo il volontariato, un bene che contribuisce alla crescita sociale ed economica delle comunità, e anche per questo va protetto. Il volontariato è un seme che cresce e che estende benefici a tutti. Lo può fare anche rispetto alla politica: Giuliano Amato sta dicendo che nella ricostruzione post pandemia, la politica deve ispirarsi anche al volontariato, perché è un mondo caparbio, pragmatico ed estremamente fattivo.

Sui temi del volontariato lei ha incontrato poco tempo fa il Presidente Mattarella. Cosa vi siete detti?

Ho detto al Presidente che vogliamo dare gli occhiali del volontariato a tutti: la comunità che dobbiamo costruire dopo il Covid ha bisogno di occhiali che permettano di leggere la realtà in modo nuovo, per progettare lo sviluppo economico in modo diverso rispetto a come è stato fatto fino a ora. Fare volontariato, infatti, non vuol dire solo portare la spesa a casa a un anziano solo, ma anche esprimere un progetto politico perché gli squilibri e le situazioni di difficoltà non si presentino più. Peraltro, il volontariato è un frutto prezioso delle democrazia, si nutre di libertà: non sboccia, né cresce dove l’umanità è controllata o, peggio, oppressa.

Qual è una delle grandi risorse del volontariato italiano?

La collaborazione tra il pubblico e il privato: quando questi due mondi non cooperano, a perderci sono le persone.

Cosa insegna alle persone il volontariato?

Insegna che tutti possiamo farcela. Se per esempio hai scelto di impegnarti con i malati terminali, impari che in quei momenti, quando stai vicino a chi sta male e ai parenti, l’ultima parola non è solo quella della scienza, ma anche di chi tiene la mano e fa un sorriso. Sono queste due forze che, insieme, possono fare guarire.