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Si parla quasi sempre di Intelligenza Artificiale e nuove tecnologie applicate ai diversi settori scientifici, alla medicina e all’industria, ma che cosa succede quando il digitale esce dagli ambiti più convenzionali e incontra la cultura? Questo è ciò che avviene ogni giorno al Centre for Cultural Heritage Technology (CCHT) dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT). Un centro di ricerca giovane, nato a Venezia nel gennaio 2019, dove si lavora all’unione tra modernità e umanesimo. L’obiettivo? Conservare e restaurare il patrimonio storico e artistico nazionale ed internazionale, tra algoritmi per trascrivere documenti antichi ed innovative analisi per proteggere gli affreschi della Laguna. Non solo: queste nuove applicazioni potranno tornare utili in tanti settori diversi da quello culturale.

A dirigere il CCHT è Arianna Traviglia, rientrata in Italia per questa nuova sfida dopo molti anni trascorsi all’estero, prima brevemente negli Stati Uniti e poi a lungo in Australia. Nel 2021 ha ricevuto il Premio Internazionale “Le Tecnovisionarie” ed è stata inserita tra le 100 donne italiane di successo secondo Forbes. Lei stessa si definisce “un’umanista digitale”, figura ibrida, a cavallo tra scienze umanistiche e scienze computazionali.

Arianna Traviglia 2Laureata in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha frequentato la Scuola di Specializzazione in Archeologia all’Università degli Studi di Trieste, dove ha conseguito anche un dottorato di ricerca interdisciplinare in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali. Per anni è stata archeologa ‘di terra’, partecipando e gestendo scavi in Italia e all’estero: da Aquileia ai Fori Imperiali di Roma, da Trieste ad Aosta, dalla Turchia alla Cambogia.

Un centro di ricerca multidisciplinare

“Al Centre for Cultural Heritage Technology convivono anime diverse. Abbiamo numerosi progetti di ricerca, che sfruttano le nuove possibilità offerte dalle scienze dei materiali, dalla computer vision, dall’intelligenza artificiale, dal machine learning e dalla robotica”, spiega. Sua è stata la scelta di riunire una ventina di ricercatori con formazione e background variegati: chimici, fisici, informatici, archeologi, esperti in numismatica e laureati in beni culturali. Una commistione di saperi e intelligenze in un unico luogo. “Un vero centro multidisciplinare. Un modello che ho sperimentato all’estero, perché in Italia realtà simili non esistono. C’è ancora troppa settorialità nell’accademia italiana. Magari si collabora tra dipartimenti, ma lavorare a stretto contatto ogni giorno porta a un’interazione maggiore e a una diversa condivisione dei saperi”, sottolinea. Non solo: più della metà del team è composto da donne. “Quasi devo introdurre le quote azzurre”, scherza Traviglia. “Non è una scelta pianificata, ma è venuta da sé. Nei colloqui abbiamo privilegiato le competenze, perché all’IIT il concetto di meritocrazia è molto forte”.

Alla ricerca di siti archeologici perduti

archeologia laguna venezia

Immagini satellitari a infrarossi della laguna di Venezia

L’ultimo progetto, ma solo in ordine di tempo, è il “Cultural Landscapes Scanner”, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea e con la piattaforma satellitare Copernicus. “Analizziamo le immagini satellitari con strumenti di intelligenza artificiale per identificare dall’alto nuovi siti archeologici sepolti e ancora sconosciuti, sia in acqua che in terra”. Un’analisi che finora è stata fatta affidandosi all’osservazione soggettiva degli esperti, ma a cui l’Intelligenza Artificiale offre potenzialità nuove. “Oggi, grazie alla tecnologie, abbiamo ogni cinque giorni una nuova scansione del pianeta Terra: una quantità di dati da elaborare molto elevata. L’apprendimento automatico e la visione artificiale computerizzata possono rendere il lavoro più semplice, più ampio nelle osservazioni, più preciso e oggettivo, perché l’analisi non è influenzata da aspettative o bias personali”. L’Intelligenza Artificiale può identificare anche minime o impercettibili anomalie che emergono dai terreni spogli, da quelli ricoperti di vegetazione o dai campi coltivati, segni della possibile presenza di resti non ancora scoperti. “Attualmente collaboriamo con colleghi del Friuli Venezia Giulia, della Scozia e dell’Olanda e siamo ancora in una fase di training della tecnologia, che poi potenzialmente sarà utilizzabile in tutto il mondo”.

Un’innovazione importante per la salvaguardia del patrimonio storico-culturale, ma utile anche per la conoscenza del territorio e per gli importanti risvolti che ne possono derivare: “Avendo a disposizione una mappatura geografica precisa, si possono pianificare meglio i progetti infrastrutturali: fermare un cantiere in costruzione perché si scopre un sito archeologico è un problema difficile da risolvere a posteriori. Inoltre, in base al cosiddetto spillover effect, questa tecnologia si potrà sfruttare anche in ambiti diversi, come l’agricoltura di precisione”.

Un algoritmo per digitalizzare manoscritti antichi

Grazie a tecniche di computer vision e machine learning al Centre for Cultural Heritage Technology si lavora alla digitalizzazione del patrimonio culturale, in collaborazione con gli archivi della Fondazione Musei Civici di Venezia. L’obiettivo è mettere a punto algoritmi per la trascrizione in automatico dei manoscritti, creando così una biblioteca digitale a disposizione degli storici. “Anche in questo caso si tratta di un lavoro svolto tradizionalmente dai paleografi, che sanno leggere le diverse scritture nel corso dei secoli passati, ma la tecnologia permetterà di gestire un’enorme mole di dati e potrà anche utilizzata in ogni settore in cui ci sia il bisogno di decrittare codici e digitalizzare documenti, come negli archivi industriali”. Non solo. “Lavoriamo anche alla trascrizione delle tavolette cuneiformi della biblioteca di Assurbanipal, conservate al British Museum, e alla comprensione, attraverso l’A.I., del significato di speciali segni che finora l’uomo non è riuscito a interpretare”.

Dall’art crime alla scienza dei materiali

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Arianna Traviglia e il suo team si occupano anche di art crime: identificano il patrimonio culturale rubato e messo in vendita su internet e indagano, grazie agli avvistamenti dai che orbitano nello spazio, sui siti di scavi archeologici non autorizzati, per esempio in Iraq, per fermare il saccheggio delle antichità.

C’è poi tutta l’attività di ricerca legata alla scienza dei materiali: “Analizziamo vetro, metalli, legno, marmi e altri materiali con cui sono realizzate le opere d’arte per sviluppare rivestimenti protettivi specifici contro agenti artificiali o naturali dannosi, come l’acqua salata della Laguna”. La composizione dei materiali viene studiata attraverso vari strumenti per analisi fisico-chimiche e anche tramite tecnologie iperspettrali all’avanguardia. “Grazie a questi mezzi innovativi stiamo anche cercando di correggere gli errori fatti in passato: abbiamo infatti scoperto quanto siano deleterie alcune sostanze utilizzate negli ultimi 20 anni, che accelerano la corrosione anziché fermarla”.

Il ruolo dei privati nella salvaguardia dell’arte

L’applicazione delle nuove tecnologie in ambito umanistico è comunque solo all’inizio. Una grande sfida si prospetta per i prossimi anni, a patto di trovare le risorse necessarie. “Al momento la tutela del patrimonio culturale in Italia è affidata ad enti pubblici, organizzazioni e centri di ricerca. Difficilmente le aziende sono disposte a investire, come avviene invece per altri settori dell’innovazione. È importante invece che anche i privati capiscano che possono avere un ruolo importante per la salvaguardia del nostro passato”.