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Nel 2021 sono stati commessi 247 omicidi: fra le vittime si contano 103 donne, di cui 87 uccise in ambito familiare o affettivo. In particolare, 60 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner. Un dato in aumento (+ 3%) rispetto all’anno precedente, quando si erano conteggiati 100 femminicidi, secondo i dati diffusi in questi giorni dal Ministero dell’Interno. Drammi vissuti molto spesso in solitudine, anche se durante il lockdown 2020 si è registrato quasi l’80% in più di chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking.

La grande maggioranza delle vittime sopporta in silenzio oppure confida a qualcuno di essere in difficoltà, senza però arrivare a una denuncia e a un’esplicita richiesta di soccorso. E così sono tante le storie che restano nell’ombra, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui l’attenzione generale è catalizzata dall’emergenza sanitaria.

Una giornata per riflettere sulla violenza di genere

“La paura impedisce a chi subisce violenza di reagire e chiedere aiuto, ma troppo spesso anche le persone che stanno intorno alla vittima non riescono a vedere quello che sta succedendo o comunque non pensano di poter intervenire”: Giovanna (nome di fantasia), mamma di due ragazzi di 19 e 15 anni, ha vissuto per vent’anni con un marito brutale che la picchiava, la maltrattava, la minacciava. Lei sa bene quanto sia difficile per una donna riuscire a chiedere aiuto, per questo ha deciso di raccontare la sua storia in occasione della Giornata mondiale contro la Violenza sulle Donne, che ricorre ogni anno il 25 novembre: un momento per ricordare le troppe vittime di femminicidio e di abusi sessuali, fisici e psicologici, ma anche per riflettere sulle cause da cui nasce la violenza di genere, soprattutto in ambito domestico.

Quello di Giovanna è anche un accorato appello alla società, perché ognuno si senta responsabile di fronte al problema della violenza di genere: “Tutti possiamo intuire l’esistenza di una situazione difficile, cogliendo segnali che vanno al di là di quanto viene detto a parole, e possiamo intervenire. Ognuno di noi può avere la forza di fare quella telefonata di denuncia così importante: un gesto che può salvare una vita, prima che sia troppo tardi”.

Una nuova casa per ricominciare a vivere

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Oggi Giovanna è ospite in uno degli appartamenti del programma “La Rondine”, messi a disposizione a Milano, nel quartiere di Baggio, dalla Fondazione L’Albero della Vita Onlus per accogliere madri sole e in difficoltà, insieme ai loro bambini. “Abbiamo ventidue bilocali o trilocali, che possono ospitare un massimo di 5 persone e permettono alle mamme con i propri figli di vivere in un ambiente che possono chiamare casa, in uno spazio accogliente tutto loro, da cui ricominciare il proprio percorso esistenziale”, sottolinea Rita Valente, coordinatrice della struttura.

Anche i bambini vittime della violenza in famiglia

Giovanna ha denunciato il suo ex compagno quando lui ha iniziato a picchiare selvaggiamente anche i loro figli. Fino a quel momento aveva subito in silenzio, nell’isolamento più totale a cui lui la costringeva, chiudendola in casa e impedendole ogni rapporto con il mondo esterno, persino con i suoi genitori. Una relazione iniziata quando lei era giovanissima, poco più che maggiorenne. “Da quel momento ho smesso di vivere”, sono le parole con cui inizia il suo doloroso racconto. “Per i primi sei mesi è stato il principe azzurro che ogni ragazza sogna: dolce, premuroso, sensibile. Si prendeva cura di me. Poi qualcosa è cambiato: una sera mi ha spezzato un braccio solo perché non avevo voglia di uscire”. Da quel giorno è iniziato un crescendo di violenze, psicologiche e fisiche, che nemmeno la nascita di due bambini è riuscita a fermare. “Lui si sentiva il padrone del mondo, mi teneva in gabbia, non avevo nemmeno il telefono”. Giovanna ha perso giorno dopo giorno la voglia di vivere: “Pesavo pochissimo, non parlavo più. Ma ero terrorizzata e non sapevo cosa fare. In passato in tv non si parlava di questi argomenti e per me è stato difficilissimo”.

Il bisogno e la forza di portare in salvo i figli

Quando però la furia cieca del marito si è abbattuta anche sui figli, ha deciso di chiedere aiuto alla sua famiglia e alle forze dell’ordine, telefonando di nascosto a sua sorella. “Vedere i miei bambini con gli occhi persi nel vuoto dopo essere stati picchiati mi ha fatto capire che noi tre stavamo avendo la peggio e che non potevo aspettare oltre: dovevo salvarli. Avevano diritto a crescere liberi e onesti”.

Con i figli Giovanna è entrata in una struttura protetta, dove è rimasta per cinque anni, prima di trasferirsi nella casa famiglia “La Rondine” e continuare il suo percorso verso l’indipendenza. Il marito, che nel frattempo ha scontato sei anni di carcere, presto sarà di nuovo in libertà. “Servono pene più severe verso gli uomini violenti”, commenta. “E’ angosciante pensare che potrebbe cercare di avvicinarsi a noi, anche se resta il padre dei miei figli”.

Il suo sguardo è però rivolto al futuro. “Oggi mi sento realizzata. Mi sento donna, mi sento mamma, mi sento la Giovanna di quando avevo 18 anni. Ho acquistato forza e ho realizzato sogni che non avrei mai immaginato. Sono felice ed appagata”. Una vera e propria rinascita, come la definisce lei stessa: “Il risveglio al mattino è tornato ad essere una cosa bella, anzi: mi alzo prestissimo, alle cinque, perché voglio recuperare il tempo perduto. Canto e ascolto musica, ho anche ricominciato a truccarmi… Mi piace vivere”.

Una società da educare alla non violenza

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Le scarpe rosse con il tacco da anni sono il simbolo della violenza contro le donne

Giovanna vuole dare un messaggio a chi vive in una situazione come quella ha affrontato lei, ma anche all’intera società. “Oggi, rispetto a vent’anni fa, c’è molta più attenzione su questo tema, ma non è sufficiente: bisogna fare di più. Educhiamo i bambini a scuola, appendiamo manifesti nei centri commerciali, scendiamo in piazza, facciamo corsi di formazione per le forze dell’ordine e organizziamo campagne di sensibilizzazione rivolte a tutti, per creare una società priva di qualsiasi forma di maltrattamento. Ai miei figli insegno che la violenza inizia dalle parole con cui ci si rivolge alla propria compagna”.

Donne vittime di violenza, ma non solo

Gli alloggi per l’autonomia “La Rondine”, come quello in cui vive Giovanna, sono destinati a madri sole con bambini in seconda accoglienza, cioè donne che hanno già affrontato una prima fase di aiuto oppure che provengono da una situazione di disagio economico o di difficoltà socio-educativa lieve e che necessitano di un sostegno nella fase di reinserimento sociale. “Sosteniamo le donne e i bambini attraverso attività di consulenza pedagogica e psicologica, aiuto nell’inserimento lavorativo e accompagnamento durante l’intero percorso”, spiega la coordinatrice Rita Valente. “In media, anche se ogni progetto è personalizzato, i nuclei familiari vengono ospitati per 18-24 mesi, finché non riconquistano la serenità e l’autonomia che portano a una vita più felice e indipendente”.