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Il luna park è da sempre associato alle grandi attrazioni che divertono bambini e adulti, dalle montagne russe agli autoscontri, passando per ruote panoramiche e trenini per i più piccoli. Sin da inizio Novecento in molte città vennero dedicati grandi spazi a questo tipo di attività, che negli anni si sono integrate con lo spazio urbano in maniera permanente e non più itinerante. Alcuni sono arrivati a rappresentare dei veri propri riferimenti storici, pensiamo a Coney Island a New York, il Wiener Prater di Vienna o il Parco Tivoli a Copenaghen.

Innovazione culturale e rigenerazione urbana

Ma qualcosa è cambiato, soprattutto l’associazione di questi luoghi all’idea di consumismo fine a se stesso, che limitava l’esperienza alla sola dimensione ludica. Non è più così, almeno se parliamo del Pessoa Luna Park, un’iniziativa tutta italiana che può essere ben descritta con tre parole chiave: cultura, innovazione ed ecologia. Si tratta infatti del primo luna park green disegnato per i millennial e la Generazione Z. “Il nostro è un progetto di innovazione culturale e di rigenerazione urbana: nasce dal desiderio di realizzare un piccolo ecosistema che tenga insieme il piacere delle piccole cose e l’avanguardia, la dimensione mediterranea e le tecnologie di ultima generazione”, racconta Azzurra Galeota, una delle fondatrici, a Startupitalia.

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Parco culturale e nuova occupazione temporanea

Un progetto itinerante, che la scorsa estate ha fatto tappa a Napoli e in primavera sarà a Salerno, nato da una constatazione semplice, ma che a volte è difficile da contrastare. Ovvero che “le città sono piene di spazi abbandonati e sottoutilizzati, che restano immobili per decenni in attesa di grandi finanziamenti”, che non arrivano o arrivano dopo troppo tempo, creando delle sacche di degrado urbano e quindi anche culturale. “Noi abbiamo costruito un modello di occupazione temporanea di questi spazi per smuovere le acque e dimostrare lo straordinario potenziale di progetti temporanei e itineranti come il nostro”, sottolinea Galeota.

Il Pessoa Luna Park è il “primo parco culturale in cui ci si diverte”. In che modo? “Tutto avviene in maniera partecipativa, a partire dalla co-progettazione delle installazioni e dei giochi urbani. Lo realizziamo con studenti, giovani designer e artisti, cittadini attivi e artigiani con esperienza decennale. Siamo appassionati alla metodologia del gioco come strumento di conoscenza e interazione. Partiamo sempre dall’idea che un gioco per funzionare debba essere immediatamente riconoscibile. È per questo che generalmente preferiamo rivisitare i classici giochi da tavolo in formato XXL”.

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E così al Pessoa ci si può divertire con “Indovina chi ci ha rovinato?”: un “Indovina Chi” gigantesco dove, al posto degli anonimi volti a cui siamo abituati, compaiono quelli di coloro che hanno generato disastri ambientali in maniera più o meno volontaria”, come il presidente brasiliano Bolsonaro, l’ex inquilino della Casa Bianca Donald Trump o alcuni dirigenti d’azienda italiani. Particolare anche la rivisitazione del classico biliardino, ribattezzato “La Biliardina” e realizzato insieme all’artista Roxy in the Box: in campo ci sono 22 donne tutte diverse, le cui sagome appoggiano su una stesso piedistallo, per sottolineare non solo la diversità ma anche il concetto di inclusione.

Minimalismo etico e piccole utopie

Come è facile intuire non si tratta quindi di semplici giochi finalizzati all’intrattenimento estemporaneo, ma che, anzi, mirano ad una riflessione a lungo termine, capace di smuovere le coscienze mentre ci si diverte. Un progetto visionario se si pensa che “spesso quando si parla delle grandi sfide della nostra generazione si prova un sentimento di impotenza. Sarebbe velleitario pensare di poter risolvere da soli il problema dell’invasione della plastica negli oceani e il cambiamento climatico. Ma, per proporre una soluzione concreta al disfattismo, abbiamo iniziato a praticare una sorta di minimalismo etico. Non possiamo risolvere i grossi problemi che affliggono l’umanità, ma possiamo avviare piccole pratiche per fare la differenza. Crediamo nel potere delle piccole utopie: fare grandi cose in maniera circoscritta e innovativa”.

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Tecnologie smart e sostenibilità

Scendendo più nel concreto, non va persa la possibilità offerta dalle tecnologie “smart” alla sostenibilità. “Il mondo digitale deve diventare un alleato e un facilitatore di processi. La transizione ecologica su tutte si sta muovendo in quella direzione, per fortuna. Detestiamo la definizione estremamente retorica che si dà dei giovani, ma va considerato un dato di fatto: il futuro è nostro. E i dati in effetti parlano chiaro. I giovani under 35 sono quelli più attenti all’ambiente e la nascita di startup sostenibili è in crescita”.

Per fare un esempio concreto, è stato creato un apposito spazio, il “fablab”, in cui i “rifiuti plastici vengono trasformati in nuovo filamento per la stampa 3D: così stampiamo i gettoni da usare all’interno del luna park. Sarà pure simbolico, ma vi assicuro che pagare una birra in questo modo è tutta un’altra storia. Il divertimento e la tecnologia, se usati opportunamente, diventano uno strumento straordinario per costruire comunità”.

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Smart city e cura condivisa degli spazi

A volte si parla, anche con una certa semplicità di smart city, senza analizzare il rapporto con la riqualificazione urbana. “Maurizio Carta, un caro amico urbanista che spesso ci ha dato il suo supporto, preferisce parlare di augmented city al posto di smart city. La sua è una differenza di paradigma minima, ma emblematica. La smart city è un modello calato dall’alto che difficilmente si adatta alla realtà delle cose. La città aumentata invece parla di una città incarnata, complessa e soprattutto reale. Le tecnologie più avanzate e, in particolare, i dispositivi smart onnipresenti nelle nostre tasche e nelle nostre mani, vanno usati in quest’ottica: devono implementare le funzioni, facilitare l’accesso ai servizi e aumentare il valore delle città”.

Che cosa rende vivibile una città? “La cura condivisa degli spazi, la possibilità di accedere facilmente ai servizi essenziali per uscire con gli amici, per andare al lavoro quando piove e per fare una passeggiata in un bel parco sotto casa. Le tecnologie stanno dimostrando di essere le alleate perfette in questo senso”, conclude Azzurra Galeota. Non rimane che sperare che ci siano sempre più spazi recuperati all’abbandono e al degrado, dove i giovani – e più in generale tutti i cittadini – possano riappropriarsi dei contesti urbani abbandonati per una socialità più sostenibile, consapevole e “comunitaria”.