Nel rapporto “La Buona Scuola. Facciamo crescere il Paese” vengono presentati i 12 punti di partenza la innovare il sistema didattico italiano. Si parla anche di FabLabs ed incubatori
Se c’è una “riforma” nata nella culla dell’innovazione digitale è senza dubbio quella presentata da Matteo Renzi in queste ore. Di là dei dubbi sulla concretizzazione o meno di quanto scritto nelle linee guida “La buona scuola” presentate sul sito Passodopopasso le 136 pagine a disposizione dei cittadini sono impregnate di innovazione tecnologica. Si può tranquillamente affermare che l’informatica è entrata a far parte della politica italiana e del suo linguaggio. Ogni proposta del patto annunciato dal premier trova la sua possibile realizzazione grazie alla tecnologia: dalla formazione, alla sburocratizzazione, alla partecipazione, alla didattica.
La formazione dei docenti
Si parte dai docenti: “Un’attenzione particolare – si legge nelle linee guida – merita la formazione dei docenti al digitale. L’attuazione di una didattica integrata, moderna e per competenze si basa sulla necessità di offrire ai docenti gli strumenti necessari per sostenerli nelle loro attività didattiche e progettuali. Occorre organizzare, riconoscere e valorizzare i molti progetti e le reti di docenti già coinvolte sul tema”. Come non si specifica ma è già qualcosa averlo scritto.
La trasparenza
L’obiettivo della trasparenza trova la sua realizzazione grazie alla piattaforma “Scuola in chiaro 2.0” che permetterà di pubblicare i flussi dei dati sull’organizzazione scolastica, i bilanci delle scuole, i rapporti di autovalutazione, i progetti finanziati attraverso il Mof, la mappatura dell’interazione delle scuole con il territorio. Il premier sa che per diventare efficienti bisogna digitalizzare: “Con la Buona Scuola vogliamo segnare un cambiamento legandolo ad un processo chiave dell’azione amministrativa: la digitalizzazione”. Le idee non mancano: dal lancio del primo hackathon sui dati del Ministero alla smaterializzazione.
La scuola digitale
Renzi ha capito più di ogni altro che serve più connessione, anzitutto digitale. Nel piano presentato le cifre non consolano ma la fotografia fatta dello stato dell’arte delle scuole italiane è chiara:“Ad oggi solo il 10% delle nostre scuole primarie e il 23% delle nostre scuole secondarie, è connesso ad Internet. Le altre sono collegate a velocità bassa, ma con situazioni molto differenziate, e spesso insufficienti a mettere in rete solo l’ufficio di segreteria. Quasi in una scuola su due (46%) la connessione non raggiunge le classi e quindi non permette quell’innovazione didattica che la Rete può abilitare”.
Si vogliono coinvolgere FabLabs ed incubatori
Il premier sembra intenzionato a mandare in soffitta le Lim (lavagne multimediali) considerate “troppo pesanti” e “ingombranti”. A dire il vero non parla di cifre per trovare una soluzione a questo annoso problema ma chiarisce che “l’unica soluzione possibile è “uno sforzo collettivo, un’iniziativa nazionale di coinvestimento per la dotazione tecnologica della scuola”. Non solo. Chi ha scritto il piano, pensa ad allearsi con i laboratori del territorio: FabLab o incubatori.
Coding e Makers culture
Ma forse la vera novità, annunciata più volte e ora chiarita è l’idea di introdurre il coding nella scuola italiana: “Vogliamo che nei prossimi tre anni in ogni classe gli alunni imparino a risolvere problemi complessi applicando la logica del paradigma informatico.A partire dall’autunno lanceremo in Italia l’iniziativa Code.org. Il punto d’arrivo sarà promuovere l’informatica per ogni indirizzo scolastico. Fin dal prossimo anno vogliamo attuare un programma per “Digital Makers” sostenuto dal Ministero e anche da accordi con la società civile, le imprese, l’editoria digitale innovativa”.
Ora si apre, per sessanta giorni, una fase di consultazione, anch’essa caratterizzata dall’innovazione tecnologica. Una scommessa per il premier e anche il Paese che aveva e ha, senza dubbio, bisogno di svecchiarsi e crescere.