È il 1958 quando la pallacanestro in carrozzina arriva in Europa nelle prime partite organizzate. E, da allora, questa disciplina inizia ad essere giocata a livello nazionale, europeo, mondiale e olimpico. Un gioco di squadra, che punta tutto sull’abilità, sulla rapidità e la corretta strategia da attuare in campo, per raggiungere la vittoria in 4 tempi da 10 minuti. Insomma, un gioco che va oltre le disabilità e che unisce tutti i giocatori verso un unico obiettivo: il canestro. Ed è dall’inizio di una storia di vita, dopo un incidente stradale a soli 15 anni, che, per Chiara Coltri, nasce la passione di una vita. Oggi ha 35 anni, è un’atleta paralimpica ed è diventata un punto di riferimento per la disciplina, capitanando la Nazionale italiana femminile e la squadra del CUS Padova. «Non sono mai stata una sportiva prima dell’incidente. Sono venuta a conoscenza del basket in carrozzina quando mi sono trasferita a Padova per studiare Scienze Politiche», racconta a StartupItalia. «Qui ho conosciuto dei ragazzi che stavano creando una squadra di basket in carrozzina, il CUS Padova. Mi hanno chiesto se volessi fare parte della loro squadra. All’inizio ho detto ovviamente no, ma sono stati bravi a coinvolgermi. Mi hanno trascinato in palestra per farmi provare».
“Giocare solo con gli uomini? Un valore aggiunto”
Un approccio al basket in carrozzina piuttosto traumatico, racconta Coltri, che l’ha portata a vivere sulla propria pelle uno sport faticoso, di contatto, in cui ragazzi e ragazze giocano insieme. Una disciplina, quella del basket in carrozzina, che nel campionato italiano è giocata da squadre principalmente maschili e che Chiara Coltri ha vissuto principalmente con compagni di squadra uomini. «Giocare solo con gli uomini? Un valore aggiunto. E’ impegnativo, perché strutturalmente e fisicamente uomini e donne sono diversi, ma a me è servito per alzare l’asticella. Insomma, dove non arrivo fisicamente, ci arrivo con la strategia di gioco».
Dopo qualche mese dall’inizio della sua storia, arriva anche una convocazione dalla Nazionale. «Ho iniziato a prendere lo sport sul serio, perché con quella maglia hai una grande responsabilità addosso». Quando le chiediamo come sia vivere il ruolo da capitana della Nazionale, Coltri ribadisce che «è un ruolo di responsabilità: oltre a dover rappresentare l’Italia, sono la rappresentante delle mie compagne. L’obiettivo è far rimanere unito il gruppo, formato da dodici teste diverse, con età, esperienze e caratteri completamente diversi. La leadership? È fondamentale: o ce l’hai o non ce l’hai». Il ricordo più bello della capitana? Gli europei del 2013: nessuna vittoria, solo tanta condivisione e gioco di squadra con le sue compagne.
Uno sport oltre ogni disabilità
Sentirsi parte di una squadra, condividere vittorie e sconfitte e imparare a giocare secondo le regole. Dopo 5 campionati europei, Chiara Coltri continua a raccontare la bellezza di vivere uno sport in sintonia con gli altri anche nelle scuole, ai ragazzi, come Ambasciatrice paralimpica. «Lo sport ti aiuta nella vita, in tutti gli ambiti, dal lavoro alle amicizie. All’inizio c’è pigrizia e spavento, perché pensiamo di non potercela fare. Ma è proprio per ciò che ha fatto per me che cerco di far capire quanto questo sport possa fare bene al corpo e alla mente». È un gioco che punta ad invogliare ragazzi, ma soprattutto ragazze, per poter iniziare a vivere la disabilità come punto di partenza e portare sempre più donne all’interno del mondo del basket in carrozzina.
«Il grosso problema del basket in carrozzina al femminile è che non ci sono ragazze a praticare lo sport. Siamo sempre alla ricerca di donne. Fermo letteralmente persone per strada per coinvolgere quante più persone possibili. Perché alla fine basta vedere una partita e ti dimentichi della disabilità: è uno sport coinvolgente». Per il futuro, l’atleta non ha richieste particolari: «Ho imparato a vivere alla giornata. Sono felice e realizzata. Il mio sport? Il più bello del mondo».