Perché la medicina non si lascia capire, la finanza si esprime solo con tecnicismi e la Pubblica Amministrazione costruisce complessi ingranaggi linguistici autolesionisti? A chi tocca cominciare a parlare chiaro? Ed esiste un diritto dei cittadini alla semplificazione linguistica? Ma poi, a voler partire da sé, da dove si comincia per fabbricare le parole più chiare e più accessibili possibili? A domande come queste prova a rispondere DiParola, un festival on line sulle parole chiare – su www.diparolafest.it il 21 e 22 settembre – che punta a far prendere consapevolezza proprio del fatto che parlare chiaro è urgente, è giusto e conviene. «Nei social si discute molto, e giustamente, di declinazioni delle professioni al femminile, di asterischi, si argomenta a lungo di inclusione da costruire anche grazie al linguaggio, ma si dimentica di dire che parlare chiaro e semplice è una precondizione dell’inclusività stessa. Purtroppo, si tende a dare per scontato che il linguaggio inclusivo sia per natura anche semplice e accessibile, e dunque non si presta adeguata attenzione a questo aspetto e al costruirlo. Con il nostro evento, il primo in Italia dedicato alla comunicazione chiara e alla semplificazione del linguaggio, vogliamo fare maturare una nuova consapevolezza», dice Valentina Di Michele, Content Experience Manager e Ceo di Officina Microtesti, che organizza il festival.
Parla chiaro e lascia vivere!
«L’idea ha preso forma lo scorso anno, mentre con gli altri due autori – Andrea Fiacchi e Alice Orrù – lavoravamo al nostro libro Scrivi e lascia vivere, manuale pratico di scrittura inclusiva e accessibile. Nel cercare materiale per il saggio, ci accorgevamo che negli altri Paesi si tenevano molti eventi su questa materia, in Italia nessuno. Per cui, abbiamo deciso di cominciare noi. E infatti, stiamo riscontrando un forte interesse, provato dalle quattromila persone che si sono già iscritte agli incontri. Si tratta di professionisti nel campo della medicina, della pubblica amministrazione, della tecnologia o della finanza, di coach, psicologi e persone che operano nelle Risorse umane: tutti sono interessati a scoprire l’impatto di un linguaggio chiaro sul proprio terreno professionale. Ma la mia sensazione è che molte delle persone iscritte non interverranno per lavoro, ma perché l’argomento del parlare con chiarezza ha risuonato nella loro esperienza di cittadini».
Del resto, comprendere i costi inclusi in una bolletta, le parole di un referto medico, le clausole di un contratto assicurativo, capire cosa dice una legge, ma anche potersi muoversi agilmente su una piattaforma di e-commerce sono alcuni dei diritti che, spiegano gli organizzatori, ci vengono spesso negati. «Noi vogliamo ribadire che chiarezza e semplificazione nel linguaggio sono diritti che ci spettano: rappresentano, dunque, un tema di cittadinanza, un esercizio di democrazia. Insegnando in università, sono a stretto contatto con i ragazzi e le ragazze della Generazione Zeta, che hanno spinto in maniera importante la conversazione sul linguaggio, proponendo temi che pochi anni fa non sarebbero stati neanche considerati. I social stessi hanno favorito la maturazione delle discussioni sulle parole inclusive. Insomma, non è vero che oggi “non si può più dire nulla”: piuttosto, è vero che oggi c’è una legittima attenzione sul linguaggio che ieri non c’era»
Tutto in ordine: chi scrive semplice vince
Tecnologia, Diritto e Pubblica Amministrazione, Medicina, Lavoro, Finanza, Energia sono le principali aree che verranno approfondite nell’evento. «Tra tutti gli interventi in calendario nella due giorni, mi piace ricordare Trent’anni dal Codice di stile di Cassese. Il futuro ci porterà novità?, di Michele Cortelazzo, sull’uso dell’intelligenza artificiale per semplificare il linguaggio amministrativo; Il bias della banalizzazione, in cui Andrea Fiacchi spiegherà perché molte persone considerano la semplificazione una banalizzazione o una perdita di complessità. L’importanza delle parole nel rapporto medico-paziente del medico e divulgatore Michele Cassetta, sul ruolo delle parole per creare fiducia, entrare nel mondo del paziente, spiegare la natura dei trattamenti e motivarlo nel percorso terapeutico. E poi l’intervento di Lucia Carrada Tutto in ordine!, che parla di come un testo chiaro sia prima di tutto un testo ordinato, che sceglie e mette in fila le informazioni dal punto di vista di chi dovrà leggerle e usarle», conclude Di Michele, che durante il festival DiParola terrà lo speech Tecnologia per tutte le persone: «Anche le aziende che offrono beni e servizi digitali alle persone devono rendersi veramente inclusive a partire dalle parole: del resto, gli studi ci dicono che chi si rivolge ai consumatori delle piattaforme e-commerce con un linguaggio semplice e immediatamente comprensibile vende di più e meglio, creando anche più affezione. Il caso di Amazon è lì a indicarcelo», commenta.
Chi ha paura del bias della banalizzazione?
«Non dobbiamo nascondere che in molti casi opacità delle parole e costruzioni involute sono intenzionali, ovvero congegnate appositamente perché non facciano chiarezza. Ciascuno di noi ha una estesa, personalissima esperienza di clausole contrattuali che definire oscure è poco. Nel nostro Paese, a questa fastidiosa attitudine alla complicazione», continua Valentina Di Michele, «si aggiunge il peso che ancora scontiamo della genesi stessa della lingua che parliamo: nella sua ambizione di superare la parcellizzazione linguistica dei dialetti, l’Italiano si è fatto forzatamente “alto” anche per superarne l’afflato popolare dei dialetti stessi. Il risultato è che resiste un’idea secondo la quale parla bene chi, per paradosso, parla in maniera complessa. Noi abbiamo ben chiaro che ci sono temi complessi che richiedono profonde articolazioni linguistiche, ma non ciò non vuol dire che non possano essere semplificate: c’è una sorta di bias, profondamente interiorizzato, che associa la semplificazione dei concetti alla loro banalizzazione. Gli incontri di DiParola contrasteranno anche questo luogo comune».