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Dopo la (quasi vittoria) di Hilary Clinton e Donald Trump al Super-Tuesday gli economisti iniziano a interrogarsi su quali saranno le politiche in materia finanziaria che adotteranno una volta che dopo le elezioni uno dei 2 metterà piede alla Casa Bianca. Saranno favorevoli o meno a Wall Street? E le startup fintech che posto occuperanno nei loro programmi? Su di loro pesa ancora l’ombra terribile della crisi finanziaria del 2007.

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Trump, Hillary e i padroni Wall Street

Entrambi nei loro comizi tuonano contro Wall Street. “Hilary difenderà le riforme messe in atto dopo la crisi finanziaria e andrà oltre. Lei vede grandi rischi nel settore finanziario e condannerà i privati e le aziende che commettono frodi” si legge nel suo programma elettorale. La riforma di cui parla è la celebre Dood-Frank che quando fu approvata, nel 2010, scatenò le furie di Wall Street, soprattutto nell’idea di dividere le banche d’affari dalle banche di deposito. Impendendo cioè che i gig della finanza usassero i soldi dei risparmiatori per operazioni ad alto rischio. Da lì si è poi scatenata una battaglia parlamentare che ha di fatto svuotato il testo. Per chi vuole approfondire ecco un’analisi acuta dei risultati della riforma su International Business Times.

Anche Trump ha tuonato duramente contro i fondi speculativi che “mietono vittime e la fanno sempre franca” come ha dichiarato. Ma la sua posizione è un po’ meno credibile visto che le sue aziende hanno usufruito spesso e volentieri di quei fondi che lui  criminalizza: «Mi hanno divertito molto le dichiarazioni di Trump. Lui è sempre stato a suo agio con banche e Wall Street” dichiara a CNBC il banchiere di un gruppo che ha finanziato le aziende di Trump con milioni di dollari. Vedere per credere (date un’occhiata qui).

Come spiegare agli americani che non si fa politica sulla crisi?

Il termine “accountability” in inglese è un misto di responsabilità e trasparenza, una parola che ricorre spesso in questa campagna elettorale proprio a proposito di Wall Street. I politici chiedono maggiore responsabilità, ma come fa notare bene il Financial Times: «Le banche canadesi non hanno rischiato il collasso durante la crisi finanziaria globale. La differenza è che i politici canadesi non hanno incoraggiato i loro elettori a fare prestiti per comprare case». Cosa che invece non si può dire di quelli americani che hanno usato la tematica  per raccattare voti (e sappiamo che proprio l’indebitamento delle famiglie è tra le cause della bolla immobiliare che ha scatenato la crisi).

Il senso dell’articolo del FT è che è inutile fare riforme, se si permette ai politici di incoraggiare gli elettori a farsi del male.

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Se Wall Street è la strega cattiva, il fintech è la strega buona

Da queste premesse nascono alcune considerazioni. La politica ormai non è credibile ed è impreparata: «Non hanno nessuna idea di cosa sia la blockchain, che è una tecnologia e non un bug» scrive sempre FT. Mentre Wall Street appare sempre di più agli occhi dell’opinione pubblica americana come la Malvagia Strega dell’Ovest (la ricordate era l’antagonista terribile di Dorothy nel Meraviglioso Mondo di Oz?) che fa magie nere e imbroglia la gente. Qual è la speranza allora? Le startup del fintech potrebbero contribuire a ripulire l”immagine Wall Street, a essere, insomma, l’altra faccia della medaglia, tramutandosi nella buona Strega dell’Ovest che rompe i monopoli e crea prodotti che offrono valore alla gente. Wall Street lo ha capito da tempo.

La tecnologia non è nulla senza fiducia

Anche se la tecnologia da sola non può bastare se non si recuperano i rapporti di fiducia, su cui hanno storicamente puntato le banche per avere credito presso i clienti: «Il mondo bancario è un’arte antica e la fiducia che si instaura non si fonda sull’uso di una particolare tecnologia (come telefoni, computer o altro). JP Morgan, in un modo o nell’altro, è sopravvissuta a dozzine di crolli, non perché la tecnologia che usa è migliore di quella degli altri. Ma perché ha costruito negli anni una cultura della fiducia. I processi di automazione possono dare un supporto a queste abilità, ma non soppiantarle».

Giancarlo Donadio
@giancarlodonad1