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“Chiedere una blockchain senza bitcoin è come chiedere ‘online’ senza internet”. La frase, pronunciata lo scorso dicembre, è di Marc Andreessen, il padre di Mosaic. È stata la traccia di un post scritto da Siddharth Kalla, cto di Acupay, che ha riproposto il dibattito sulla possibilità di una blockchain privata. Diciamolo subito: la risposta di Kalla è “no”. La blockchain, per seguire Andreessen, è come internet: sarà rivoluzionaria solo se libera (e basata sui bitcoin). Ma non tutti la pensano così.

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Scenario 1: blockchain pubblica

Il paragone con internet racconta le potenzialità di questa tecnologia. Scrive Kalla: “Se c’è una cosa che il web ci ha insegnato è che le tecnologie innovative sono spesso costruite da protocolli aperti, grazie ai quali tutti possono contribuire senza badare a grandezza e influenza”. Kalla cita degli esempi, positivi e negativi. Ai primi appartiene Google, diventato gigante non per aver tentato di controllare il web ma per avergli dato un ordine. Tra i secondi c’è invece Aol, uno degli attori che, verso la metà degli anni novanta, provò la strada di una rete “privata”. Fallendo. Secondo Kalla, succederà la stessa cosa a quelle banche e a quei consorzi che si sono avvicinate alla blockchain per farne una tecnologia privata.

Le potenzialità della blockchain per le banche (e non solo) sono ancora da esplorare. Ma sono chiare: consentirebbero, tra le altre cose, di inviare informazioni in modo rapido, sicuro e poco costoso. Allo stesso tempo, sono solari alcuni problemi della blockchain utilizzata per i bitcoin, a partire dal limite dei blocchi da 1MB, che ne condiziona la scalabilità.

La blockchain pubblica ha dei difetti? Sì. Non significa però cantarne la morte. Quello che Kalla vorrebbe è “concentrare gli sfori per superare i limiti”. Già all’interno della community c’è un ampio dibattito. E gli inviti ad estendere il limite dei blocchi non mancano. Ma Kalla guarda oltre la community per rivolgersi ai grandi gruppi privati. E non per un piacere personale, ma perché solo così le banche potranno sfruttare appieno le potenzialità della blockchain. Questo non significa cassare le iniziative private. Ma ridimensionare la loro portata. Potrebbero essere delle utili intranet, ma non saranno mai il web.

Scenario 2: blockchain privata

Non è dello stesso avviso Vitalik Buterin, ideatore di Ethereum, piattaforma che ambisce ad andare oltre i bitcoin per creare una blockchain più versatile. Buterin sottolinea che la tecnologia privata potrebbe essere più veloce e meno costosa (perché coinvolgerebbe meno nodi). E, in caso di errori, consentirebbe interventi più rapidi. Immaginare una gestione centralizzata non sarebbe quindi una bestemmia. È vero, ci sarebbe una libertà d’accesso inferiore. Ma, per certi aspetti, sarebbe un vantaggio. Così come la possibilità, se necessario, “di cambiare le regole”. Per Buterin sarebbe un vantaggio.

Insomma: correggere una delle caratteristiche alla base della blockchain (la decentralizzazione) sarebbe “in alcuni casi una funzionalità necessaria”. Se la domanda è: “Perché uno sviluppatore dovrebbe cedere potere” a un’entità privata, Buterin risponde che le censure da parte dei governi potrebbero essere ancora peggiori. Mentre i privati assicurerebbero un sviluppo più rapido e protetto, anche se all’interno di un quadro diretto da un monarca (illuminato?).

Chi vince? Forse nessuno

Dietro questo dibattito no c’è solo un’idea differente di blockchain ma anche una differente visione del mondo (politica ed economia). In fondo gli elementi alla base della discussione (la velocità delle transazioni, la scalabilità, la profittabilità della blockchain per le banche) non sono opinioni ma realtà. Lo scontro si crea a valle. Perché la selezione all’ingresso e il controllo centralizzato, individuati da Buterin come plus, per altri equivarrebbero alla morte della blockchain.

Così gli stessi elementi di base portano a conclusioni molto diverse. Per Kalla, con l’aiuto delle banche “la blockchain pubblica diverrebbe più robusta e scalabile per un uso globale. Non succederà dal giorno alla notte, ma la storia suggerisce che le tecnologie aperte vincono sempre contro un approccio che guarda solo al proprio giardino”.

Buterin sostiene invece che “in alcuni casi pubblico è meglio; in altri alcuni gradi di privatizzazione sono necessari”. Vincerà il modello duro e puro (rivisto e corretto) o un ibrido che rinuncia ad alcuni principi in nome della funzionalità?

Paolo Fiore
@paolofiore

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Le banche, certo. Ma non solo: la blockchain è una tecnologia capace di un impatto rivoluzionario su diversi settori. Dalla finanza alla sanità, dall’automotive ai media. Fino alla pubblica amministrazione. Per capire perché, va fatta un’operazione chirurgica: recidere il cordone che lega la blockchain ai bitcoin. Quella destinata alla monete virtuale è infatti solo una una delle sue possibili applicazioni. Perché, allargando lo sguardo, la blockchain è priva di una gestione centralizzata, che accorcia la catena degli intermediari, consente l’invio di dati in modo rapido, sicuro, a costi ridotti e registra in modo indelebile tutte le tracce precedenti. Continua a leggere…»