Ovviamente non quella tradizionale ma potenziata dalla coltura di materie prime e molecole di base in laboratorio. La startup californiana Perfect Day lancerà la bevanda entro l’anno
Latte di mucca senza mucca? “Si può fare!” avrebbe tuonato qualcuno. Con la fermentazione. O meglio, con un processo che secondo molti ricorda quello della birra. Lo si deve alla startup californiana Perfect Day guidata dagli scienziati Ryan Pandya e Perumal Gandh che, una volta ottenuto un ceppo di lievito “ranuncolo” dal dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, ha stampato con una biostampante 3D alcune sequenze di Dna della specie bovina inserendole in specifiche sezioni del lievito in questione, lasciando poi fermentare il tutto grazie all’aggiunta di zucchero di mais.
Il latte dal Dna artificiale
Il lievito, così istruito dal Dna artificiale, ha prodotto caseina, lattoglobulina e lattoalbumina, perfezionate in seguito dall’aggiunta appunto di grassi vegetali e altri nutrienti per ottenere un latte senza lattosio ma di fatto neanche di origine vegetale. Una via di mezzo bella e buona (a quanto dicono) per produrre in modo sostenibile sia sotto il profilo animale che vegetale: 98% in meno di acqua, 91% in meno di terra, 84% in meno di emissioni di gas serra e 65% in meno di energia rispetto alla tipica filiera lattiero-casearia. Oltre che per continuare a sfornare yogurt e formaggi della stessa qualità e consistenza di quelli vaccini, visto che la composizione chimica degli elementi di base è la medesima.
La rivoluzione delle materie prime
Non solo il latte. Secondo Fortune questo tipo di fermentazione sarebbe il nuovo trend del comparto food tech statunitense. “Le aziende vogliono essere più naturali ma hanno ovviamente molte difficoltà – ha spiegato Neil Goldsmith, Ceo e cofondatore di Evolva, una compagnia che fornisce lieviti per la fermentazione e gestisce le procedure – la fermentazione offre una strada per produrre ingredienti di base senza essere vincolati alla catena dei fornitori e all’approvvigionamento”.
La fermentazione è anche alla base di una vecchia conoscenza del food tech come la Impossible Foods: l’eme, la molecola di base per la realizzazione delle cosiddette pseudocarni “che sappiano di carne”, è infatti prodotta in questo modo. Questo gruppo azotato e ricco di ferro si potrebbe estrarre dalle radici delle piante ma l’azienda di Redwood City ha scelto di farsela in casa: un modo per risparmiare sui costi ed essere ancora più rispettosi dell’ambiente. I suoi esperti trasferiscono i geni dei fagioli di soia nel lievito, lo fanno fermentare e poi isolano l’eme.
Le altre sperimentazioni
Stessa strategia della Natur Research Ingredients che ha sviluppato un prodotto battezzato Cweet e realizzato a partire dalla brazzeina, una proteina duemila volte più dolce dello zucchero che si trova nel frutto dell’oubli, la pentadiplandra brazzeana, una pianta dell’Africa occidentale. Bene, evidentemente anche in questo caso ottenerne maggiori quantità tramite fermentazione è un affare: “Sarà una delle possibili tecnologie in grado di nutrire il pianeta” ha spiegato il Ceo Loren Miles. Oppure di Cargill, che vuole produrre una stevia più dolce tramite la fermentazione col suo EverSweet.
Rimane evidentemente da capire l’accoglienza di questo genere di prodotti sul mercato – il latte della startup, che ha raccolto 4 milioni di dollari, arriverà entro l’anno. Non è un caso, comunque, che le società tendano ad appaiare queste procedure di fermentazione a quelle della birra o del pane: la narrazione vuole rendere queste tecniche di laboratorio più vicine possibili a quelle utilizzate da decenni per la produzione industriale.