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Il crowdfunding è stato amore a prima vista, «una grandissima “cotta”, subito dopo gli studi». Classe 1989, milanese, bocconiana, un master in creazione di impresa in Olanda e un incarico di marketing manager per l’European Crowdfunding Network, l’associazione delle piattaforme europee del settore. Irene Tordera ha scelto da qualche mese di andare a lavorare come freelance da Londra, ma periodicamente rientrerà a Milano per organizzare un meetup del fintech, Fintech-up. Oggi il primo, ospitato dalla sede milanese del prestigioso studio legale Osborne Clarke, al civico 9 di Corso di Porta Vittoria.

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Irene, com’è il fintech italiano visto da Londra?
Vorrei specificare che io non mi reputo assolutamente un’esperta di fintech. Mi interesso, ne capisco, ma ho voglia di conoscere di più. Non sono in grado di dare un giudizio puntuale. Mi pare un settore molto più piccolo rispetto quello londinese. Ci sono molte idee, e Milano una delle città europee che attira startup nel settore fintech. Questo potrebbe essere molto interessante in ottica dopo brexit.

E il crowdfunding italiano, invece?
«In Italia purtroppo fa molta fatica a decollare, all’estero funziona meglio in certe realtà»

Facciamo un passo indietro. Quand’è che Irene scopre il fintech?
«Mi occupo di crowdfunding da tre anni ormai, a inizio 2015 ho iniziato a sentir parlare di fintech. Ai tempi scrivevo per il blog di Crowd Valley. Ques’anno ho avuto la possibilità di spostarmi a Londra, dove continuo a lavorare come freelance nel settore del crowdfunding, e dove mi sono promessa di andare a un evento di networking ogni settimana, con startup che in svariati modi cercano di innovare e migliorare la finanza a livello istituzionale ed individuale. Frequentandoli ho detto, “caspita, a Milano o meglio in Italia non c’è una cultura networking come c’è in Europa”. Io sono milanese e quindi ho pensato sarebbe stato bello dare l’opportunità agli operatori del settore di incontrarsi regolarmente, scambiarsi idee, opinioni, conoscersi meglio, per fare rete costruire un ecosistema favorevole ed un settore solido».

E da qui hai deciso di fare il primo Fintech-up…
«Per lavoro già organizzo meetup, eventi. Ho visto che c’era un buco, che mancava questa cosa. Trovo che gli eventi siano molto utili. Due ore dopo lavoro dove vai, bevi qualcosa e conosci colleghi e operatori del settore. Credo siano eventi che portano valore aggiunto agli operatori stessi. Anche esplorando argomenti che non sono accessibili a tutti, ma che sono a beneficio di chi sta nel settore».

E che obiettivo ti sei data?
«Riuscire a creare un ecosistema più concreto, più “umano” del settore fintech. Per ora a Milano ma magari presto anche in altre città italiane.

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Come si sostiene l’evento?
L’evento è gratuito. Chi partecipa non paga. La mia idea, dal secondo-terzo evento è mettere una piccola fee di partecipazione, il costo di un aperitivo, per coprire i costi di organizzazione. Io personalmente non percepisco alcun compenso.

C’è, secondo te, un modo per “educare” velocemente gli italiani al fintech?
«Hai detto bene, educare. In Italia servirebbe partire dalle basi, fare educazione finanziaria a tutti i livelli. E poi…»

E poi?
«E poi insistere sul mobile payment. Siccome in Italia non sono state adottate troppo le carte, bisognerebbe insistere e passare direttamente ai pagamenti mobile, perché tutti abbiamo tutti uno smartphone in tasca….

E’ un dato confortato dai numeri o una tua deduzione?
«Una mia deduzione»

Tornerai da Londra?
«Mi son trasferita 4 mesi fa non ho ancora previsto il ritorno. Vediamo cosa succede con brexit».

Ah ok, quindi diciamo che ancora non sai se il biglietto di ritorno sarà per Milano o Berlino…
«Intanto faccio Fintech-up, così almeno ogni tanto ho la scusa per tornare a Milano».