All’inizio il digitale era blu. Il blu elettrico delle tecnologie che vanno alla velocità della luce. Ed era il blu cielo chiaro delle sue potenzialità. Perché, come si dice in inglese “the sky was the limit”. Non è durato molto. Il digitale sta ingiallendo, sta invecchiando malamente, come una vecchia polaroid.
La post-verità che ingiallisce il digitale
È diventato il giallo delle menti malate che influenzano bambini e di aspiranti terroristi del web. Il colore dei vigliacchi che si nascondono online per commettere ogni sorta di vandalismo. Il colore della “post-verità”, che nega l’evidenza e rigetta il ragionamento, inseguendo titoli accattivanti e click-bait.
L’ingiallimento dei media digitali non è un fenomeno nuovo. Secondo Wikipedia la definizione “stampa gialla” è stata coniata a metà del 1890 per riferirsi al giornalismo sensazionalistico della stampa americana che usava l’inchiostro giallo nella battaglia giornalistca tra il New York World di Joseph Pulitzer e il New York Journal di William Randolph Hearst.
Ma questo ingiallimento non è solo colpa del digitale. Certo, più gente va online, maggiore diventa il rumore di fondo e montano i dissapori e i disaccordi. Ma la verità più profonda è che il digitale è invecchiato male perché abbiamo abbassato la guardia contro il deterioramento e l’inquinamento dell’infosfera, scambiando gli abusi per libertà d’espressione, la profilazione (profiling) per personalizzazione, lo spionaggio per sicurezza, l’apatia per tolleranza, il populismo per democrazia. Abbiamo lasciato crescere l’infosfera in maniera caotica, senza guida e senza un chiaro progetto socio-politico, felici che ci desse esattamente quello che volevamo. E quello che vogliamo ci sta facendo ammalare.
Verità, bufale e pettegolezzi
Siamo sempre stati intolleranti verso punti di vista differenti. Nel Novum Organum, pubblicato nel 1620, Francis Bacon analizza quattro tipi di idoli o false nozioni che “adesso si sono impossessati dell’umana capacità di comprensione e hanno messo in essa radici profonde […]”.
Uno dei tipi, gli “idoli della caverna”, si riferisce ai pregiudizi concettuali e alla suscettibilità a influenze esterne: “Per tutti […] esiste una caverna o una tana che rifrange e scolora la luce della natura, dovuta alla sua propria e peculiare natura: oppure alla sua educazione e alle sue conversazioni con gli altri: oppure alla lettura di libri e all’autorità di quelli che stima e ammira; o alle differenze percettive, a seconda che si posizionino in una mente vigile e predisposta o in una mente indifferente e fissa; o a qualcosa di simile”.
Allo stesso modo, questa fame di pettegolezzi superficiali, di bugie piacevoli e falsità rassicuranti, è stata sempre pantagruelica. La differenza è che oggi, per la prima volta nella storia umana, il digitale la soddisfa con scorte senza fondo di spazzatura semantica, trasformando le caverne di Bacon e Platone in stanze riverberanti.
Tutti i problemi etici del digitale
Il risultato è davanti a noi. I problemi etici legati al digitale rappresentano una delle principali sfide che caratterizzano il nostro secolo. Questi problemi includono violazioni della privacy, della difesa e della sicurezza, della proprietà e dei diritti di proprietà intellettuale, della fiducia, dei diritti umani fondamentali, come pure le possibilità di sfruttamento, discriminazione, ingiustizia, inuguaglianza, manipolazione, propaganda, populismo, razzismo, violenza e linguaggio dell’odio. Nessuno sa esattamente quali siano i costi umani di questi problemi, ma devono essere immensi. Basti pensare alla responsabilità politica delle piattaforme digitali per Trump e la Brexit.
Finora la strategia è stata quella di confrontarsi con l’impatto etico delle tecnologie digitali a fatti avvenuti,, in maniera retrospettiva, solo quando si verifica qualche “ingiallimento”. Per esempio, Facebook e Twitter si stanno impegnando contro la disinformazione online, ma solo adesso che le elezioni presidenziali americane sono finite. Questo non è più sufficiente.
Una nuova etica per “pulire” l’infosfera
“Fail often, fail fast” è una strategia scadente, che somiglia al “troppo poco, troppo tardi”, con costi troppo alti, nel lungo termine, in senso globale, e in termini di danno prevenibile o mitigabile, di di spreco di risorse, di opportunità mancate, di assenza di partecipazione, di cautela eccessiva e di bassa resilienza. L’assenza di un’etica proattiva, preannuncia un blocco della decisione, mina nel profondo le pratiche di gestione e danneggia le strategie dell’innovazione digitale.
Inoltre, la globalizzazione e la quasi istantanea disseminazione delle innovazioni digitali comportano che alcuni dei costi siano difficilmente reversibili, soprattutto quando confidenza e fiducia vengono indebolite. Oggi, noi possiamo e dobbiamo fare di meglio. Dobbiamo rimuovere tutte quelle macchie gialle che deturpano l’infosfera e garantire che il digitale sia quella forza straordinaria che può essere per il benessere individuale e sociale. Abbiamo bisogno di un’infosfera etica per salvare il mondo e noi stessi da noi stessi.
Risanare l’infosfera e farla rifiorire è un gigantesco sforzo ecologico. Dobbiamo ricostruire la fiducia attraverso la credibilità, la trasparenza, e la responsabilità. E dobbiamo radicare le nostre società digitali sulle fondamenta della solidarietà e della condivisione dei benefici. Tutto questo richiede grandi risorse e un tributo di pazienza, coordinamento e determinazione molto alto. Ma può essere fatto. Ci sono già dei segnali forti e incoraggianti.
Eppur (qualcosa) si muove…
Nell’aprile 2016, Il Governo Bitannico ha accettato la raccomandazione della Commissione per la Scienza e la Tecnologia della Camera dei Comuni che “il Governo stabilisca un Consiglio per l’Etica dei Dati”. Nel settembre 2016, Amazon, DeepMind, Facebook, Gooogle, IBM, e Microsoft hanno stabilito una nuovo Accordo sull’Intelligenza Artificiale per beneficiare le persone e la società (la Partnership on AI to Benefit People and Society). E nel maggio del 2018, la nuova Direttiva europea sulla protezione dei dati personali entrerà in vigore (General Data Protection Regulation).
Sembra che ci stiamo muovendo nella giusta direzione. Chiaramente ci serve un luogo di confronto aperto e indipendente per portare gli stakeholder tutti insieme a partecipare al dialogo, alle decisioni, e all’implementazione di soluzioni ai problemi etici comuni causati dalla rivoluzione dell’informazione. Dobbiamo modellare e guidare il futuro del digitale e smettere di rincorrerlo. È tempo di lavorare a una nuova architettura per un migliore modello di infosfera.
Luciano Floridi
Read the english version: Fake news, authenticity, and why we need a new digital ethics