Il processo di estrazione dell’olio extravergine su scala industriale non avviene più con la macina in pietra che pressa le olive. Dal 1970 sono in uso macchinari che, attraverso un sistema continuo, effettuano la separazione centrifuga dell’olio, sostituendo l’antica estrazione a pressione, caratterizzata da un alto impiego di manodopera e scarsi standard igienici. Riccardo Amirante, del Politecnico di Bari, e Maria Lisa Clodoveo dell’Università di Bari, specializzata in tecnologia alimentare, hanno guidato un progetto di ricerca, chiamato Perform Tech, per ottimizzare il processo di estrazione dell’olio extravergine in termini quantitativi e qualitativi ovvero ottenendo una resa superiore delle olive e un prodotto con caratteristiche nutrizionali elevate. Hanno così individuato gli ultrasuoni come tecnologia in grado di raggiungere questi risultati, che si è tradotta in un dispositivo di semplice ed economica installazione sui macchinari esistenti. I costi di impianto sono ammortizzati già durante il primo anno di attività, grazie al maggior quantitativo di olio prodotto e che ha un valore commerciale superiore. Abbiamo intervistato Riccardo Amirante per capire come intervengono gli ultrasuoni nel processo di estrazione dell’olio e a che punto è il progetto Perform Tech.
Come fanno gli ultrasuoni a incrementare la quantità dell’olio e le sue proprietà nutrizionali?
«Gli ultrasuoni sono una tecnologia in grado di produrre allo stesso tempo due effetti: meccanico e termico, che riguarda la coalescenza ovvero l’aggregazione delle goccioline d’olio prodotte, nel processo di estrazione, ad una temperatura compresa tra i 27 e 30 gradi. Le onde sonore entrano in azione prima della gramolazione (trattamento termico a bassa temperatura delle olive per generare l’effetto coalescenza). Creano oscillazioni di pressione nelle bolle di vapore della pasta di olive che, scoppiando, lacerano quelle cellule rimaste integre durante la frangitura meccanica. Questo processo da un lato favorisce l’aumento della resa, pari a circa 1 chilo in più di olio per 100 chili di olive, dall’altro incrementa la presenza di polifenoli antiossidanti grazie al blando effetto termico e ossidativo degli ultrasuoni. Vantaggi del genere possono, a loro volta, incentivare modelli produttivi ispirati all’economia circolare, per esempio utilizzando la denocciolatrice, ad oggi poco diffusa per le perdite di resa e che invece sarebbe garantita dagli ultrasuoni. L’eliminazione del nocciolo prima della trasformazione incrementa la capacità lavorativa degli impianti, migliora l’efficienza energetica e mette a disposizione un ingrediente molto importante per l’industria farmaceutica e cosmetica».
Sono state valutate altre tecnologie prima di arrivare agli ultrasuoni?
«Il gruppo di ricerca ha messo a confronto le microonde con gli ultrasuoni, realizzando test preliminari che aiutassero a capire le rispettive prestazioni in termini di efficacia ed efficienza, rapportandole con gli impianti in scala reale da trasferire nei moderni frantoi. Dal punto di vista dell’efficacia, ovvero della capacità di aumentare la resa di estrazione, mantenendo intatte o migliorando la qualità del prodotto, le due tecnologie hanno dato risultati differenti ma positivi: se le microonde, a parità di resa, riducono la fase di gramolazione, gli ultrasuoni aumentano la resa in tempi relativamente brevi. La vera differenza, nell’analisi delle due tecnologie, l’ha fatta l’efficienza: le microonde, al contrario degli ultrasuoni, sono energivore e comportano costi elevati nell’adeguamento industriale».
Come siete arrivati alla versione attuale del dispositivo?
«Le prime riflessioni sono state fatte in laboratorio, nel 2012, osservando gli effetti degli ultrasuoni in vaschette contenenti dell’acqua. Nel 2013 il primo prototipo di dispositivo è uscito dal laboratorio per una prima sperimentazione in Toscana, l’anno successivo una nuova versione è arrivata in Molise. Nel 2015 abbiamo ottenuto un finanziamento dalla Regione Puglia che ci ha permesso di raggiungere, nel 2016, una terza versione che consideriamo quella definitiva. Attualmente stiamo stringendo degli accordi commerciali con alcuni produttori e valutando la strategia migliore per entrare sul mercato».
Il mercato a cui guardate è b2b ma avete mai pensato di vendere delle bottiglie d’olio con il vostro marchio?
«Le uniche bottiglie con la nostra etichetta e il nostro logo Perform Tech sono quelle che distribuiamo all’università, in occasione di eventi e di convegni con ospiti del rettore, e che contengono l’olio derivante dai test che facciamo. É un’operazione di marketing che ci aiuta a trasmettere la tangibilità di un’invenzione riguardante uno dei prodotti immancabili sulle tavole degli italiani».