Tinder è una delle dating app più usate. Ma l’uso che fa dei nostri dati non è chiaro. Lo ha detto il Garante Europeo della Privacy
Se per San Valentino non avete ancora trovato un partner, è possibile che qualcuno di voi o dei vostri amici tenti il tutto per tutto ricorrendo ad un’app di dating online pur di non passare il 14 sera in solitudine (che poi non ci sarebbe nulla di male).
Tre persone su dieci usano una di queste applicazioni, specialmente il giovedì. A dirlo non è una rivista patinata ma il Garante Europeo della Privacy, Giovanni Buttarelli, che ha aperto un panel molto insolito ieri al Parlamento Europeo, “Love at first swipe”.
Ma ad essere analizzate non sono le abitudini di chi usa queste app, bensì l’uso che viene fatto con i dati che forniamo quando le usiamo. L’assunto di queste app è che più precisi sono i dati che posseggono su di noi, più facile sarà farci trovare l’amore. Ma, come si dice, il diavolo si nasconde nei dettagli. Bene, quei dettagli sono nascosti nelle famigerate privacy policy, pagine e pagine che accettiamo senza avere la minima idea di cosa ci sia scritto dentro.
Tinder o non Tinder, questo il dilemma
“Prendiamo Tinder ad esempio, c’è scritto che praticamente possono fare quello che vogliono con i tuoi dati, anche quelli collegati al tuo account Facebook. E anche se cancelli l’app, i tuoi dati resteranno lì e potranno continuare ad usarli, sia loro che i servizi a cui li cedono. Il problema è che non è data alcuna indicazione di quali siano questi servizi” ha spiegato Maryant Fernandez Perez, Senior Policy Advisor di EDRi, European Digital Rights, ong che tutela i diritti fondamentali online.
Alcuni di questi dati possono essere usati da aziende di prodotti di largo consumo. “Sappiamo che un noto brand di rasoi fa pubblicità mirata sugli utenti di Tinder che hanno la barba” dice Jerome Groetenbriel, co-founder di PersonalData.io, startup che aiuta gli utenti a recuperare i propri dati.
Già perchè, nel fortunato caso ci rendessimo conto di questo vero e proprio abuso, non è così facile ottenere questi dati. È quanto successo a Judith Duportail, giornalista del The Guardian. In diverse occasioni ha provato a chiedere i suoi dati a Tinder, prima da sola, poi coinvolgendo il team di PersonalData.io e infine un avvocato, ma solo quando si è identificata come giornalista del The Guardian, dicendo che in caso contrario ne avrebbe fatto una storia, ha ottenuto quello che chiedeva. Ben 800 pagine di informazioni, ottenute dopo 7 mesi dalla prima richiesta. Ma non c’è da stupirsi, visto che queste app basano il loro fatturato sulla mole di dati che possegono.
Qualche speranza in più col GDPR
Ad oggi è molto complicato ottenere i propri dati, soprattutto se non si conoscono le società a cui sono venduti, e se sono stati venduti, visto che i contratti dicono che “potrebbero” cedere i nostri dati a terze parti.
Per fortuna il 25 maggio entrerà in vigore il GDPR, che obbliga le aziende a rendere note le terze parti a cui si cedono i dati, a specificare come questi dati sono utilizzati e per quali scopi. Tra le altre cose, ma non meno importante, si potrà chiedere la cancellazione di tutti i nostri dati, in un tempo congruo.
Come potrebbero essere usati i nostri dati
“Alcune società usano l’intelligenza artificiale per individuare soggetti gay, basandosi sul riconoscimento facciale delle facce prese dalle foto caricate. Questo potrebbe avere serie ripercussioni in Paesi dove l’omosessualità è considerata un crimine. Oppure potrebbero creare dei fake porn usando le vostre foto, molto facile visto che ne bastano una ventina.” ha detto Groetenbriel.
Tra gli scopi non dichiarati da Tinder, un po’ come succedeva in Black Mirror, c’è quello di profilare l’utente per creare un “indice di desiderabilità”. In base a quello vengono presentate un certo tipo di possibili match.
Tinder vuole fare soldi, sono i primi a dirlo
E se si vuole cambiare “classe di appartenenza”? Basta pagare, perché alla fine lo scopo di Tinder è quello di fare soldi, come ricorda Marijn Sax, Dottorando all’Institute for Information Law dell’Università di Amsterdam, che ha studiato a fondo l’app.
“Ti spingono a comprare Tinder Plus per essere visto prima degli altri, per saltare la fila. Lo si capisce anche analizzando le proposte di lavoro sul loro sito: gli sviluppatori devono “amare” l’ottimizzazione del processo di vendita. La loro “mission” è di monetizzare dagli utenti di Tinder.” In un’altra descrizione si dice che il lavoro consiste nel “massimizzare la probabilità che l’utente si innamori di….Tinder!”
Tinder, Tinder, perché sei tu Tinder?
In poche parole, se hai fatto 800 swipe senza mai un match, c’è un perché. Se ti sei innamorato di Tinder, non c’è posto per qualcun altro nel tuo cuore.
Secondo Sax, considerare l’amore come un bene qualsiasi, che si può gestire con un contratto, potrebbe costituire una pratica sleale, proprio perché siamo tutti bisognosi d’amore. “Queste app invece, sono più simili a una slot machine, hanno la nostra attenzione, e ci spingono a spendere di più per avere più probabilità di fare match, con un impatto a volte deleterio sul nostro stato d’animo e le nostre relazioni” ha detto Raegan MacDonald di Mozilla.
Tinder non è fatta per farci trovare l’amore. Tinder è fatta per farci innamorare di Tinder.