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Mark Zuckerber sta studiando da filantropo: forse come dice lui non intende candidarsi a ricoprire alcun incarico politico, almeno non per il momento, ma da un po’ di tempo a questa parte ha iniziato a sommare uno strato di impegno sociale al suo normale lavoro di CEO di Facebook. Quel che si è consumato ieri a Chicago è l’ultimo atto di un nuovo capitolo per il social network: per Mark le community nate in seno al suo sito, quelle che si riuniscono all’interno di gruppi pubblici e privati, sono diventate l’autentico fulcro del contributo positivo che il social può avere nella vita di chiunque. Tanto da spingerlo a decidere di cambiare la mission aziendale.

https://www.facebook.com/zuck/posts/10154944663901634

Dare alle persone il potere di costruire comunità

Non più “dare alle persone il potere di condividere e rendere il mondo più aperto e connesso”, ma un più visionario (e lungimirante?) “dare alle persone il potere di costruire comunità e rendere il mondo più unito”: nel corso di un discorso tenuto al primo incontro nazionale degli amministratori di gruppi, il Facebook Community Summit tenutosi appunto a Chicago questa settimana, Zuckerberg ha spiegato lungamente come è giunto alla risoluzione di mutare lo scopo di Facebook. Mark ha voluto aggiungere la propria esperienza personale di admin, impegnato con gruppi di famiglia ma anche con una community di giocatori di Civilization: lui stesso ha potuto rendersi conto del valore che le community hanno nel complesso dell’esperienza utente sui social, e di come questo influenzi la vita di chi quelle community le fonda, o anche semplicemente sceglie di partecipare.

Mark è cresciuto

Si potrebbe quasi dire che Mark Zuckerberg sia diventato un adulto: anche solo affidandosi al suo racconto, egli stesso ha realizzato come inizialmente Facebook servisse a tenere in contatto persone provenienti da un ambiente omogeneo come il dormitorio di Harvard dove lui stesso viveva e studiava, poi tutta l’università, poi tutte le università del Nordamerica e così via. Con l’apertura di Facebook al pubblico di ogni nazione e provenienza è cambiato tutto: su Facebook oggi ci sono letteralmente miliardi di persone che provengono da tutto il mondo, e Facebook si trasforma in un ponte che unisce chi coltiva interessi comuni, chi fa lo stesso lavoro ai due capi opposti della Terra, chi condivide lo stesso problema in nazioni distanti migliaia di chilometri.

zuckerberg Nam Y. Huh AP Images

Secondo i dati snocciolati da Mark, poco meno di 2 miliardi di persone utilizzano già i gruppi di Facebook ogni mese: dalle associazioni femministe alle gilde dei fabbri, tutte queste persone hanno centrato la propria esperienza sui social sul frequentare e contribuire a queste community. Zuckerberg prende atto di questa tendenza, e si spende per migliorare il valore delle community: per esempio mettendo in piedi un sistema di intelligenza artificiale che aiuti i navigatori a scovare le community più in linea coi propri interessi, così come sono fondamentali gli strumenti per amministrare al meglio i gruppi stessi.

I limiti di Facebook

Naturalmente il discorso di Zuckerberg tiene (più o meno consapevolmente) fuori dal ragionamento tutto ciò che riguarda le fake news, le bufale che circolano quasi indisturbate sui social, e il cosiddetto “hate speech”: proprio in queste ore i leader europei riuniti nel Consiglio dei 27 hanno chiesto esplicitamente a tutti i gestori di servizi Internet, Facebook compresa, di provvedere a individuare le soluzioni tecnologiche necessarie a stroncare la propaganda estremista.

È innegabile che questi due fattori giochino un ruolo significativo nel rendere efficace il disegno di Mark: è senz’altro auspicabile che il mondo si riunisca attorno a valori condivisibili e autentici, ma la visione prospettata dal CEO è divergente da quella di chi invece vuole sfruttare il social network per portare avanti campagne razziste o discriminatorie. Zuckerberg pare consapevole della portata del problema, visto che marca una condivisibile differenza tra ciò che significa “free speech” (la libertà di parola) e il già citato “hate speech”: la soluzione del problema, in ogni caso, è tutto tranne che banale.

Il valore dei gruppi per Facebook

L’approccio di Zuckerberg parrebbe piuttosto disinteressato: in una intervista concessa a margine del Facebook Community Summit ha spiegato alla CNN che si è reso conto in prima persona dell’impatto che i social possono avere nella vita delle persone e in generale sulla società. Forse un gruppo Facebook non può cambiare direttamente l’agenda politica, ma una rete di cittadini che si scambiano informazioni può esercitare una pressione significativa sulla classe dirigente.

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Fatte tutte queste premesse, è innegabile che delle community attive e fiorenti siano un vantaggio competitivo non da poco per Facebook: se gli utenti si sentono parte di una community saranno invogliati a passare più tempo collegati, si collegheranno più spesso e arricchiranno il grafo di Facebook di preziose informazioni. Informazioni utili a vendere la pubblicità, la voce più importante del fatturato del social network che ormai sfiora i 10 miliardi di dollari a trimestre. Per quanto Zuckerberg resti azionista di maggioranza di Facebook e mantenga il pieno controllo sulla sua creatura, il social network oggi è una società quotata in Borsa: dunque deve rispondere alle sollecitazioni di un mercato che dalle aziende si aspetta sempre una crescita, non importa come. Se ciò avviene facendo del bene, tanto meglio.