Gli eSport valgono già 463 milioni di dollari. Entro tre anni sarà superata quota un miliardo. Tra ricchi tornei, squadre e giocatori star, la competizione sta cambiando il business dei videogiochi
Da nerd a celebrità milionarie. È il percorso delle star degli eSport. Professionisti dei videogiochi, capaci di vincere (e muovere) milioni. Il settore galoppa: nel giro di tre anni varrà più di un miliardo. Nel 2016, per la prima volta, il montepremi di un torneo (The International di Dota 2) ha sfondato quota 20 milioni di dollari.
Gli eSport saranno il nuovo calcio?
Andiamoci piano. È vero che ci sono giocatori e competizioni milionari. Ma è anche vero che le eccellenze sono poche. Iniziare a giocare ad Halo o Call of Duty solo perché si spera nella ricchezza è un po’ come palleggiare nel giardino di casa nella speranza di ingraziarsi Mino Raiola. Non è impossibile ma non può essere la motivazione principale. Anche perché, molto spesso, calcio e videogiochi restano un hobby piuttosto che diventare una professione.
Il paragone è azzardato solo in apparenza. Perché gli eSport miscelano tutti gli elementi di competizione, affari e intrattenimento che appartengono al calcio: una base vastissima (chi non ha mai messo le mani su un joypad?), una platea di giocatori incalliti, un pubblico di appassionati che si moltiplica. E poi premi sempre più alti, squadre e presidenti disposti a investire, tornei nazionali e internazionali, merchandising, sponsor. Scommesse e persino doping.
La League italiana
Anche l’Italia si muove. Il 24 e il 25 settembre si è tenuto a Firenze, negli spazi di Nana Bianca, uno dei primi tornei di League of Legend organizzato dalla Italian gaming league (per la cronaca: hanno vinto i Forge). Montepremi: 5 mila euro. Il progetto, promosso da Balzo, mira a diventare il primo campionato di eSport in Italia. Con tutti i crismi di una competizione sportiva: tesseramento alla Gec (Giochi elettronici competitivi), associazione che fa capo all’Asi (Alleanza sportiva italiana), ente di promozione dello sport che segue le regole del Coni (sì, il Coni, il comitato olimpico italiano).
Intervista: Cosa succede in un torneo di eSport secondo la startup italiana che li supporta. Balzo
La Italian gaming league si presenta così: “Dopo anni di incertezze è giunto il momento di unire sotto un’unica realtà i maggiori titoli in circolazione” per creare “una base organizzativa solida che metta l’uno di fronte l’altro sia il panorama dei videogiocatori che quello degli sponsor”.
Pubblico giovane e disposto a spendere
Secondo un report di Newzoo, nel 2014 il mercato degli eSport valeva meno di 200 milione di dollari. Nel 2015 era già salito a a 325 milioni. Nel 2016, con un balzo del 42,6%, toccherà i 463 milioni. Il marcato nord-americano, con una quota del 38%, resta quello principale. Ma è già partita la rincorsa asiatica: Cina e Corea del Sud, valgono il 23% della torta e raccolgono buona parte del pubblico pagante. Nel 2019 il settore sfonderà il tetto del miliardo di dollari, per una crescita annua media del 40,7%. Il conteggio include diritti media, merchandising, biglietti venduti, pubblicità. Oltre alle piattaforme online (Twitch su tutte ma anche Youtube e Facebook) si sono avvicinate le grandi emittenti tradizionali, come Espn, Bbc e Fox.
Sponsor: non solo videogame
Quest’anno gli sponsor (da Intel a Samsung fino a Coca-Cola e Mastercard) investiranno 325 milioni. Perché marchi che c’entrano poco o nulla con i videogiochi dovrebbero puntare sugli eSport? La risposta è nella composizione del pubblico. L’80% degli appassionati (cioè di coloro che giocano o guardano i tornei almeno una volta al mese) ha meno di 35 anni. Ha una concentrazione altissima di quei millennials che spesso sfuggono alle strategie di marketing. Un pubblico che vivrà i videogiochi anche in futuro, senza bollarli come un passatempo per ragazzini, e sarà nutrito dalle nuove generazioni. Un pubblico con una capacità di spesa elevata: più di uno su due è ad alto reddito (contro una media degli utenti internet che si ferma al 37%), gioca e spende su mobile più dell’utente medio.
I tornei più prestigiosi hanno abbandonato stanze e open space per approdare nei palazzetti dello sport. E riempirli. Nel 2015 gli incassi da biglietti hanno toccato i 21 milioni di dollari. E gli spettatori sono disposti a pagare cifre importanti pur di godersi lo spettacolo: uno su cinque arriverebbe a sborsare 200 dollari. Ecco perché gli eSport possono fare gola a sviluppatori di app, internet provider, servizi online come Netflix o Spotify, circuiti di pagamento come MasterCard o PayPal, produttori di consolle, smartphone e accessori.
Oggi gli appassionati sono 131 milioni, cui si aggiungono 125 milioni di spettatoti occasionali: 256 milioni in tutto. Saranno 354 milioni nel 2019. Cifre attorno alle quali sono nate e stano nascendo agenzie specializzate. Come Sponsorop, indirizzata a far incontrare marchi, team e singoli giocatori.
Montepremi fino a 20 milioni di dollari
Cresce il giro d’affari e crescono i montepremi: se nel 2010 superavano di poco i 5 milioni, nel 2015 hanno raggiunto i 61 milioni di dollari. La classifica dei tornei più ricchi è dominata da quelli dedicati a Dota 2. L’edizione 2016 di The International ha messo in palio 20,7 milioni, distribuiti tra 16 squadre e 80 giocatori. Si è infoltito così il gruppo dei million dollar tournament. A oggi sono 25 (tra Smite, Halo, Counter-Strike, Call of Duty, League of Legend e Dota 2) le competizioni che hanno avuto un montepremi superiore al milione. Giusto per fare un confronto: il Tour the France ha un montepremi di 2 milioni e gli Internazionali d’Italia di tennis arrivano a 3,8 milioni.
Squadre e giocatori: ecco i più vincenti
Si partecipa in squadre che si strappano i migliori talenti con campagne acquisti. Team come Evil Geniuses e Wings Gaming hanno incassato più di 10 milioni di dollari nella loro storia. Senza contare le sponsorizzazioni e i gadget venduti ai fan (come le magliette firmate). Facendo ricchi proprietari e giocatori. Ai primi appartiene, da pochi giorni, anche Jonas Jerebko, giocatore Nba dei Boston Celtics. Ha acquistato i Renegades, team pro australiano. Un protagonista degli sport classici che punta su quelli digitali.
Tra i gamer, l’uomo dei record è Peter “ppd” Dager. Americano, 24 anni, ha incassato premi di 2,6 milioni di dollari. Ha da poco abbandonato l’attività da giocatore per ricoprire un ruolo di dirigente negli Evil Geniuses. Una transizione che la dice lunga sulle prospettive a lungo termine del settore. Nella top 10 dei più vincenti di sempre ci sono tre americani e cinque cinesi. Il primo italiano, secondo le statistiche di Esportsearnings è Alessandro “stermy” Avallone: posizione 221 e oltre 188 mila dollari incassati grazie alle competizioni in Painkiller, Quake e Fifa.
Gli eSport vogliono un futuro olimpico
Intorno a pubblico e sponsor, il movimento si sta strutturando in modo da ricalcare organizzazione e indotto di altri sport. La University of California Irvine ha aperto a un programma dedicato agli eSports. Ed è noto quanto i college siano importanti per il sistema sportivo americano (dal basket al football fino a calcio e volley).
Un gruppo di team si è coagulato per creare la Professional eSports Association. Una sorta di lega americana, che già nel nome parla di professionismo e diventerà operativa all’inizio del 2017. Una federazione mondiale, la IeSF, esiste già. E ambisce ai giochi olimpici. Il percorso è lungo, ma la richiesta è stata formalmente inoltrata al Cio (il comitato olimpico internazionale) lo scorso 19 febbraio. Già dal 2013 la IeSF fa parte della Wada, agenzia mondiale antidoping. Sì, perché all’aumentare della posta cresce anche il rischio di imboccare scorciatoie.
Tra business e rischi: doping e scommesse
La Esl, società organizzatrice di alcuni tra i tornei più importanti, ha promosso la nascita della World Esports Association, una organizzazione che si occuperà di definire le regole del settore, anche in tema di antidoping. Alcuni giocatori hanno infatti ammesso di fare uso eccessivo di energy drink o di Adderall, un farmaco usato contro i deficit di attenzione.
L’altra possibile deriva riguarda le scommesse. Come sottolineato dalla UK Gambling Commission, le puntate negli eSport presentano “rischi e necessità simili ad altre forme di competizioni”, come quello di “truccare le partite”. Servono quindi licenze per gli intermediari e divieti per i minori. In altre parole: il settore deve essere regolamentato. In questa direzione va una piattaforma nella quale hanno investito Mark Cuban e Ashton Kutcher: consente di scommettere sugli eSport attraverso una propria moneta virtuale (Unikoin) e, sin dal nome, dimostra tanta ambizione e nessuna scaramanzia: si chiama Unikrn e si pronuncia “unicorn”, unicorno.
Se il giocatore diventa pubblico
Secondo gli autori del report di Newzoo, gli eSport sono “la più grande disruption dai tempi dell’iPhone”. In un settore così giovane e promettente, forse meglio lasciare da parte proclami e frasi ad effetto (che poche volte hanno portato fortuna) per concentrarsi sull’analisi del fenomeno. Gli eSports sono motore ed espressione di una trasformazione profonda, dalle vaste implicazioni economiche: i videogiochi stanno muovendo da una dimensione privata, personale e casalinga a una forma di sport-entertainment (anche) collettiva.
Paolo Fiore
@paolofiore