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Videogiochi | Nasce Women in Games perché “un videogiocatore su due è donna”

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Videogiochi | Nasce Women in Games perché “un videogiocatore su due è donna”

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La fondatrice a StartupItalia!: “Occorre cambiare mentalità e cultura, la strada è lunga ma ce la faremo”

La fondatrice a StartupItalia!: “Occorre cambiare mentalità e cultura, la strada è lunga ma ce la faremo”

Tecnologia
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Carlo Terzano
19 mar 2018

In Italia 1 videogiocatore su 2 ormai è donna. In Italia, la quasi totalità dei professionisti legati all’industria videoludica appartiene al genere maschile. Proprio per questo motivo lo scorso 8 marzo, guarda caso nel giorno che festeggia tutte le donne, è nato – anzi, nata – Women in Games, associazione no profit che ha come scopo quello di raddoppiare il numero delle lavoratrici nel settore entro i prossimi 10 anni.

 

 

La mission di Women in Games

«La nostra organizzazione no profit è appena nata ma sarà presto attiva in tutta Italia», racconta non riuscendo a trattenere l’entusiasmo la sua giovane fondatrice, Micaela Romanini. «Siamo impegnati  in quattro ambiti principali: promuovere la visibilità delle professioniste nel settore, informare le ragazze e studentesse sulle opportunità professionali nel settore dei videogiochi, costruire e rafforzare le possibilità di networking e sensibilizzare gli attori del settore sul tema della diversità di genere».

Videogiochi? Un “mestiere” ancora da uomini

Micaela, 31 anni, con un passato da International Coordinator in Xbox.com e in Fondazione Vigamus, il museo capitolino del Videogioco, ha ben presente l’entità del problema: «I corsi universitari che permettono di entrare nel settore videoludico sono seguiti prevalentemente da ragazzi, la percentuale è schiacciante: 80 a 20. È evidente la necessità di informare sulle possibilità offerte da questo bellissimo mondo lavorativo, per far conoscere i diversi profili e raccontare soprattutto le storie di successo delle professioniste». «Eppure – continua Micaela – abbiamo ormai le prove che le poche ragazze che si specializzano nel settore poi hanno successo in qualunque ambito: dalla comunicazione allo sviluppo e alla programmazione, altre si specializzano nella grafica e nella parte più artistica».

La necessità di attività di networking in rosa

«Abbiamo in programma un teaser – racconta la fondatrice di Women in Games – che sarà lanciato nel mese di aprile per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema. In più, vogliamo organizzare eventi, panel e attività di networking così da consentire alle professioniste di entrare in contatto tra loro e con le realtà presenti in Italia». Per quanto riguarda l’accoglienza, «In pochi giorni la nostra associazione ha già raccolto molte adesioni. In questo periodo si parla moltissimo della tematica dell’inclusione e anche Aesvi, l’associazione editori e sviluppatori italiani, si è dimostrata sempre molto sensibile al riguardo». Del resto, alla guida della principale istituzione italiana del settore c’è proprio una donna, l’avvocato Thalita Malagò.

 

 

Combattere gli stereotipi dentro e fuori dal mercato

«Se ci si ferma a riflettere – fa notare Micaela – se oggi le donne sono una minoranza nel settore parte della colpa è della società: un po’ perché c’è poca consapevolezza del Videogioco come frontiera occupazionale, un po’ perché fin da piccoli i bimbi vengono abituati a giocare con i Lego, che è un gioco spaziale e allena la creatività, mentre le bimbe vengono relegate alle bambole». «Ma soprattutto – continua la fondatrice di Women in Games – fino a pochi anni fa c’era anche un mercato che respingeva le ragazze, perciò poche di noi prendevano il pad in mano: i giochi erano pensati per soddisfare il videogiocatore medio, cioè un maschio bianco adolescente, escludendo dalla fruizione tutti gli altri».

 

Leggi anche: Zelda vince gli Italian Video Game Awards. Tanti premi anche ai team italiani

 

Prima principesse da salvare, poi eroine ora protagoniste sempre più complesse

E poi c’è il tema del modo in cui vengono rappresentate le donne nei videogames: «Siamo passate dalle principesse da salvare a eroine molto svestite dalle forme giunoniche fino ad arrivare solo recentemente a personaggi con molte sfaccettature», fa notare Micaela. «Pensiamo per esempio al reboot di Tomb Raider: all’inizio Lara Croft era niente di più di una pin up silenziosa che piaceva per il suo aspetto fisico. Ora è un personaggio davvero “umano”, con le sue paure e le sue contraddizioni e tra l’altro i dati confermano che queste novità, che caratterizzano anche Horizon: Zero Dawn, hanno ampliato la platea di riferimento dei fruitori: i nuovi videogames con eroine sempre meno stereotipate e sempre più complesse piacciono molto non solo alle ragazze ma anche agli uomini adulti».

I videogiochi? Per Micaela devono avere una bella trama

Agli alieni da blastare la fondatrice di Women in Games ammette di preferire le sceneggiature intriganti e articolate: «Sono una videogiocatrice anomala – rivela sorridendo – non solo perché mi sono avvicinata alle console molto tardi, all’università, ma anche perché sono appassionata di realtà virtuale e mi piace studiare come questa tecnologia viene applicata con finalità educative, per esempio nei musei». Quanto al gioco preferito, non ha dubbi: «Omikron: The Nomad Soul di David Cage, del 1999 in cui compare un personaggio non giocante doppiato da David Bowie. Adoro del resto Blade Runner e il titolo di Quantic Dream riprende perfettamente le sue atmosfere».

 

Per chi fosse interessato all’attività di Women in Games, il primo appuntamento già fissato è per il primo giugno a Palermo per un incontro sull’inclusione. Per il calendario completo vi rimandiamo al sito dell’associazione.

 

 

 

Tags: #MICAELA-ROMANINI #PARI-OPPORTUNITA #VIDEOGIOCHI #VIGAMUS #VIGAMUS-ACADEMY #WOMEN-IN-GAMES
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