Il Drago d’Oro vinto agli Italian Video Game Awards con The Last Day of June scintilla sulla scrivania. Sulle pareti le locandine di Shadows of the Damned e Murasaki Baby, gli ultimi videogiochi a cui ha lavorato. Massimo Guarini non è ancora un nome noto a livello internazionale come Shigeru Miyamoto (papà di Super Mario e Zelda) per il Giappone, Michel Ancel (babbo di Rayman) per la Francia o John Romero (ideatore di Doom, Wolfenstein, Quake) per gli USA. Ma ha saputo fare di Ovosonico una software house di tutto rispetto e di Varese, sede della sua azienda, una piccola Kyoto (là sorge Nintendo) in miniatura: un luogo in cui i sogni prendono vita attraverso la magia della digitalizzazione. Perciò ormai è solo questione di tempo, perché Massimo Guarini ha tutte le carte in regola per entrare nella Hall of Fame dei più famosi e talentuosi game designer del mondo.

Massimo Guarini in versione The Last Day of June
Il gap tra Oriente e Occidente
«In Giappone, se lavori nei videogiochi si è considerati imprenditori di “serie A”», dice Guarini ricordando la sua esperienza nel Paese del Sol Levante. «Là, del resto, il videogame è comunemente ritenuto una forma d’arte per nulla inferiore al cinema. Qui scontiamo invece un forte provincialismo: quando parlo con altri imprenditori e dico che io, per lavoro, opero in questo settore mi chiedono se faccio slot machine o giochi da bar e poi mi fanno pesare il fatto che loro lavorino, chessò, nell’acciaio, come se quella fosse una industria seria, la mia no».
La sua rivincita sui luoghi comuni tutti italiani, il papà di The Last Day of June se l’è presa da tempo, ben prima che la sua ultima opera venisse premiata agli Italian Video Games Awards e ricevesse la nomination ai British Academy of Film and Television Arts 2018: «Per il nostro primo titolo importammo esclusivamente capitali dall’estero: Murasaki Baby è stato finanziato da Sony Computer Entertainment… non è roba da tutti».

Il samurai italiano dell’industria videoludica
In Giappone Massimo Guarini non è andato in vacanza, ma ha partecipato allo sviluppo di Shadows of the Damned, videogioco per PlayStation 3 e X-Box 360 cui hanno collaborato anche Gōichi Suda (alias Suda51, che ha firmato, tra i tanti No More Heroes e Killer is Dead), Shinji Mikami (la mente dietro la saga di Resident Evil, almeno fino al suo addio a Capcom, poi The Evil Within) e il compositore delle colonne sonore di Silent Hill, Akira Yamaoka.

Massimo Guarini in compagnia di Goichi Suda
Insomma, Guarini ha avuto la fortuna di lavorare gomito a gomito con alcuni tra i più grandi artisti viventi del videoludo, il sogno di qualsiasi sviluppatore non solo italiano ma Occidentale: «Per me è stata una esperienza fondamentale: Suda51 e Mikami sono due personalità ingombranti, difficili da gestire, in più in Giappone c’è una cultura lavorativa agli antipodi della nostra: là, la fiducia si ottiene solo lavorando sodo e con la testa china, perciò posso dire di avere imparato i valori dell’umiltà e dell’abnegazione». «Come recita un proverbio nipponico – dice sorridendo Guarini – bisogna restare sullo stesso sasso per almeno tre anni».

La necessità di ribaltare il tavolo da tè
Dopo essere stato sullo stesso sasso giapponese per tre anni, Guarini decide di tornare in Italia, fonda con Gianni Ricciardi (già collaboratore di team internazionali quali: Capcom, Namco Bandai e Ubisoft) Ovosonico, e, per continuare con i detti nipponici, si mette in testa che è venuta l’ora di “ribaltare il tavolo da tè”, cioè dare il suo contributo a rivoluzionare l’industria dei videogiochi: «Il mercato è cresciuto in modo esponenziale, ma resta di nicchia e non potrà essere diversamente fino a quando continuerà a rivolgersi a una piccola parte dell’umanità: maschi, bianchi, adolescenti amanti dei fantasy. Le stesse software house si compongono di maschi, bianchi poco più che adolescenti che stravedono per Il Signore degli Anelli, quindi è un circolo vizioso molto autoreferenziale».

Massimo Guarini in compagnia di Murasaki Baby
«Abbiamo la necessità di ideare giochi nuovi – continua il numero 1 di Ovosonico – che si rivolgano a platee nuove: per fare un esempio, mia madre non è interessata ai videogiochi perché anzitutto le console sono ancora troppo difficili da usare… presentano barriere che spaventano chi non ha mai tenuto un pad in mano, e poi perché non gliene frega nulla di ammazzare dinosauri».
Come ci aveva detto qualche giorno prima Micaela Romanini, fondatrice di Women in Games Italia, anche Guarini auspica «un rapido ingresso delle donne all’interno degli studi di sviluppo e delle case editrici». «Io, per esempio – conclude – spesso prendo il rischio di assumere anche chi non ha mai impugnato un controller sperando di trovare in queste persone chi ha finalmente il coraggio di infrangere i dogmi che imbrigliano l’industria videoludica».

Allargare il mercato: ci riusciranno solo i giochi broadcasting via TV
Gli smartphone oggi mettono in mano a chiunque una piccola ma discretamente potente console: «Sarebbero potuti essere un’ottima porta di ingresso nel mondo videoludico per milioni di persone, potenzialmente per tutti quelli che oggi hanno un telefono, ma è mancata l’organizzazione a monte», spiega lo sviluppatore italiano. «Crei un gioco per cellulare, finisce in uno store digitale in mezzo a milioni di titoli, rischia di scomparire là in mezzo, dunque gli imprenditori hanno smesso di investire e tutto si è risolto in una quantità infinita di giochini, spesso anche molto sciocchi, che rappresentano una brutta vetrina… In questo modo, chi non ha mai provato un videogioco non sentirà l’esigenza di approfondire». «Probabilmente – conclude Guarini fantasticando – riusciremo a estendere la platea solo il giorno in cui le console non esisteranno più e saranno integrate nei televisori. Ciascuno avrà sulla propria TV il “canale Nintendo”, il “canale Microsoft” e il “canale Sony” e si dirà: “a cosa gioco questa sera? Guardo cosa danno su Nintendo” come oggi si fa con Sky o Netflix».

The Last Day of June, il gioco nato dalle note di Steven Wilson
Quanto a The Last Day of June, il pluri-premiato titolo disponibile da qualche giorno anche su Nintendo Switch, fresco di nomina ai BAFTA britannici e di Drago d’oro come Best Game Beyond Entertainment, Guarini spiega: «L’idea mi è venuta guardando il video della canzone Drive Home di Steven Wilson [poi coinvolto nel gioco in qualità di musicista ndR]. Mi sono detto che sarebbe stato interessante creare un titolo sul senso della perdita, sulla difficile fase dell’elaborazione del lutto».
«Poi – ammette il game director – dato che le meccaniche richiedono di rivivere infinitamente l’ultimo giorno di vita della fidanzata del protagonista, giocando assieme ai membri del team ci siamo detti “ma sai che ricorda anche Ricomincio da Capo di Harold Ramis e Bill Murray?”, ma non era voluto. Come non era voluto che i personaggi strizzassero l’occhio alle opere di Tim Burton, regista che qui apprezziamo tantissimo – rivela Guarini – e che indubbiamente ha influito involontariamente sulla nostra ispirazione».

Sempre sul versante artistico, Guarini svela il motivo per cui tutti i personaggi sono senza occhi: «Un po’ per suscitare maggiore empatia ma, soprattutto, per dare l’impressione che gli eroi siano marionette nelle mani di un fato che poi è controllato dal giocatore. L’utente infatti potrà, agendo sulle azioni degli amici della coppia, influire sul destino dei due e sul modo in cui si concluderà la tragica giornata che farà perdere la vita a June e renderà invalido Carl». «Non a caso – continua il game director – Carl non solo è un anti-eroe timido, goffo, che conduce una esistenza ordinaria ulteriormente limitata dalla disabilità e che lotta contro eventi più grandi di lui, ma non potrà nemmeno essere controllato direttamente: volevamo fare riflettere i videogiocatori sul fatto che le nostre azioni, anche le più leggere, si ripercuotono sulle vite degli altri».

Anche per questo, in The Last Day of June il ruolo della sinossi ha un peso determinante, a tratti preponderante nell’economia di gioco, ma, nonostante ciò, quasi ogni frangente in cui la storia “procede” è giocabile, dal momento in cui Carl porta il golfino alla sua amata June a quello in cui i due salgono in auto per tornare a casa: «Finora nei videogiochi storia e gameplay sono quasi sempre stati sviluppati a compartimenti stagni», spiega Guarini. «Prendiamo Prince of Persia di Ubisoft: sei lì che salti, esegui le evoluzioni più assurde e folli in totale spensieratezza, dopodiché parte il filmato drammatico, l’eroe si inginocchia sulla tomba del padre in lacrime e ci rimane fino a quando la cut-scene si interrompe, dopodiché il giocatore è libero di riprendere a danzare su quella stessa lapide sulla quale gli sceneggiatori avevano deciso che il protagonista piangesse. Ma questo non ha senso».
Lo sviluppo di The Last Day of June ha richiesto 22 mesi e impegnato 17 persone e Ovosonico è già impegnata in un nuovo, segretissimo, progetto.