Dal suo account Instagram dedicato ai meme, Ben Soffer ha creato una lezione che molti Ceo dovrebbero imparare a memoria. Anche se l’Italia non si fida ancora dei social
Si chiama Spritz Society e ha già conquistato 6 milioni di persone non tanto con la bontà dei suoi cocktail in lattina, quanto con la viralità dei suoi profili social. Il suo Ceo, Ben Soffer, è titolare del profilo @BoyWithNoJob. Ha preso i suoi 1,6 milioni di follower, interessati solo ai suoi meme, e li ha aggiunti a quelli di sua moglie Claudia Oshry e sua sorella Jackie Oshry.
Insieme hanno costruito un network capace di portare una forte visibilità alle sue bevande alcoliche premiscelate ready to drink (Rdt), insieme a interessanti risultati economici. La chiave di tutto? La fiducia, costruita attraverso post e meme online del trio dietro Spritz Society. C’è voluto un decennio, ma la strategia che passa dalla costruzione di un’audience autentica, che crede a chi posta e alle loro opinioni ha pagato. Come spiega Soffer, “quando raccomandiamo qualcosa, loro la comprano“.
Gli utenti al centro
Spritz Society è nata nel 2011. Specializzata nella vendita di cocktail frizzanti aromatizzati alla frutta, l’azienda offre il suo prodotto in pacchi da quattro lattine, a 17 dollari. Oggi le lattine Rdt Spritz Society sono disponibili per la vendita sul sito internet dell’azienda e in 400 negozi all’ingrosso. Tutte le decisioni sul prodotto sono prese grazie all’interazione con gli utenti, sui social. Spesso Soffer e soci interpellano i loro seguaci per avere pareri su sapori e design del packaging.
Invece di seguire semplicemente determinati dati di mercato, l’azienda ha deciso di reperire i propri numeri attraverso i social media, lanciando un marchio sulla base delle preferenze dei propri follower. La scelta è figlia delle esperienze pregresse di Soffer, che ha lavorato nel marketing sviluppando in parallelo i suoi account social dedicati ai meme.
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Il Google Form messo a punto prima del lancio dell’azienda, è stata il cavallo di Troia con cui testare l’intuizione di Soffer. Attraverso questo mezzo, ha chiesto al suo pubblico opinioni su packaging, copy legati al marchio, gusti delle bevande e percentuale di alcol da inserire. Migliaia di direct message su Instagram hanno raffinato i dati ricevuti. Ancora oggi è questa la strategia di Soffer per raccogliere dati ed elaborare strategie di sviluppo di prodotto.
Il seguito creatosi sin dalla nascita di Spritz Society è stato utile anche per creare la rete di distributori e retailer. Infatti, i follower hanno dato una mano – indirettamente, s’intende – anche quando si è trattato di presentare il prodotto agli intermediari.
Il piano di Spritz Society – mettere gli utenti al centro del business – ha pagato sin da subito. La fama acquisita online ha fruttato entrate a sei cifre nelle prime 24 ore dal lancio sul mercato. Inoltre, l’azienda ha anche raccolto 3,7 milioni di dollari in finanziamenti pre-seed.
Il ruolo dei social nella crescita delle startup
Il caso di Spritz Society non è isolato. Sempre più startup utilizzano la potenza di piattaforme come Instagram o TikTok per far crescere i propri brand. Ne sono una dimostrazione August, brand dedicato a prodotti per il ciclo fondato da Nadya Okamoto. Sono bastati 3 milioni di follower su TikTok per creare una brand awareness importante.
Secondo Ryan Detert, Ceo dell’agenzia di influencer marketing Influential, “i social media sono il più grande crowdsourcing di opinione pubblica nella storia umana. Se riesci a strutturarlo e dargli un senso, puoi, ad esempio, migliorare un prodotto”.
Secondo Kimberley Ring Allen, fondatrice di Ring Communications e professoressa alla Suffolk University, la doppia veste di founder e influencer indossata da un Ceo può ridurre i costi di acquisizione clienti di un marchio, aumentandone i profitti. Tuttavia, ogni sua azione viene passata al microscopio. E sappiamo che il web non dimentica.
Per il suo ultimo prodotto, un cocktail alla pesca messo in vendita a giugno, Spritz Society ha utilizzato un’email per chiedere ai suoi clienti quale gusto preferissero tra quattro. Ma, oltre alle interazioni online, l’azienda ospita incontri che, oltre ad aumentare l’engagement sui social, crea legami reali col brand.
Il mercato dei cocktail in lattina: numeri
Secondo Ibis World, il mercato dei drink RDT nei soli Stati Uniti arriverà a valere 5,6 miliardi di dollari nel 2022, con una crescita produttiva del 1,4% e un incremento del 5,6% rispetto alle dimensioni di questo mercato.
Anche l’Italia ha dimostrata ampia sensibilità al fenomeno. Da noi il segmento è cresciuto del 26,4% durante il 2020. Il 2021 ha visto un incremento del 30% circa, con una proiezione del +10,2% entro il 2025. Ma l’evoluzione del settore in Italia ha un altro traino e passa poco attraverso i social.
Le personalità che guidano il mercato dei cocktail Rdt sono professionisti. Si tratta di bartender o mixologyst noti al grande pubblico non solo attraverso i social, ma soprattutto grazie ai loro banconi. Ad aprire il mercato italiano a questo tipo di bevande è stato Emanuele Broccatelli, bar manager romano. Ha creato il brand Drink It nel 2015, lasciando affinare i cocktail come i vini. Il suo Negroni ossidato è stato un successo.
Ma i cocktail pronti da bere hanno dovuto superare un altro ostacolo. Infatti, in Italia, non esisteva una categoria merceologica contemplata dall’agenzia delle Dogane e dei Monopoli italiani. Per questo, in Italia i ready to drink sono classificati come liquori.
Una volta aperta la strada, si sono affermate le esperienze in lattina di altri bar expert. Ne è un esempio la barlady Valeria Sebastian e il brand The Key Cocktail, realizzato nel liquorificio di 180 metri quadri nel quartiere di Quarto Miglio, a Roma.
Poi c’è Jas – Juicy and Sparkling è la startup del chimico e farmacista Gianluca Sanzi e il noto barman Pino Mondello. Insieme hanno puntato alla realizzazione di drink a base di vino spumante e frutta fresca, come il Bellini, ignorati finora dal settore a causa della difficoltà di conservazione degli ingredienti.
A Milano, il volto della Martini Room di Cà-Ri-Co Domenico Carella ha realizzato Cok – Cans or Kegs. Alle lattine, si accompagnano anche i fusti. Obiettivo: spillare cocktail pronti da bere sempre uguali, sempre perfetti, senza sbavature. Parola chiave, dunque: standardizzazione.
In queste storie italiane i social hanno un ruolo marginale, legato alla pura diffusione d’informazione. Forse perché non ci si fida del prodotto pronto, anche se piace molto e ormai popola i frigoriferi domestici. O forse perché sedersi al bancone, specie in fase post-pandemica, è un piacere che non vogliamo delegare a nessuno schermo.
Risultato? I brand nazionali non riescono ancora a tesaurizzare in modo massivo i dati ottenuti attraverso la customer experience. Ma sembra intatto il piacere di una serata fuori casa, trascorsa a sorseggiare un cocktail al bancone di un bar, con una persona in carne ed ossa con cui interagire e a cui fare i complimenti. Tutto offline.