Ha aperto da poco un nuovo ristorante a Milano. L’ultimo round da 10 milioni di euro. Alberto Cartasegna, classe ’89, ci racconta la sua vita, inciampata in un piatto di pasta. «Per me è un mezzo»
In Italia il cibo è religione. E anche se il nostro Paese non ha ancora sviluppato gli anticorpi per contrastare lo spreco alimentare (quello pro capite pesa 75 grammi di cibo, gettato nella pattumiera ogni giorno secondo i dati di Spreco Zero), possiamo concludere pacificamente che la pasta, la pizza, la dieta mediterranea sono una punto di incontro che mette d’accordo milioni di persone. Ma siamo davvero sicuri che la tradizione sia la risposta a tutto? Cosa si può fare per dare un’alternativa sana al cibo spazzatura, quegli sgarri che un domani potrebbero pesare non poco sulla salute di milioni di persone? «Credo che non possiamo rimanere rinchiusi nel passato, soltanto perché si faceva così e sempre si è fatto così». In questa intervista a StartupItalia Alberto Cartasegna, Ceo e Founder di Miscusi, è uscito dal suo ristorante (ha da poco aperto il settimo a Milano) per parlare di cibo. Di gran lunga il suo argomento preferito.
Questa è la storia…
Classe 1989, nato e cresciuto a Cernusco sul Naviglio, alle porte di Milano, Alberto è un ex ragazzo di campagna. «I miei nonni erano contadini. Da piccolo stavo sul trattore, facevo la mia parte per arare e seminare». Ha i ricordi che tanti millennial come lui conservano e rispolverano ogni volta che si sente il profumo di un buon ragù durante il pranzo domenicale quando ci si ritrova tutti a tavola. Come era buona la pasta di nonna. «La mia ha 92 anni e facciamo ancora la pasta insieme: è un rito. Fino a qualche anno fa veniva pure a trovarmi a Miscusi». In famiglia Alberto ha anche la mamma pastaia. «Le radici ci sono. Ma credo che non sia semplicemente spargere la farina su una madia».
La sua canzone preferita, Il ragazzo della via Gluck di Celentano, è stata composta sull’onda della nostalgia di una Milano che non c’è più. Ma Milano, Alberto, l’ha scelta di proposito, dopo un anno sabbatico a Londra subito dopo la maturità. «In Inghilterra mi sono messo alla prova per la prima volta. Avevo 18 anni, mi ha aiutato a svegliarmi». Rientrato, ha preso la strada della Bocconi, cantera di moltissimi imprenditori e imprenditrici che lanciano la propria idea di startup.
Masticare innovazione
Fino a quel punto, però, nella sua vita la pasta era cibo, sapore di casa come per milioni di altri coetanei. L’innovazione, se manteniamo la metafora, è sempre stato il suo piatto preferito. Uno stage al Boston Consulting Group – obiettivo per tanti – lo ha invece messo di fronte a quello che non voleva fare come lavoro e così ha preso un volo per Berlino, dove è presto entrato a fare parte di Rocket Internet, brand europeo storico che studia modelli di startup di successo per replicarli attorno a team e persone di talento. «Prendono idee e le danno in mano a giovani svegli».
Negli anni ’10 l’ecosistema dell’innovazione europeo stava crescendo, in Italia era agli albori. Ed è in quel periodo di lontananza che ha iniziato a maturare la nostalgia prima per casa e poi per la tavola. «Da italiano non trovavo l’Italia all’estero». Grandi catene, italian sounding, il solito menu “italiano” che ci fa rabbrividire ogni volta che azzardiamo l’ordine di una carbonara all’estero.
Alberto Cartasegna e la pasta
Miscusi è oggi un brand italiano di ristoranti di pasta fresca. Da poco ha chiuso un round da 10 milioni di euro. Nel suo ultimo ristorante in Gae Aulenti, a Milano, le pareti non sono costellate di immagini instagrammabili, in stile food porn. Vengono invece esaltate le farine, le caratteristiche invisibili del cibo, anche in termine di impatto sulle emissioni nel produrlo. Miscusi è questo, ma anche una risposta a tono a un certo modo di presentare lo slogan Italia-pizza-spaghetti-mandolino. «Ricordo quell’episodio dei Griffin, in cui Peter si rivolge a un macellaio italoamericano, partendo con “Ehm…scusi?”». La più ritrita delle parodie. Rimodellato come brand da rivendicare.
Nel corso dell’intervista abbiamo chiesto ad Alberto quale sia la prima cosa che gli viene in mente pensando alla pasta. «Penso a un mezzo, a un vettore. La pasta è una forma che puoi scegliere: uno spaghetto, un fusillo, una penna. Con la pasta puoi divertirti e riempire il tuo corpo di energia». E cos’è il cibo? «La medicina più potente che abbiamo».
Rinunciare al food porn?
Aspetto di cui molto spesso ci dimentichiamo, presi dalla fretta in tante giornate dove l’ultima cosa a cui pensare davvero è il valore nutrizionale di quello che appoggiamo sulla tavola. «In Italia un bambino su cinque è malnutrito. Noi siamo in guerra con la chimica del sapore e delle reazioni che genera del nostro cervello. McDonald’s fattura miliardi in Italia ed è la catena dominante».
Rimanendo sul concetto di salute, secondo Alberto la medicina personalizzata di cui oggi si parla molto per i pazienti andrebbe allargata in maniera olistica, a tutti. «Se sappiamo cosa mangiamo, se raccogliamo i nostri dati, allora possiamo scegliere come calibrare la dieta. Avremmo una profilazione alimentare». I wearable che oggi contano i nostri passi un domani potrebbero monitorare che cibo abbiamo ingerito.
Siamo partiti dicendo che in Italia il cibo è religione. Aggiungiamo in chiusura: è anche Instagram, TikTok, viralità. Sui social è onnipresente nei feed, con chef a volte improvvisati che puntano meno sulla qualità e più su un panino che fa cranch o su una fetta di cheddar che cola. «Sui social il food porn funziona molto bene, è evidente. A volte litigo col marketing. Perché vorrei davvero farne a meno».