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«Non ho trovato un ambiente tipo Tesla: parliamo di editoria. Ho però notato tanta disponibilità all’ascolto». Virginia Stagni, classe ’93, è Head of Business Development al Financial Times, uno dei brand del mondo giornalistico più noti a livello globale. E non è un caso che abbiamo ripreso quella parola: brand. «Quando l’avevo utilizzata tempo fa riferita ad una testata, in molti hanno storto il naso. Non immagino certo i giornali come tech group. Ma è evidente quanto, ad esempio, il personal branding di ciascun giornalista sia positivo per l’azienda». E, di nuovo, un altro termine che non sempre viene ben visto nel settore: azienda. Spesso ci si dimentica che il giornalismo, per continuare a vivere, deve trovare strade di sostenibilità economica. Di questo e molto altro Virginia Stagni parlerà in una nuova puntata di illimitHER, in programma lunedì 14 febbraio dalle 18:00. Troverete la diretta streaming anche sui nostri canali social.

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Virginia Stagni: il percorso

Come facciamo ogni volta su StartupItalia per introdurre una nuova puntata di illimitHER, partiamo dalla storia della prossima speaker. «Sono di Bologna e ho sempre avuto una passione per il mondo della carta stampata. In più credo di aver un forte spirito imprenditoriale» ci ha raccontato.  Durante gli studi in Economia e Management per Arte, Cultura e Comunicazione all’Università Bocconi di Milano, Virginia ha notato una nicchia di mercato nella quale ha subito voluto mettersi alla prova. «Ho scoperto che si poteva innovare un giornale senza per forza essere giornalista». Il suo percorso di formazione l’ha condotta fino alla London School of Economics, da lì, durante il lavoro sulla tesi, un contatto su LinkedIn con il Chief Commercial Officer del Financial Times le ha aperto le porte di una delle più autorevoli aziende editoriali del mondo. 

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«A chi studia, a chi sta svolgendo un percorso di ricerca dico questo: utilizzate questo periodo per aprirvi all’esterno e trovare contatti». Con un semplice messaggio su LinkedIn, Virginia Stagni ha avuto l’occasione di incontrare un professionista del settore e intervistarlo per la sua tesi. «Mi hanno risposto anche dal Guardian e dall’Economist. Dall’Italia nessuno». L’importante, ci ha spiegato la Head of Business Development del Financial Times, è che quando si chiede un incontro con professionisti di qualsiasi ambito deve essere chiaro che valore aggiunto diamo a quella persona. Detta altrimenti: non sempre funziona chiedere soltanto un favore. «Alla fine il Chief Marketing Officer ha letto la mia tesi e mi ha suggerito di fare application per il Financial Times: ho ricevuto due no e poi sono riuscita a entrare nella parte education, in un team di una startup interna al giornale».  

Cosa serve a un giornale

Da lì è iniziata la carriera di Virginia Stagni dentro l’FT. Nel corso della puntata del 14 febbraio di illimitHER ci sarà modo di approfondire questo percorso, che racconta la storia di successo di un’italiana a Londra. Ma l’occasione sarà preziosa anche per capire come si può innovare il mondo del giornalismo senza per forza essere giornalisti. «È meglio evitare le contrapposizioni tra la redazione e, ad esempio, il reparto commerciale di un’azienda editoriale. Innovare significa portare nuovi talenti. All’FT Talent, che abbiamo studiato sul modello della Silicon Valley, organizziamo hackathon: chiamiamo persone con background molto diversi e poniamo loro domande su possibili percorsi di innovazione. I migliori continuano a lavorare con noi, fanno i giornalisti, gli analyst, oppure continuano come brand ambassador. L’innovazione parte dalle persone e non dalla tecnologia».

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I nuovi lavori nel giornalismo

Negli anni tutti abbiamo notato quanto i social abbiano rivoluzionato (e in parte ridimensionato) il ruolo un tempo dominante della stampa nell’ambito dell’informazione. Si sono affermati e consolidati nuovi format: dalle newsletter ai podcast, dai video su TikTok agli eventi per incontrare i lettori e formare una vera community. Lo slancio verso il cambiamento e la ricerca di nuovi linguaggi non deve essere a capo soltanto della redazione. Esistono dunque nuovi lavori che col tempo si affermeranno nelle redazioni, che andranno insomma ad affiancare il mestiere dei giornalisti? «Si innova soltanto rispettando gli equilibri. Chi è intorno alla redazione deve dare più fondi affinché la redazione stessa faccia bene il suo lavoro; il giornalista deve ovviamente filtrare. Il settore del business development è uno di quelli su cui puntare: aiuta a capire dove sta andando il mercato, anche se non genera profitto nel breve periodo, è cruciale».

Lettori o utenti?

L’innovazione nel campo del giornalismo non deve trascurare chi riceve le notizie e i contenuti. «In Italia si usa ancora troppo la parola lettori – ha concluso Virginia -. La giusta terminologia dovrebbe essere user. Il giornalismo deve essere utile e in grado di farsi trovare nel momento giusto col contenuto giusto. Un tempo si diceva che content is king. Oggi vale invece un’altra massima: user is king. Il che non significa dare a ognuno soltanto quello che gli piace. Il valore aggiunto del giornalismo è alimentare quella serendipity, il piacere della scoperta di un argomento nel viaggio dell’utente all’interno di un prodotto editoriale».