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«I rischi del cambiamento climatico impattano. C’è poi il tema che l’Europa ha solamente l’8% delle emissioni a livello mondiale, la Cina il 33%. Noi giochiamo la nostra parte». Alberto Marenghi, vicepresidente di Confindustria con delega all’Organizzazione, lo Sviluppo e il Marketing, ha risposto alle domande di StartupItalia. Nell’intervista ci siamo concentrati su alcuni dei fronti aperti per le imprese di qualunque dimensione. Dai cambiamenti climatici alla digitalizzazione. Lo abbiamo intervistato nel corso dell’ultima edizione del Giffoni Film Festival, dove è stato ospite di Giffoni Next Generation 2023, rassegna di eventi organizzata da Giffoni Innovation Hub.

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Alberto Marenghi, vicepresidente di Confindustria con delega all’Organizzazione, lo Sviluppo e il Marketing

Secondo uno studio del Digital Innovation Hub di Confindustria la maturità digitale delle imprese è stata misurata in 2,85 in una scala da 1 a 5. Si parla di mancanza di competenze e costo degli investimenti come principali ostacoli
Le PMI sono il cuore imprenditoriale del nostro Paese: digitalizzarle significa dare un’accelerata al loro sviluppo, e quindi spingere la crescita italiana. È una priorità per tutti e un obiettivo per Confindustria, ma il percorso non è semplice. Oggi le imprese stanno vivendo una doppia transizione, green e digitale. Stiamo andando verso l’industria 5.0, e questo significa continuare a investire. È una rivoluzione che va sostenuta con la creazione di adeguate competenze attraverso percorsi scolastici e universitari, tenendo insieme le nuove frontiere tecnologiche con i processi produttivi. È essenziale anche insistere sullo sviluppo di un’economia dei dati, che valorizzi l’enorme mole di informazioni raccolte da imprese e pubbliche amministrazioni attraverso l’IoT, l’intelligenza artificiale e il cloud. Bisogna lavorare sull’integrazione delle filiere: è nelle filiere che tante piccole imprese trovano la strada per crescere. Dobbiamo gestirlo, questo cambiamento, e non farci travolgere.

Il presidente Bonomi ha parlato di “protocollo caldo” per i lavoratori. Che peso ha la transizione energetica nell’operato di Confindustria e quali politiche sta attuando sul territorio?
Per quanto riguarda la transizione energetica non abbiamo mai negato la necessità di perseguire la maggiore sostenibilità ambientale. I rischi del cambiamento climatico impattano. C’è poi il tema che l’Europa ha solamente l’8% delle emissioni a livello mondiale, la Cina il 33%. Noi giochiamo la nostra parte, ma dobbiamo sapere che sul Fit for 55 Bruxelles ci ha imposto condizioni molto stringenti. Faremo la nostra parte, ma sono in ballo investimenti e risorse ingenti. Sul tema del “protocollo caldo” è un esempio di come le emergenze vadano affrontate insieme con responsabilità sociale e dall’etica del lavoro. La stessa che le imprese hanno dimostrato con il protocollo Covid. Un’operazione in primis di buonsenso, e che presuppone apertura e flessibilità, senza le quali in contesti complessi non si va lontano. Ovviamente il cambiamento climatico e la transizione richiedono approcci complessi, che possono esaurirsi con i protocolli di emergenza.

Viviamo un periodo di incertezza, tra inflazione e aumento dei tassi. Nel mondo startup, come riporta il nostro report sul primo semestre, la raccolta di capitali è in forte calo rispetto allo stesso periodo del 2022. Avete dati sul 2023 che stanno affrontando PMI e grandi imprese?
A marzo 2023 il Centro Studi di Confindustria ha riferito che il nostro Paese crescerà dello 0,8%. La stima è stata poi migliorata, si parla di 1,2%. Sarà comunque un anno di transizione. Affrontiamo difficoltà come l’aumento dei tassi della BCE. La Banca Centrale Europea non aveva mai fatto registrare un rialzo così importante in così poco tempo. E questo ovviamente frena gli investimenti: oggi andare a indebitarsi per investire costa di più. Certo, abbiamo attraversato quasi dieci anni con tassi bassi e forse ci eravamo abituati. Abbiamo poi il problema dell’inflazione, generata dall’aumento del costo dell’energia. È scesa rispetto a inizio anno, ma rimane su tassi molto elevati. Dobbiamo cercare di fare investire le imprese: siamo usciti meglio di altri dalla pandemia e il FMI dice che l’Italia è più avanti di Germania e Francia. Perché si è investito su industria 4.0. Occorre dunque continuare a investire, altrimenti  non riusciremo a essere al passo con gli altri Paesi. E va ridotto il cuneo fiscale: dare alle famiglie, soprattutto ai redditi fino ai 35mila euro, qualcosa in più. Dobbiamo convincere il governo: la nostra idea è di assicurare 1200 euro netti all’anno alle fasce più esposte.

In questo contesto che ruolo hanno le startup?
È fondamentale dare benzina alle giovani realtà che si affacciano sul mercato. Le startup, ad esempio, sono parte del valore aggiunto del sistema produttivo italiano e i dati del MIMIT lo confermano: sappiamo che al termine del primo trimestre 2023, il numero di startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese è pari a 14.029, il 3,7% di tutte le società di capitali di recente costituzione. Le startup innovative a prevalenza giovanile under 35 sono 2.281, il 16,3% del totale. Si tratta di un dato di oltre tre punti percentuali superiore rispetto a quello riscontrato tra le nuove aziende non innovative, 13,2%. Ancora maggiore è la differenza se si considerano le aziende in cui almeno un giovane è presente nella compagine sociale: queste rappresentano il 39,1% delle startup, 5.492 in tutto, contro il 29,5% delle altre imprese. Ciò dimostra che nonostante il periodo difficile, le startup hanno dimostrato elevata capacità di resilienza e adattamento che hanno come punti di forza, una grande attitudine al digitale e allo smart working, elevate velocità e flessibilità nell’adattarsi ai cambiamenti improvvisi del mercato e un ottimo livello di competenze tecniche e informatiche. Questo a nostro avviso è il grande potenziale innovativo che le startup offrono all’industria italiana e che si può sfruttare al meglio collaborando. Sono dati incoraggianti che devono spingere il Sistema Paese a investire di più sui giovani. Concretamente, non a parole.

Che rapporto crede si debba creare tra startup e PMI? Una startup che non riuscirà a scalare dovrebbe immaginarsi un futuro da PMI digitale?
Cito i dati dell’ultimo report di Anitec-Assinform e di InfoCamere che tracciano un quadro interessante e in costante evoluzione rispetto alle startup e le PMI innovative del settore Ict: continuano a crescere in Italia, sebbene con un ritmo più moderato. Ad aprile di quest’anno hanno raggiunto quota 11.253, con una crescita dell’11,4% delle PMI, che salgono a 1.436, contro un calo dell’1,34% delle startup. Lo studio spiega che «il rallentamento demografico è dovuto a costi burocratici, bassa propensione al rischio, vincoli economici e carenza di competenze digitali avanzate». In questo contesto, i mercati legati ai digital enabler assumono un ruolo ancora più rilevante. Con la pandemia tutte le imprese si sono trovate davanti la necessità di accelerare il proprio sviluppo digitale e tecnologico: dal cloud, alla cyber-sicurezza per rendere il lavoro agile più efficace e sicuro, fino alla realtà aumentata, blockchain, e l’utilizzo dei dati. Questo bisogno comune ha visto le imprese aggregarsi per raggiugere obiettivi comuni, a volte davvero con ottimi risultati non solo in termini economici, ma anche di competitività e resilienza nei confronti della situazione economica e pandemica. Il lavoro da fare è molto ma sono convinto che il nostro Sistema Associativo, con il suo network così ampio e variegato e l’attenzione che da sempre riserva ai giovani e all’innovazione, possa contribuire a un cambio di passo nel panorama imprenditoriale italiano. Noi faremo la nostra parte.