Un robot di nome Eatr ha, negli anni scorsi, incentrato su di se un dibattito acceso circa la necessità di porre dei limiti all’utilizzo, in determinati ambiti, della robotica. Ed in un momento storico dove il tema dell’etica nell’intelligenza artificiale risulta un argomento caldo, non possiamo che ricordarlo in tutta la sua attualità
“Comprendiamo completamente la preoccupazione del pubblico per i robot futuristici che si nutrono della popolazione umana, ma questa non è la nostra missione”, queste le parole pronunciate dal CEO di Cyclone Power Technologies in un comunicato stampa nel 2009.
Ciò che ha portato l’amministratore delegato di una società di energia alternativa ad emettere una dichiarazione così forte risponde al nome di EATR (Energetically Autonomous Tactical Robot e anche un gioco di parole con il termine inglese “eater”, mangiatore): un robot energicamente autonomo che ha destato un certo scalpore qualche anno fa a causa della sua supporta passione culinaria per i “corpi” di persone morte.
Un’innovazione dallo scopo incompreso
Nel 2009, Cyclone Power Technologies collaborava con DARPA e Robotic Technology Inc. per sviluppare un robot che non necessitasse di una batteria o di un serbatoio di carburante di alcun tipo. L’obiettivo era quello di costruire un robot militare in grado di svolgere missioni ad alto rischio, con il solo bisogno energetico proveniente da biomassa reperibile nella vegetazione circostante, senza quindi necessità di rifornirsi di carburante o di ricaricare una batteria.
Il robot che si ciba di corpi umani
Eppure, nonostante la proiezione utilitaristica ed innovativa delle abilità del robot, a molti è sorta spontanea una domanda: poiché si tratta di un robot ad uso militare, potrebbe forse nutrirsi anche di corpi umani uccisi in battaglia?
Questa, di base, la ragione che ha portato il grande pubblico ad incriminare il robot come il mostro che avrebbe potuto divorare l’intero essere umano.
Il progetto ha suscitato diverse indiscrezioni su Internet e sui media con la circolazione di voci secondo cui il robot avrebbe, o almeno avrebbe potuto, ingerire resti umani. E le notizie non furono ben accolte, nemmeno da parte della comunità scientifica.
A ripetizione furono presentati titoli che etichettavano la macchina come “mangiatrice di cadaveri”, e per questo Cyclone, Robotic Technology Inc e DARPA tentarono in modo tempestivo di placare le paure, rilasciando dichiarazioni sull’effettiva utilità del prodotto: “Siamo concentrati sulla dimostrazione che i nostri motori possono creare energia verde utilizzabile da materiale vegetale abbondante e rinnovabile. Le applicazioni commerciali, da sole, per questa soluzione energetica ecologica sono enormi”. In una dichiarazione rilasciata dal gruppo, venne addirittura ribadito che sarebbe stato illegale creare un robot che utilizzasse i cadaveri come fonte di energia: “Desacration of the dead (il dissacramento di cadavere) è un crimine di guerra ai sensi dell’articolo 15 delle Convenzioni di Ginevra”.
Ma, nonostante i tentativi, i progetti furono demoliti da un’opinione pubblica difficile da scalfire e l’EATR non venne più sviluppato.
Un progetto al servizio militare
Solo in seguito al clamore scatenato dal progetto è emerso che EATR era già in fase di test, grazie ai finanziamenti del Pentagono.
Il progetto, originariamente presentato nel 2003, è stato portato avanti con denaro dall’Agenzia per la ricerca avanzata sui progetti militari di difesa degli Stati Uniti, DARPA, un successore dell’organizzazione che ha finanziato lo sviluppo iniziale di Internet.
Il robot è stato progettato per operazioni a lungo raggio che richiedono anche estrema resistenza, ma i suoi progettisti sottolineano che può fornire supporto materiale a unità che richiedono lavoro intenso, oltre ad essere progettato per attività di ricognizione, sorveglianza ed estrazione del bersaglio o delle vittime.
I funzionari statunitensi hanno promosso lo studio in visione di un utilizzo in ambito militare al fine di creare un robot autosufficiente in grado di sopravvivere da solo per diversi mesi. La versione precedente di Eatr veniva “nutrito” da ramoscelli, trucioli di legno e altri materiali a base vegetale, inseriti in un motore che bruciando il materiale alimentava il movimento del veicolo, oltre a ricaricare le batterie che azionano sensori, braccia e dispositivi ausiliari.
Rilevante, secondo quanto affermato da un inventore del robot, il dott. Robert Finkelstein della Robotic Technology Inc (RTI), la capacità di Eatr di determinare se il materiale che ingeriva fosse animale, vegetale o minerale, grazie a sistemi integrati.
Di fatti: “A partire da aprile 2009, RTI ha stimato che 150 chili di vegetazione di biocarburanti potrebbero fornire energia sufficiente per guidare il veicolo a 100 miglia. La seconda fase del progetto prevede che il motore determini quali materiali sono adatti (commestibili) per la conversione in combustibile, localizzi in autonomia tali materiali e quindi lo ingerisca, o forse meglio “processi”: fondamentalmente, la macchina imparerà a mangiare da sola. La fase finale determinerà quali applicazioni militari o civili un robot in grado di nutrirsi da solo vivendo al di fuori della terra avrà effettivamente e dove tale sistema potrà essere installato con successo.”
Le preoccupazioni di oggi
La razionalità e la legalità possono fare ben poco contro dubbi così sgradevoli, da sempre legati al difficile rapporto tra etica e robotica.
Sono passati alcuni anni, ed il progresso della tecnologia non si è certo fermato. Ad oggi, la preoccupazione riguarda ancora l’utilizzo dei robot in ambito militare, con forse più ragione d’essere.
E lo spauracchio “Skynet”, la paura da parte degli umani di tutto il mondo che i robot possano diventare più intelligenti dei loro stessi produttori e potenzialmente malevoli, è sempre dietro la porta.
Nella robotica il limite etico nella creazione ed utilizzo di queste meccaniche è sempre più al centro del dibattito, soprattutto in previsione di un impiego su larga scala di robot capaci di operare in modo quasi totalmente autonomo.
Isaac Asimov, il padre della fantascienza robotica, aveva ideato nel suo capolavoro “Io, robot”, tre semplici leggi che avrebbero dovuto rappresentare una base nelle coscienze artificiali degli automi. La prima delle tre, quella fondamentale, recita: «Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno».
Una norma che dovremmo far nostra, per non perdere il contatto con la realtà. E chissà se, le ovvie perplessità etiche verso il cibarsi di un essere vivente per alimentare una macchina, che ci hanno permesso di tirare un freno negli anni passati, manterranno alto il livello di attenzione per i progressi sempre più attuali.