Per imprenditori, accademici, esperti e ONG la riforma costituisce un pericolo con ripercussioni per gli utenti, i social media, le startup, i ricercatori, gli insegnanti
La crisi economica e la disoccupazione giovanile pesano molto in Unione Europea. Le startup offrono un’alternativa per quei giovani brillanti che non vogliono aspettare che il loro destino si compia e, sulle orme dei grandi imprenditori europei, sognano di divenire da startup di talento a imprese di successo. «La domanda è se stiamo dando alle startup gli strumenti per costruire il loro successo in Europa o stiamo mostrando loro la porta per farlo altrove» si è chiesto Lenard Koschwitz, direttore di Allied4Startups, l’associazione che ha organizzato il workshop #Copyright4Startups, che si è tenuto a Roma il 9 maggio nell’ambito della Rome Startup Week.
Web, copyright e startup
Conoscere il copyright (in Italia, diritto d’autore) è di vitale importanza per molte startup che lavorano con i contenuti sul web. E se pensate che le startup abbiano già abbastanza problemi ad emergere in Italia per via della burocrazia e la difficoltà negli investimenti, la riforma europea sul copyright renderebbe la loro vita ancora più difficile. Gli italiani sono conosciuti all’estero per la loro creatività, gusto e capacità di far succedere le cose, nonostante le avversità. Come sappiamo qualcosa negli ultimi anni è stato fatto per le startup, con un decreto del 2012 e un decreto attuativo nel 2016 a loro dedicato, con tanto di lettera per spiegarne la portata. Tuttavia la strada, anche in Europa, sembra essere ancora in salita e le startup italiane, piccole ma appassionate, dovranno alzare ancora di più la voce.
L’Italia e l’Europa: tanta ricchezza imprenditoriale, poche exit
L’Italia non è la sola a trovare difficoltà nel far emergere la sua ricchezza imprenditoriale. Se compariamo le exit tra Europa e Stati Uniti, vediamo come l’82% di queste ancora avvengano oltre oceano. Nell’Unione Europea il Regno Unito guida la classifica con un numero che è maggiore rispetto alla somma dei restanti Paesi dell’Unione, mentre l’Italia è ferma al nono posto dopo Germania, Francia e Irlanda.
…e la nuova proposta sul copyright
A rincarare la dose c’è la nuova proposta di legge sul copyright, che regola la responsabilità delle piattaforme, l’estrazione di dati e l’aggregazione di news. Questa proposta della Commissione Europea ha già avuto effetti negativi sui mercati, dissuadendo gli investitori dal mettere soldi in startup che potrebbero sparire dopo l’approvazione della legge. Questo perché, in caso di approvazione, solo le grandi aziende potrebbero affrontare i costi di sviluppo tecnologico e di licenze richiesti, a scapito delle startup più piccole.
La riforma del Copyright
Il 14 settembre 2016, la Commissione Europea ha annunciato la nuova proposta di riforma del copyright, 15 anni dopo l’ultima Direttiva Europea sul settore.
La legge è stata presentata come un aggiornamento necessario dopo i grandi cambiamenti tecnologici ma in realtà la direttiva potrebbe cambiare Internet per come lo conosciamo.
Dubbi sono stati sollevati da startup ma anche da accademici, esperti e ONG della società civile. Tutti questi attori del mondo dell’innovazione vedono nella riforma, invece che un aggiornamento innovativo, un pericolo con ripercussioni per gli utenti, i social media, le startup, i ricercatori, gli insegnanti e molti altri.
#Copyright4Startups
Eleonora Rosati, Professoressa Associata di Proprietà Intellettuale all’Università di Southampton, ha spiegato l’impatto che la riforma potrebbe avere sui business innovativi, sulla possibilità di attrarre investimenti e su cosa possono fare le startup per far sentire la loro voce.
Text e data mining (estrazione di testo e dati)
Il legislatore definisce “estrazione di testo e di dati” (text and data mining): «qualsiasi tecnica di analisi automatizzata dei testi e dei dati in formato digitale avente lo scopo di generare informazioni quali modelli, tendenze e correlazioni». Lo usiamo tutti i giorni quando usiamo la funzione “Cerca” sul telefono, è necessario per i data analytics (come nel digital marketing), ed è cruciale per le applicazioni di intelligenza artificiale. Il text and data mining è esploso recentemente e chissà a quali innovazioni porterà domani. Di certo è fondamentale per ogni business che si basa sui dati.
Questa riforma nuoce alle startup
La Commissione Europea ha spinto per avere un’eccezione al diritto d’autore ma solo per le riproduzioni e le estrazioni fatte per motivi di ricerca scientifica (Art. 3). È un buon inizio ma non basta. Permetterà infatti ai ricercatori di creare nuovi prodotti ma non di commercializzarli in Europa. In pratica dice alle startup che se ne occupano di fare le valigie e portare il proprio business altrove. Dall’altro lato, mercati come il Regno Unito, gli Stati Uniti o il Giappone hanno regole più flessibili, che comprendono il potenziale innovativo dell’uso dei dati e accolgono a braccia aperte questo tipo di business. Questo vuol dire che
la riforma non solo nuoce alle startup ma all’intero ecosistema europeo dell’innovazione.
La proposta di legge avrà un effetto domino sulle Università europee, specialmente quelle forti nelle applicazioni per l’impresa nei campi della Scienza, della Tecnologia, dell’Ingegneria e della Matematica, che hanno beneficiato finora della nascita di startup nei loro centri di ricerca. I famosi spin-off elevano il prestigio dell’università, assumono studenti, sviluppano l’ecosistema attorno ad hub come Monaco, Leuven, Delft o Copenhagen, se le leggi glielo permettono.
Un nuovo diritto per gli editori di news
Con l’art. 11 la riforma creerebbe un nuovo diritto per gli editori europei di news. Otterrebbero un diritto ventennale su tutti i loro contenuti, inclusi gli snippet, ovvero gli estratti di poche righe di un articolo che vediamo quando pubblichiamo un link su un social. Questo vuol dire che gli aggregatori di news, nonostante portino traffico ai siti di informazione, avranno bisogno di una licenza per poter reindirizzare i contenuti. Il risultato è che i big continueranno a dominare il mercato mentre le piccole startup ne usciranno.
In Spagna e Germania
Regole simili esistono in Spagna e Germania e hanno avuto effetti disastrosi sulla pluralità dei media, sulle startup e i consumatori. In Spagna il capro espiatorio era Google News. Di risposta Google, invece di pagare, ha chiuso il servizio spagnolo, cosa che ha portato a un calo a doppia cifra del traffico verso i siti spagnoli di informazione, che sale fino al 20% per le startup editoriali e i siti meno famosi.
In Germania, dove gli editori possono determinare i prezzi delle licenze, dopo il risultato Spagnolo, a Google è stata offerta una licenza gratuita, mentre alle piccole startup che aggregano news è stato chiesto 1€ per snippet o cifre per utente che erano più alte del loro stesso fatturato. Il danno è diventato evidente quando le startup tedesche hanno perso il 30% della loro valutazione il giorno in cui la legge è entrata in vigore. Alcune hanno chiuso.
Alla base di tutto c’è la difficoltà degli editori di far rispettare i loro diritti. Per questo, invece di creare un nuovo diritto non necessario, alcuni europarlamentari stanno cercando soluzioni meno invasive. Seguendo l’esempio italiano, si pensa a una presunzione della cessione dei diritti all’editore che pubblica gli articoli. Sarebbe una soluzione equilibrata, senza effetti devastanti per le startup e la circolazione dei link su internet.
Value gap
Nonostante una costante crescita dei ricavi dal mercato digitale, secondo i detentori dei diritti in campo musicale, le piattaforme dovrebbero fare di più per prevenire l’illecita circolazione del loro materiale online.
Non solo le piattaforme che ospitano musica, ma tutte le piattaforme che permettono la creazione di contenuto sarebbero costrette ad adottare tecnologie di riconoscimento e filtraggio dei contenuti.
Il value gap di riferisce al fatto che le etichette contestano che per colpa delle piattaforme e della circolazione illegale di contenuti su queste, i loro artisti non guadagnano quanto dovrebbero. Peccato che l’ammontare di quello che finirebbe nelle tasche degli artisti, in caso la legge passasse, resta un segreto.
Le tecnologie di riconoscimento dei contenuti sono costose ed inefficienti. Youtube ha speso più di 60 milioni per la loro Content-ID, che può comunque essere aggirata. Ad ogni modo sarebbe impossibile per una startup sviluppare questa tecnologia da soli. E pensare che basti comprare questo sistema come fosse un servizio, come suggeriscono alcuni parlamentari, mostra l’ignoranza del legislatore verso i nuovi potenziali business.
Oltre a questo, l’articolo 13 sul value gap è molto vago quando parla di fornitori di servizi che memorizzano e danno pubblico accesso a grandi quantità di opere o altro materiale caricati dagli utenti. Come si definisce una grande quantità? Pare quindi che, nonostante il problema sia piuttosto specifico, per come è formulata la norma, l’obbligo toccherebbe qualsiasi piattaforma in Europa.
La legge dovrebbe essere specifica e proporzionata all’illecito su cui si vuole intervenire.
Perché l’industria dei media dovrebbe godere di standard diversi e monitorare l’intero web?
Le startup sono piattaforme. Miliardi di persone nel mondo amano scrivere su blog, condividere e creare contenuti, che si tratti di scritto, audio, visual, live, di stampa in 3d o di realtà virtuale.
Mettere un filtro sui contenuti, controllato da imprese private, costringerà le startup a spendere milioni per tecnologie non rilevanti per lo sviluppo del loro business, col risultato di rendere 1984 di George Orwell più reale che mai.
Il filtraggio obbligatorio dei contenuti non solo darà uno svantaggio competitivo alle startup europee, ma violerà anche il diritto fondamentale alla privacy e alla libertà d’espressione.
Cosa possono fare le startup
Le startup interessate possono firmare la campagna di Allied for Startups per far sentire la propria voce, e possono continuare a seguire il dibattito su #copyright4startups.