Non si è ancora conclusa la paradossale vicenda che vede Huawei bandita dagli USA, anche se c’è qualche spiraglio in più. Nel frattempo a Shenzhen non hanno voglia di stare ad aspettare
Era nell’aria da quando, a settembre, Richard Yu aveva fatto una dichiarazione precisa sul palco su cui aveva appena mostrato al pubblico il Mate 30: Huawei ha pronto 1 miliardo di dollari da investire nella sua piattaforma HMS (Huawei Mobile Services), con l’obiettivo di trasformarla in un’alternativa credibile e praticabile ai servizi di Google. Forse è l’unica azienda sul mercato con la forza di farlo, oggi: anche per questo ha convocato per il prossimo 26 novembre gli sviluppatori italiani al suo primo Developer Day nostrano, prima tappa di un percorso che punta a costruire attorno ai suoi device e servizi un ecosistema ampio e solido. Nonostante il bando che ancora vige negli USA, per il quale ci sono spiragli ma ancora manca la parola fine.
Una giornata da tecnici
Make it possible: lo slogan di Huawei campeggia sempre in tutte gli eventi pubblici del marchio, sulle confezioni dei prodotti, nelle campagne pubblicitarie e non fa eccezione neppure il sito del Developer Day. Make it possibile: “Il nostro mantra – si legge sul sito – ci ha insegnato a trasformare l’impossibile in azioni concrete e a raggiungere obiettivi che prima sembravano irraggiungibili”. Qualcosa di simile l’aveva detta ai giornalisti anche Walter Ji, punto di riferimento dell’azienda lato consumer qui in Europa, sempre in occasione del lancio del Mate 30: le sfide sono da sempre il pane quotidiano del marchio cinese, e questa è solo un’altra sfida della storia più che trentennale del gruppo.
Huawei punta quindi a fare di questa situazione un’occasione in cui costruire un’alternativa: come già detto in altri frangenti, la dipendenza dai servizi e dal software di Google può essere vista anche come una proverbiale spada di Damocle che pende sulle teste di tutti i produttori di smartphone (che sono in gran parte cinesi: Oppo, OnePlus, Xiaomi, Lenovo-Motorola, e potremmo continuare), dunque costruire un’alternativa che offra la possibilità di affrancarsi e magari anche di costruire un’ulteriore linea di business è vista come un’opportunità da cogliere. Huawei, tra l’altro, visti i numeri che fa ancora registrare sul mercato è forse il solo marchio in grado di riuscire a proporre servizi che anche altri (in patria e altrove) potrebbero decidere di adottare.
Nella giornata del 26 novembre ci saranno due momenti differenti per fare il punto su HMS: durante la mattina ci sarà la parte dedicata alla strategia, con il management italiano di Huawei a dare il la all’evento assieme a Andreas Zimmer (senior marketing manager Huawei Western Europe) e SuJie (Huawei Cloud president). Il pomeriggio invece si fa sul serio: quattro laboratori da seguire su Account Kit, In App Purchase Kit, Geolocation Kit e ADV Kit, tutto quanto insomma serve per integrare le funzioni equivalenti ai Google Mobile Services nel proprio software.
Lo stato della guerra dei dazi
Ricapitoliamo. USA e Cina ai ferri corti per questioni di dazi, acquisto di prodotti agricoli, presunta ingerenza governativa nel design di dispositivi elettronici: quest’ultima questione, in particolare, è priva di alcun riscontro oggettivo noto. Ciò nonostante a farne le spese è stata di fatto Huawei, che come azienda cinese più in vista del momento (soprattutto per quanto attiene la tecnologia e la sua fornitura di infrastrutture di telecomunicazione) è finita iscritta nella entity list: l’elenco delle aziende con cui, secondo la Casa Bianca, le imprese statunitensi non devono fare affari.
Dove siamo arrivati oggi è presto detto: c’è stato un accordo di massima tra le due nazioni, accordo che prevede una serie di scambi in fatto di forniture agricole soprattutto, e questo dovrebbe aprire le porte a un disgelo completo della questione. E poi ci sono le dichiarazioni che arrivano da Washington, in particolare le dichiarazioni del segretario al Commercio Wilbur Ross (da noi lo chiameremmo ministro), che ha lasciato intendere che la firma sulle licenze per lavorare con Huawei potrebbero arrivare presto. Anche alla luce della mole delle richieste ricevute in tal senso: sono state oltre 260, “francamente più di quante avremmo supposto” ha detto alla stampa d’Oltreoceano.
Firmare le licenze per consentire alle società di fare affari con Huawei significherebbe dare luce verde alla commercializzazione qui da noi del Mate 30 già citato, del nuovo Mate X (il foldable di Huawei presentato al Mobile World Congress) e tutti gli altri dispositivi non ancora mostrati al pubblico che senz’altro a Shenzhen stanno sviluppando. Per altro, secondo alcuni dati sembrerebbe che il bando USA abbia influito poco sul successo commerciale di Huawei: merito del fatto che la sua presa sui mercati cinese ed europeo è senz’altro salda (anche lato infrastrutture, non parliamo solo di smartphone), e proprio per questo l’azienda si può permettere di tenere duro e dare vita iniziative come quella che abbiamo descritto poco sopra.