Istituito al Ministero dello sviluppo economico il fondo per l’intrattenimento digitale con dotazione iniziale di 4 milioni di euro
Per molto tempo gli sviluppatori e i produttori di videogiochi italiani si sono lamentati del fatto che qualsiasi governo si sia succeduto in tutti questi anni sia stato sordo alle loro esigenze. Se l’Italia nel gaming insegue, del resto, è anche colpa della mancanza di incentivi, e della faccia storta che fanno in banca quando uno chiede di aprire una linea di credito “per sviluppare videogames”. Ma con il decreto Rilancio, varato dopo una estenuante maratona di oltre 1 mese per rimettere in carreggiata un Paese sull’orlo della più grave crisi economica dall’ultimo dopoguerra, sembra essere stato previsto un fondo ad hoc: il First Playable Fund.
Gli studi di Invader Studios
Cos’è il First Playable Fund
In assenza di un testo definitivo del decreto, bisogna accontentarsi di quanto scritto nell’ultima bozza circolata ieri, attorno alle 17. Si legge:
Al fine di sostenere lo sviluppo dell’industria dell’intrattenimento digitale a livello nazionale, è istituito presso il Ministero dello sviluppo economico il fondo per l’intrattenimento digitale denominato «First Playable Fund», con dotazione iniziale di 4 milioni di euro nel 2020.
Gli studi di Ubisoft Italia
8. Il Fondo di cui al comma 14 è finalizzato a sostenere le fasi di concezione e pre-produzione dei videogames, necessarie alla realizzazione di prototipi, tramite l’erogazione di contributi a fondo perduto, riconosciuti nella misura del 50 per cento delle spese ammissibili, e per un importo compreso da 10.000 euro a 200.000 euro per singolo prototipo.
9. I contributi erogati a valere sul Fondo di cui al al comma 14 vengono assegnati dietro presentazione di una domanda da parte delle imprese che abbiano i requisiti di ammissione di cui al successivo comma 19. I contributi potranno essere utilizzati esclusivamente al fine della realizzazione di prototipi. A tal fine si considerano come spese ammissibili:
a) prestazioni lavorative svolte dal personale dell’impresa nelle attività di realizzazione di prototipi;
b) prestazioni professionali commissionate a liberi professionisti e/o altre imprese finalizzate alla realizzazione di prototipi;
c) attrezzature tecniche (hardware) acquistate per la realizzazione dei prototipi;
d) licenze di software acquistate per la realizzazione dei prototipi.
10. In tutti i casi, il videogioco deve essere destinato alla distribuzione commerciale.
Gli studi di Ubisoft Italia
La cautela di IIDEA
Molto cauta l’associazione di categoria, IIDEA. Interpellato in merito, infatti, Mauro Fanelli, Vicepresidente e Rappresentante Soci Developer dell’Italian Interactive Digital Entertainment Association, ha risposto: “Allo stato attuale, non conosciamo ancora il testo approvato e uscito dal Consiglio dei Ministri, destinato all’invio in Gazzetta Ufficiale nei prossimi giorni per l’entrata in vigore. Ciò significa che in questo momento non sappiamo ancora se questa misura sia stata effettivamente approvata, o se sia stata estromessa per ragioni di opportunità connesse all’estraneità della misura rispetto all’emergenza Covid-19 su cui si focalizza il decreto. In attesa di ricevere il testo definitivo, possiamo già anticipare che l’Associazione sarebbe comunque pronta a lavorare per porla nuovamente al centro dell’attenzione e farla rientrare nel successivo passaggio parlamentare, nei prossimi 60 giorni.”
Un settore che tira, ma ignorato
Può sembrare un paradosso aiutare uno dei pochi settori che, grazie agli store virtuali, avrà continuato a macinare affari anche durante la quarantena (ma 4 milioni non rappresentano certo chissà quale aiuto, anzi…). Ma non lo è. Perché il comparto italiano dei videogiochi non è certo in cerca di assistenzialismo, ma del dovuto riconoscimento. Ancora appeso ai decreti attuativi spariti nel nulla della legge Cinema varata con Dario Franceschini ministro dei Beni culturali nel 2016 del governo Renzi (ora, dopo 3 anni, al medesimo dicastero è tornato Franceschini, ma la situazione non si è sbloccata), chiede di poter essere messo nelle condizioni di fatturare.
© Ubisoft
Nel nostro Paese non è facile sviluppare videogames. StartupItalia lo sa bene perché se lo è sentita ripetere da tutti gli sviluppatori italiani che abbiamo intervistato in questi anni e che si sono lamentati del fatto di essere stati lasciati completamente soli nel tentativo di scardinare presso gli istituti di credito l’antico pregiudizio, molto italiano, che i videogiochi siano roba per bambini e non oggetto di una attività di impresa. Di più: un prodotto culturale. E senza un aiuto iniziale nessun imprenditore spiccherà il volo, da qui il nanismo di un mercato che però c’è. Secondo gli ultimi dati di IIDEA, l’associazione di categoria, il comparto, lato pubblico è in salute, e nel 2019 è lievitato dell’1,7% rispetto alla precedente rilevazione e realizza un giro d’affari di 1 miliardo e 787 milioni di euro.
Gli studi di Ubisoft Italia
Il First Playable Fund non sarà certo la soluzione dei problemi di un comparto che finora non è riuscito a crescere come dovrebbe e come meriterebbe, ma è un inizio. L’importante è che finita l’emergenza l’esecutivo non spenga nuovamente le luci sull’intero settore, abbandonando a loro stessi sviluppatori, musicisti, artisti, game designer, imprenditori, distributori e produttori.