Il report dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha tracciato un quadro completo della situazione attuale e delle prospettive future
Circa otto mesi fa, l’Italia, alle prese con la diffusione della pandemia da Coronavirus, entrava in lockdown nazionale. Una fase d’emergenza senza precedenti, che ha costretto milioni di cittadini, imprese e amministrazioni a reinventare il modo di lavorare. Uno su tutti, il lavoro agile, diventato dalla sera alla mattina l’unica opzione per molte aziende, PMI e PA. L’ultimo report dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha chiarito i numeri di questa svolta. Il 97% delle grandi imprese ha usufruito del lavoro da remoto durante la fase più critica dell’emergenza, contro il 94% delle PA italiane e il 58% delle PMI. In totale, si tratta di 6,58 milioni di lavoratori, ovvero un terzo dei lavoratori dipendenti italiani. Un numero enorme, se comparato con i circa 570mila smart worker censiti nel 2019.
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Lungi dall’essere una parentesi legata all’emergenza, il lavoro agile costituirà una base fondamentale per le aziende di oggi e domani. Sebbene gli smart worker siano scesi a settembre a 5,06 milioni – suddivisi in 1,67 milioni nelle grandi imprese, 890mila nelle PMI e 1,18 milioni nella PA -, l’Osservatorio stima che al termine dell’emergenza saranno 5,35 milioni i lavoratori agili. La modalità sarà più equilibrata, tra presenza e remoto, rispetto a queste fasi di emergenza. Il 70% delle grandi imprese aumenterà le giornate di lavoro da remoto, portandole in media da uno a 2,7 giorni alla settimana, mentre la metà di esse modificherà gli spazi fisici. Progetti di potenziamento dello smart working sono previsti anche per il 48% della pubblica amministrazione. Aumenteranno le persone coinvolte nei progetti (72%) e, nel 47% dei casi, si lavorerà da remoto in media 1,4 giorni alla settimana, rispetto alla giornata media attuale.
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Smart working in lockdown, quali settori
All’interno delle grandi imprese, 2,11 milioni di persone, ossia il 54% dei dipendenti, hanno sperimentato il lavoro agile nella fase acuta dell’emergenza. Nel 97% dei casi, le aziende maggiori hanno dato questa possibilità a una parte dei propri collaboratori, soprattutto nei settori finance e ICT. In misura minore nel campo del retail e del manifatturiero. Sempre all’interno delle grandi imprese, hanno usufruito del lavoro da remoto, per la prima volta, anche gli operatori di call center. Nel 21% gli addetti allo sportello hanno lavorato da casa, riconvertendo una parte delle attività e comunicando in modo digitale coi clienti, nel 17% è stato applicato il lavoro agile anche a operai specializzati, digitalizzando l’accesso ai macchinari.
Il numero di smart worker cambia anche in base ai progetti di lavoro agile intrapresi prima della pandemia. Per le imprese che avevano in atto iniziative di questo tipo, in media il 59% dei dipendenti ha potuto lavorare da casa, nelle altre la percentuale media si ferma al 36%. Discorso analogo anche per le PA, dove il 58% del personale, pari a 1,85 milioni di dipendenti pubblici, ha lavorato da remoto. Infatti, nelle pubbliche amministrazioni che avevano già in corso progetti di lavoro agile prima del sopraggiungere del Covid, gli smart worker sono stati mediamente il 70% dei casi. Contro il 55% delle PA che hanno invece dovuto cominciare da zero.
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Lavoro agile in emergenza, le difficoltà
Smart working è sinonimo innanzitutto di tecnologia. Che, come noto, in diverse aree del nostro Paese fatica a essere idonea per lavorare al meglio fuori dall’ufficio. Il 69% delle grandi imprese ha quindi dovuto aumentare la disponibilità di PC portatili e altri strumenti hardware e il 65% ha incrementato i sistemi per accedere da remoto e in sicurezza agli applicativi aziendali. Inoltre, il 45% delle maggiori aziende ha implementato la strumentazione per la collaborazione e la comunicazione dei dipendenti. Fra gli strumenti introdotti con maggior frequenza, oltre ai PC portatili, si registrano i tool per le videoconferenze, mentre una significativa parte delle grandi imprese ha dato ai lavoratori la possibilità di utilizzare i dispositivi personali.
Le PMI hanno avuto vita più difficile. La metà di esse ha dovuto sospendere le attività e non si è potuta attivare sulle tecnologie. Chi è riuscito a farlo, ha potenziato gli strumenti hardware (15%), i software per la collaborazione a distanza (14%), i sistemi per l’accesso sicuro ai dati da remoto (14%) e ha incoraggiato l’uso dei dispositivi personali (14%).
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L’incremento degli hardware e dei software ha riguardato anche quasi la metà delle PA italiane. In particolare, è aumentato il ricorso alle applicazioni per videoconferenze, alle VPN e ai PC portatili. Le pubbliche amministrazioni hanno fatto però i conti, più di altri, con arretratezza tecnologica e scarsi fondi a disposizione. Per questo motivo, oltre a incoraggiare l’utilizzo dei dispositivi personali, il 43% delle PA non ha integrato la dotazione personale dei dipendenti e solo il 38% di esse si è attivata per garantire l’accesso sicuro ai dati da remoto.
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Altro tipo di difficoltà riscontrata è stata relativa all’equilibrio fra lavoro e vita privata. A causa di una modalità più vicina al telelavoro che allo smart working, il 29% dei lavoratori ha fatto fatica a separare il tempo del lavoro da quello privato, il 28% a mantenere un giusto bilanciamento fra i due aspetti e il 29% ha sperimentato una sensazione di isolamento nei confronti dell’organizzazione. Aspetti particolarmente significativi per le grandi imprese, che hanno dovuto far fronte anche alla disparità di carico di lavoro fra alcuni dipendenti e altri e all’impreparazione dei manager a gestire lo smart working e del personale ad affrontare una digitalizzazione forzata.
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Smart working: una svolta positiva
Restano in ogni caso molti aspetti positivi, anche in una fase dove più che di lavoro agile si può parlare di cambiamento emergenziale. Nelle grandi imprese, il 71% dei dipendenti ha migliorato le proprie abilità digitali e i pregiudizi sul lavoro agile sono stati accantonati dal 65% di loro. Circa il 60% delle aziende maggiori ha ripensato i processi aziendali. Discorsi simili, seppur con percentuali leggermente minori, attorno al 50%, per le PA.
“Nell’emergenza abbiamo acquisito rapidamente consapevolezza dei vantaggi del lavoro agile e abbiamo avuto l’opportunità di sperimentarlo su vasta scala, pur se in una forma atipica”, osserva Fiorella Crespi, direttore dell’Osservatorio Smart Working. “Il rischio, però, è di trattarlo com un obbligo normativo o una misura temporanea ed emergenziale. Si tratta invece di un’occasione storica, che ci porterà verso un “New Normal“. Con benefici non solo nel lavoro, ma sull’intero ecosistema di servizi, città e territori“.
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La situazione attuale
Fra maggio e giugno il 66% delle grandi imprese e l’81% delle PA ha permesso al personale di rientrare in sede. Una percentuale molto minore ha invece deciso di aspettare i mesi estivi e settembre. A seguito di queste scelte, proprio a settembre il numero di smart worker è sceso a 5,06 milioni. In media, nelle aziende più grandi si lavora da remoto 2,7 giorni a settimana, contro 1,2 giorni nel settore pubblico.
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Per facilitare il rientro in sicurezza, le principali iniziative hanno riguardato l’introduzione di regole e linee guida sull’utilizzo degli ambienti, la definizione di un piano di rientro con turni per i team di lavoro e l’introduzione di segnaletica per orientare i flussi e incentivare comportamenti sicuri. Il 72% delle grandi imprese e il 46% delle PA ha lasciato autonomia riguardo al numero di giornate di lavoro agile, attuando procedura per non superare il limite di persone imposto dalla necessità di distanziamento. Sono stati quindi decisi distanziamento delle postazioni di lavoro, chiusure di alcune aree aziendali e rimodulati gli orari di ingresso e uscita. Azioni, che invece soltanto una minoranza di PMI ha adottato.
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Verso il “new normal”
La svolta smart portata dalla pandemia rimarrà come nuova normalità nella maggior parte degli ambienti lavorativi che ne possono usufruire. Metà delle grandi imprese stanno già programmando la ridefinizione degli spazi fisici, differenziandoli, ampliandoli o riducendoli. Quasi quattro grandi imprese su dieci ne cambieranno le modalità di utilizzo e, in generale, solo l’11% delle aziende più grandi tornerà a lavorare come prima. Il 36% modificherà i progetti di smart working in corso e digitalizzerà i processi. Il 70% di chi ha già un progetto di lavoro agile in atto aumenterà le giornate in cui è possibile lavorare da remoto, passando da un solo giorno, prima della pandemia, a 2,7 giorni a settimana, quando sarà conclusa l’emergenza. Il 65% delle grandi imprese coinvolgerà più persone nelle iniziative, il 42% includerà personale prima escluso e un sesto (17%) modificherà l’orario lavorativo.
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Anche le PA stanno affrontando la svolta digitale. Quasi la metà, il 48%, introdurrà progetti di smart working. Mentre il 42% delle pubbliche amministrazioni aumenterà la digitalizzazione di processi e attività, incrementando le tecnologie in uso. Verrà ampliato il numero di dipendenti coinvolti nei progetti di lavoro agile, la cui media settimanale in smart working passerà da essere inferiore a un giorno a circa 1,4 giorni.