Dalla piccolissima startup machineboy, che poi è solo Mattis Folkestad, già autore di Milkmaid of the Milky Way, arriva ora un’avventura piena di buoni sentimenti
Giocando a Embracelet m’è capitato spesso di pensare alle opere cinematografiche di Hayao Miyazaki. Non di rado, per la verità, cito il maestro nipponico, testando un videogioco indipendente. In genere, si tratta di titoli che si rifanno allo stile artistico dello Studio Ghibli (pensiamo per esempio a Summer in Mara e a Giraffe and Annika, tanto per fermarci ai più recenti). Con Embracelet, invece, è più questione di atmosfere…
Eppure, i due termini di paragone non potrebbero essere più distanti: Miyazaki si rifà alla cultura nipponica; Embracelet è pervaso di riferimenti al Nord Europa e, in particolare, alla terra di Norvegia. Miyazaki ha sempre strizzato l’occhio al trasognato mondo dei bambini, in cui basta un po’ di fantasia e qualche posto misterioso per iniziare a parlare con Totoro e dare una svolta alla propria estate; Embracelet, di contro, è un’avventura adolescenziale piuttosto cupa, triste e disillusa. Pure gli stili grafici, tondeggiante e ricco di sfumature uno; spigoloso e dalla palette cromatica piuttosto piatta l’altro, sembrano agli antipodi. E allora come mai mi è venuto in mente spesso Miyazaki?
Non sono sicuro di saper rispondere, ma in Embracelet, come ne La città incantata, in Ponyo sulla scogliera o nel Castello errante di Howl si ritrovano piccoli, grandi situazioni che tutti, maturando e venendo a contatto col prossimo, hanno provato: il tema del lutto, la sindrome dell’abbandono e il valore dell’amicizia.
La startup norvegese machineboy, che poi è solo Mattis Folkestad, ceo, founder e unico sviluppatore di Embracelet (già autore del buon Milkmaid of the Milky Way), è riuscita a mettere tutto questo e molto di più nell’avventura grafica (perché alla fine di quello parliamo) appena uscita su PC e Nintendo Switch.
In Embracelet ci caleremo nei panni di un ragazzo, Jesper, che vive con sua mamma in città. Apparentemente solitario, taciturno e apatico come buona parte degli adolescenti, la sua vita subisce una svolta quando il nonno, ormai vecchio e malato, pescatore d’altri tempi (quasi un vichingo), gli regala un braccialetto magico. Il braccialetto sarà la chiave di volta per la risoluzione di tanti piccoli enigmi (permette infatti di muovere oggetti enormi da distante e questo consentirà di agire su parti sensibili dello scenario per aprirsi un varco) che a loro volta sono la scusa per animare un po’ questo viaggio nel difficile periodo adolescenziale.
Embracelet
Embracelet non dura molto, circa cinque ore. Sei a voler proprio andare col freno a mano tirato per godersi ogni elemento dei fondali dell’isola di Slepp in cui il nonnino è nato e che visiteremo assieme ai nostri amici per scoprire le origini del braccialetto magico. E durante queste cinque ore saremo chiamati a risolvere indovinelli, spostare oggetti, setacciare ambienti e scegliere la risposta adatta nei tanti bivi che si frapporranno tra noi e i titoli di coda. Non dura molto ma, come diceva il saggio, il bello dei viaggi non è la destinazione ma il viaggio stesso. E con Embracelet è davvero così. Nonostante sia poco ludico, è infatti permeato di malinconia mista a speranza, tristezza per i cari che ci lasciano mista alla felicità provata per i rapporti che salderemo.
Sono davvero tanti i dettagli malinconici. Per esempio, rovistando nel cassetto del nonno, Jesper guardando i vestiti pensa: è davvero tanto tempo che non glieli vedo indossare. E questo perché ormai sono anni che il caro nonnino è ricoverato nella casa di cura e veste solamente in pigiama. Anche l’accompagnamento audio sembra fare di tutto per farci scoppiare in lacrime, con componimenti davvero riusciti e maestosi, nella loro semplicità. Per fortuna, però, quando le lacrime saranno vicine a sgorgare, verrà in nostro soccorso l’immaginazione di Jesper, pronta ad animare oggetti e personaggi incantati che per qualche tempo ci faranno dimenticare la realtà, non sempre idilliaca come vorremmo. E forse è proprio in questo che il videogioco norvegese di Mattis Folkestad incontra le opere animate di Hayao Miyazaki.