Paul Helman e Sean Scaplehorn sono gli illuminati Geppetti di questo Pinocchio 4.0 che sa entusiasmare, far ridere, riflettere e persino commuovere
Avete in mente il romanzo di Isaac Asimov L’uomo bicentenario, magistralmente portato sul grande schermo dal compianto Robin Williams? Ecco, in più occasioni Horace ricorda proprio quell’opera. Sia perché è un videogioco ispirato, sia perché è dolcissimo e invita a riflettere sui grandi temi, riuscendo a farci ridere e pure commuovere.
Un videogame sviluppato da due persone
Uscito un annetto fa su PC, ora Horace arriva anche su Nintendo Switch anche grazie ai produttori, 505 Games, ed è una splendida notizia. “Sono estremamente orgoglioso di portare Horace su Nintendo Switch,” ha affermato Paul Helman, ‘lead’ developer della startup di sole due persone (l’altra è Sean Scaplehorn) che ha sviluppato il gioco. “Il gioco vuole essere la summa del lavoro di tutta una vita e dei miei 25 anni passati nel settore dei videogame. Con un “team” così piccolo, abbiamo dovuto mettercela veramente tutta per creare Horace. Mentre Sean Scaplehorn ha programmato tutto, io ho creato un’enormità di artwork, musica, scritto l’intera storia e ideato tutto il gameplay da solo, ed è un riconoscimento enorme per tutto il nostro duro lavoro che Horace sia finalmente pronto per console”.
Horace, opera malinconica dall’umorismo british
Fin dalle prime battute si intuisce che Horace non è un videogioco come gli altri. È maturo, sornione, strabordante di particolari e citazioni infilate lì a uso e consumo di una platea selezionata. Magari a livello tecnico scivola e incespica, ma da un videogame sviluppato da due persone sarebbe difficile attendersi la precisione di un blockbuster. A livello contenutistico, invece, è un’opera incredibilmente completa. E, soprattutto, malinconica.
Noi saremo Horace, una neonata intelligenza artificiale accolta nella casa di una famiglia aristocratica inglese che nel giro di poco tempo lo trasformerà in un perfetto gentleman dall’umorismo tipicamente britannico. Horace è molto affezionato alla sua famiglia ma all’improvviso si addormenta e… quando si risveglia la Gran Bretagna è cambiata e non per il meglio. Il futuro in cui si ritrova è infatti un triste scenario post-bellico. Horace non si perde d’animo e parte in un viaggio che lo porterà soprattutto alla scoperta di se stesso e della propria umanità. Sì, perché sotto il corpo di latta del nostro si nasconde un cuore d’oro.
Di fatto Horace è un platform, per di più di quelli difficili, à la Super Meat Boy o à la OkunoKA Madness per confrontarlo con un videogame italiano assai più recente. Ma, in realtà, è molto di più e tante cose tutte assieme. Lo si intuisce da subito quando ci si accorge dell’enorme spazio occupato dalla trama e dalle sequenze animate, che affollano lo schermo tanto per battute umoristiche fini a loro stesse (ma utile a dare spessore e carisma al gioco), quanto per permettervi di calarvi in una sinossi molto più elaborata e profonda del normale. In più, a livello ludico, Paul Helman e Sean Scaplehorn hanno buttato nel calderone una infinità di generi e stili che rimandano, scimmiottano, prendono in giro o celebrano glorie videoludiche passate e non troppo passate.
Non c’è un vero raccordo tra tutto ciò che formi un amalgama sempre sensato, e a tratti Horace sembra quasi un WarioWare, cioè una raccolta di giochini diversissimi e che durano pochissimo, però di fatto tutto funziona e basta a spingervi a volere andare avanti solo per scoprire cosa si sono inventati di due papà del gioco. Che sono un po’ i Geppetto della situazione perché Horace alla fine è una sorta di Pinocchio 4.0 in salsa britannica, che vedrà il nostro ingenuo burattino farsi uomo mentre progredisce per i livelli, fino a diventare più umano degli umani stessi, prigionieri dei loro pregiudizi e vittima dell’ennesimo, stupido, conflitto.