La vicepresidente di META Group ha commentato con StartupItalia! i risultati della ricerca europea di WA4E e di IBAN sulle caratteristiche delle donne che oggi scelgono di investire in innovazione e startup
Una business angel non è diversa da un suo collega uomo. Quando, però, si realizza che il numero delle donne nel settore dell’innovazione è ancora inferiore rispetto al sesso opposto si comincia a capire che qualche differenza c’è. È forse questa considerazione che ha portato IBAN (Italian Business Angel Network) a sottoporre a 640 donne impegnate o interessate all’investimento in startup o in idee di azienda innovativa in sei paesi europei un questionario allo scopo di delineare l’identikit di chi è oggi la business angel in Europa.
La ricerca è stata condotta dal programma finanziato Women Business Angels for European Entrepreneurs WA4E di cui fa parte l’Associazione IBAN. Il quadro che ne è venuto fuori non è sempre incoraggiante per cifre e prospettive per il genere femminile.
La copertina del rapporto sulle business angel europee del programma Women Business Angels for European Entrepreneurs WA4E, di cui fa parte l’Associ…
La disinformazione sull’innovazione
«Il problema principale è la disinformazione», commenta Anna Amati, vice presidente di META Group, ma soprattutto abilitatrice d’Innovazione con oltre 20 anni di esperienza in Italia e all’estero sulle politiche di sviluppo economico. Il sondaggio di IBAN a cui lei ha risposto personalmente è stata una di quelle iniziative utili per alzare l’asticella nella conoscenza del fenomeno: «Raccogliere i dati è il punto di partenza per lavorare nel colmare i gap presenti», aggiunge Amati.
Esperienza e competenza femminile
Un primo numero da tenere in considerazione è che il 53 per cento delle business angel che hanno partecipato all’indagine lavora in questo campo da almeno 3 anni. Ha un età compresa tra i 30 e i 50 anni, ha alle spalle una media di 10mila euro investiti in almeno 3 startup nell’ultimo anno e un’exit. Segno questo che l’assunzione del rischio è più semplice per chi dispone di grossi patrimoni e di un’esperienza considerevole. Chi invece ancora non si è ancora approcciato all’angel investment per la stragrande maggioranza dei casi ha dichiarato di non aver mai ricevuto informazioni su questa possibilità di investimento perché considerata troppo rischiosa per una donna. «Le donne che oggi fanno questo mestiere sono competenti e preparate, ma in alcuni casi sono finite nel mondo dell’angel investment quasi per caso. Siamo ancora lontani da un fenomeno generalizzato di coinvolgimento femminile», commenta ancora Anna Amati.
Rovesciare i modelli sociali
Il problema è ancora una volta culturale ed è necessario partire dalla scuola per formare bambine e ragazze pronte ad affacciarsi al settore come fanno i loro compagni maschi. «Perché come meta di una gita a Parigi, per fare un esempio, non si propone la visita alla Station F?», si chiede provocatoriamente Anna Amati. Guardando a fasce di età maggiori, però, la vicepresidente sottolinea: «Certamente ci sono dei limiti, denunciati anche nel sondaggio, legati ai modelli sociali e familiari che ancora oggi assegnano un ruolo ben preciso alle donne e che le costringono a portare sulle loro spalle gran parte delle cure da prestare a figli, marito e genitori. Ma c’è anche una mancanza di voglia di mettersi in gioco. L’incontro con gli uomini avviene senza riferimenti al genere solo se noi siamo convinte di non essere inferiori e siamo pronte a comportarci come loro, anche rinunciando a parte del nostro tempo», aggiunge la vice presidente di META Group.
La determinazione delle donne
La determinazione è quindi una chiave importante dell’affermazione delle donne nell’innovazione. E anche se non basta a far crescere in maniera considerevole il numero delle business angels in Europa, è una realtà comunque in aumento tra le giovani generazioni, sicuramente meno inclini a vedere se stesse esclusivamente come mamme, mogli e donne di casa. Questa crescente presa di coscienza del valore e delle competenze femminili può dare uno stimolo ulteriore alle donne rispetto agli uomini che di solito non sono abituati a dover dimostrare qualcosa. «Uno dei limiti, però, è che le donne che decidono di investire spesso temono il rischio e preferiscono cominciare da una no-profit piuttosto che lanciarsi subito in un’iniziativa che produca profitto», osserva Anna Amati. E aggiunge: «Sarebbe bello un giorno non dover più parlare di imprenditoria femminile. Fino a quel momento, però, dobbiamo lavorare per far conoscere ai più giovani il mondo delle startup e dell’innovazione in generale e agevolare il proceso di responsabilizzazione al femminile».